Elezioni in Austria: un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

I risultati delle elezioni austriache sono già stati ampiamente commentati, ma non è inutile ritornarvi sopra, approfondendo un po’ più l’analisi. Cosa che, senza contraddire i primi commenti (crollo dell’estrema destra, “vittoria” dei popolari, successo dei Verdi, sconfitta dei socialisti), ne relativizza o ridimensiona alcuni.

Cristiano Dan – Movimento operaio

Nella lettura dei risultati è facile infatti non tener conto del fatto che nelle elezioni di quest’anno – provocate e drammatizzate dalla crisi del governo in seguito agli scandali che hanno colpito la sua componente d’estrema destra – l’astensionismo è aumentato in modo significativo rispetto al 2017: più 4,9 %. Questo significa che facendo dei confronti solo sulla base delle percentuali, senza tener conto anche dei voti reali, si rischia di prendere alcune cantonate. Un esempio per chiarire meglio: la vittoria del Partito popolare di Kurz, che c’è effettivamente stata, risulta ridimensionata, e merita dunque le virgolette, quando si va a vedere a quanti voti in più corrisponde la sua avanzata del 6,1 %. Questo aumento percentuale del 6,1 corrisponde infatti a un guadagno reale di 185.000 voti (arrotondiamo le cifre al migliaio), da mettere a confronto col 10,0 % guadagnato dai Verdi, corrispondente a 462.000 voti. Si vede subito come i Verdi, guadagnando oltre il doppio dei voti del Partito popolare, siano ben lontani dal registrare un aumento percentuale equivalente: un 1 % guadagnato dai Verdi, infatti, corrisponde a 46.200 voti, mentre un 1 % dei popolari equivale a 30.300 voti…

 

L’area ex governativa esce ridimensionata, ma è ancora maggioritaria

L’area ex governativa, formata dal Partito popolare austriaco (ÖVP, Österreichische Volkspartei) e dal Partito della libertà d’Austria (FPÖ, Freiheitliche Partei Österreichs), disponeva nel 2017 di 113 seggi su 183, con 2.912.000 voti e il 57,5 %. Oggi quest’area potrebbe contare su 102 seggi, con 2.550.000 voti e il 53,7 %. Subisce pertanto un ridimensionamento (meno 11 seggi, meno 362.000 voti e meno 3,7 %), ma non tale da consentire di dire che il centrodestra e l’estrema destra austriache siano state sconfitte. Sono state ridimensionate, i rapporti di forza fra le sue due componenti si sono profondamente modificati, ma il Paese resta ancora in netta maggioranza schierato a destra, sia pure con un peso dell’estrema destra molto minore. Se poi consideriamo che una parte dei voti persi dalla FPÖ sono stati recuperati dai liberali di NEOS (troppo frettolosamente giudicati da alcuni giornali come “liberali di sinistra”), l’area dei partiti più nettamente liberisti, dal centro all’estrema destra, sale al 61,8 %, solo un punto percentuale meno del 2017. C’è insomma poco da festeggiare. O meglio, c’è di positivo il forte ridimensionamento dell’estrema destra, che però, come dovrebbe essere ormai evidente, ha fatto tutta da sola, ha fatto harakiri, ma non è stata sconfitta da sinistra.

Il Partito della libertà è dunque il principale sconfitto in queste elezioni: nel 2017 aveva 1.316.000 voti, il 26,0 % e 51 seggi. Ora si ritrova con 769.000 voti, il 16,2 % e 31 seggi, con una perdita dunque di 547.000 voti, del 9,8 % e di 20 seggi. Quel che è più grave per la FPÖ, è che è proprio nelle regioni in cui è più radicato che maggiore è il dissanguamento: meno 11,9 % in Carinzia, meno 10,9 in Stiria, cui vanno aggiunti Salisburgo (meno 10,7) e il Tirolo (meno 10,2). Le perdite della FPÖ sono dovute in gran parte all’astensione (caso limite la Carinzia: più 6,9 % di astensioni e meno 10,9 % di voti alla FPÖ) e solo in misura minore recuperate dalla ÖVP (185.000 voti) e da NEOS (114.000).

Da quanto detto sulla FPÖ, si dovrebbe capire quanto la “vittoria” della ÖVP vada ridimensionata: recupera infatti solo una parte delle perdite della FPÖ e ben poco da altre direzioni. Dove maggiori sono le perdite dell’estrema destra, maggiori sono i guadagni della ÖVP: Carinzia meno 11,9 % FPÖ, più 8,1 % ÖVP; Stiria meno 10,9 % FPÖ, più 7,5 % ÖVP; Salisburgo meno 10,7 % FPÖ, più 8,7 % ÖVP; eccetera. Tutto ciò tenendo conto del fatto che le percentuali distorcono la realtà, come si è già detto all’inizio. Caso limite il Vorarlberg, dove la ÖVP avanza del 2 % ma in realtà perde quasi 600 voti.

 

L’opposizione del centro liberale

Il partito dei liberali, La nuova Austria e il Forum liberale (NEOS, Das Neue Österreich und Liberales Forum) esce bene da queste elezioni: 382.000 voti, l’8,1 % e 15 seggi, con guadagni di 114.000 voti, il 2,8 % e 5 seggi. Si tratta, con ogni evidenza, di voti sottratti in gran parte al FPÖ, di cui NEOS è in effetti in parte una scissione (fondata nel 2013, vi confluisce l’anno dopo il Liberales Forum, scissione appunto dell’ala moderata del FPÖ nel 1993).

 

Il successo dei Verdi: né di destra né di sinistra?

Senza ombra di dubbio il partito che legittimamente può affermare d’aver vinto le elezioni è quello dei Verdi-L’alternativa verde (Grüne, Die Grünen- Die Grüne Alternative). Nel 2017 avevano ottenuto 193.000 voti e il 3,8 %, senza però riuscire a entrare in Parlamento. Ora sono a 655.000 voti, col 13,8 % e 26 seggi, guadagnando dunque 462.000 voti, il 10,0 % e ben 26 seggi. Un successo indubbio, che però non solo non era inatteso, ma che va in parte almeno relativizzato. Nel 2017, infatti, la loro sconfitta era stata determinata dalla concorrenza di una lista ecologista scissionista, la Lista Pilz (ora Jetzt), che aveva ottenuto 224.000 voti, il 4,4 % e 8 seggi. Il leader della lista, Peter Pilz appunto, è stato successivamente coinvolto in uno scandalo di natura sessuale, che ha avuto ovvie ripercussioni: in queste elezioni la lista ha ottenuto solo 88.000 voti e l’1,9 %, perdendo la rappresentanza parlamentare. Se ragioniamo quindi in termini di “area verde, ecologista”, questa aveva nel 2017 416.000 voti, l’8,2 % e 8 seggi, mentre oggi ne ha 743.000, con il 15,7 % 26 seggi, con un incremento di 327.000 voti, del 7,4 % e di 18 seggi.

Se ammettiamo che i voti persi da Pilz/Jetzt siano andati in massima parte ai Verdi, i 462.000 voti che questi guadagnano provengono per oltre 100.000 da Jetzt e per il resto dal voto giovanile (in Austria si vota a partire dai 16 anni) e dal Partito socialdemocratico.

Le elezioni si sono tenute pochi giorni dopo le imponenti manifestazioni sul clima, che anche in Austria hanno avuto un significativo successo. Sembra dunque evidente che il tema ecologico, che è stato al centro della campagna elettorale, abbia favorito il successo dei Verdi, ma probabilmente in una misura minore di quanto appaia a prima vista. La ripresa dei Verdi, una ripresa forte, s’era infatti già manifestata in occasione delle recenti elezioni europee, quando, grazie anche all’assenza della lista Pilz, i Verdi avevano ottenuto 532.000 voti. Oggi sono a 655.000, con una differenza rispetto alle europee di 133.000 voti in più (sempre rispetto alle europee, i socialdemocratici – che pure figurano fra i grandi perdenti di queste elezioni – sono cresciuti di oltre 100.000 voti, per ricorrere a un termine di paragone). Questo non per negare il successo dei Verdi, ma per relativizzarlo, per non farlo apparire come un boom improvviso: è dovuto, ripetiamolo, in parte alla ricomposizione dell’area ambientalista, in parte al voto giovanile e in parte al crollo dei socialdemocratici. Un solo esempio a quest’ultimo proposito: nella circoscrizione di Vienna i socialdemocratici perdono 81.000 voti e i Verdi ne guadagnano 114.000: 42.000 a spese della Lista Pilz e 72.000 provenienti da altre direzioni (giovani e socialdemocratici).

Il successo dei Verdi è per molti aspetti da salutare come un fatto positivo, ma solo a breve termine, perché in prospettiva non è detto che si riveli tale. Il loro elettorato è genericamente progressista, ma la loro leadership è alquanto disinvolta. Rifugiandosi dietro l’inconsistente formula del “non siamo né di destra né di sinistra”, essa è disponibile a qualsiasi esperimento. Per esempio, nei Parlamenti di tre delle regioni austriache i Verdi governano assieme alla ÖVP, che a livello nazionale governa(va) con la FPÖ. Certo, è vero che nella ÖVP esistono molte “anime”, e che nelle tre regioni probabilmente era prevalente quella “moderata”, ma c’è un limite invalicabile alla decenza per una forza che si vuole “progressista”…

 

Il crollo dei socialdemocratici

Il Partito socialdemocratico d’Austria (SPÖ, Sozialdemokratische Partei Österreichs) scende in queste elezioni al livello più basso mai raggiunto dal 1945 a oggi. Con 1.007.000 voti, il 21,2 % e 40 seggi, perde rispettivamente 355.000 voti, il 5,6 % e 12 seggi. Si tratta di perdite generalizzate in tutte le circoscrizioni, con punte del meno 7,8 % in Tirolo e, soprattutto, del meno 7,2 % a Vienna, tradizionale sua roccaforte, dove mantiene a stento la maggioranza relativa (27,3 %, contro il 24,6 % della ÖVP, il 20,6 dei Verdi e il 12,9 della FPÖ).

Sembra trattarsi di un declino inarrestabile, a meno di improbabili (almeno per ora) decise sterzate a sinistra che rimettano in sintonia la SPÖ con l’elettorato popolare. Il fatto è che dal 1945 a oggi la SPÖ è stata, con l’eccezione di pochissimi anni, sempre al governo con la ÖVP (e in un paio d’occasioni addirittura con la FPÖ, a quel tempo, va detto, molto più moderata di oggi, ma pur sempre un partito di destra). In altri termini, è un partito che non ha, né mai ha avuto, una – mettiamola così – “cultura d’opposizione”: l’ha sempre esercitata, le poche volte che si è trovata in queste condizioni, con una sorta di fair play d’altri tempi. Con l’aggravante che sino almeno agli anni Settanta la SPÖ era al centro di una costellazione di strutture collaterali (dai sindacati alle organizzazioni giovanili, femminili, sportive, eccetera) delle quali restano ormai poche tracce . Nel 1979, per fare un esempio, la SPÖ aveva oltre 720.000 iscritti, cui andavano aggiunte decine e decine di migliaia di simpatizzanti organizzati in una o nell’altra di queste strutture collaterali. Se si confrontano anche i soli iscritti del 1979 con gli attuali elettori della SPÖ (poco più di un milione), si ha un quadro preciso della decadenza di questo partito. Che non si è accorto che le trasformazioni del capitalismo, che pure ha continuato a favorire, disorganizzando la società finivano inevitabilmente per destrutturare e poi distruggere la “comunità” di cui era il centro. E tutto ciò mentre la ÖVP, che pure si basava su un sistema organizzativo per molti versi simile, sotto l’impulso del giovane e spregiudicato Sebastian Kurz si trasformava in un partito centralizzato, personalizzato, aggressivo, autoritario, facendo proprie alcune delle tesi xenofobe dell’estrema destra: e mettendosi così in condizione di attirare a sé ampi strati della popolazione disorientata dagli effetti devastanti delle politiche neoliberali, cui la SPÖ non era in grado di offrire alternative, mentre la ÖVP (assieme alla FPÖ) offriva la più semplice delle soluzioni: la costruzione del “nemico esterno” (immigrati, islamici, eccetera).

 

A sinistra della socialdemocrazia, il vuoto

La crisi della socialdemocrazia austriaca non si traduce nella comparsa alla sua sinistra di alcuna forza organizzata con un seguito significativo. In questo senso pesa fortemente la storia della sinistra austriaca intesa nella sua più ampia accezione (sia riformista che anticapitalista). Il Partito comunista d’Austria (KPÖ, Kommunistische Partei Österreichs) è stato sin dalle origini un partito piccolo (poco più del 5 % fra il 1945 e il 1956, con rispettivamente 4, 5 e 3 deputati), caratterizzato in quegli anni da una ferrea fedeltà allo stalinismo. La repressione dell’insurrezione ungherese (che la KPÖ appoggiò) segna l’inizio della sua parabola, con la successiva perdita della rappresentanza parlamentare e un rapido tracollo elettorale, che da allora ha oscillato fra lo “zero qualcosa” e l’uno per cento. Le rettifiche apportate alla linea politica in questi ultimi anni, con una maggiore apertura e la formazione di mini-coalizioni non sono servite a risollevarne le sorti. Oggi con 32.000 voti e lo 0,7 % arretra persino rispetto ai già magri risultati del 2017 (40.000 voti e lo 0,8 %). In parte ciò è dovuto alla comparsa di un nuovo protagonista in questo settore politico: Wandel (Cambiamento), la “sezione austriaca” di Diem25, il movimento paneuropeo di Varoufachis, che ottiene risultati ancora più deludenti: 22.000 voti e lo 0,5 %. È dunque evidente che né la KPÖ né Wandel, saranno in grado nel prossimo futuro di incidere in alcun modo sulla scena politica austriaca, limitandosi a un ruolo marginale all’interno di movimenti settoriali.

 

In conclusione

Le elezioni hanno segnato una svolta nella politica austriaca, ma non ne hanno sciolto i nodi, che si sono anzi ancor più aggrovigliati. Se è evidente che una grossa fetta dell’elettorato ha punito l’estrema destra della FPÖ, anche in seguito agli scandali emersi (il coinvolgimento di Strache nel cosiddetto Ibiza-gate e l’emergere di un uso disinvolto dei fondi del partito da parte dello stesso Strache e di sua moglie), è altresì evidente che la maggioranza dell’elettorato sostiene ancora i due partiti di centrodestra e di estrema destra. A questo punto la soluzione più logica sarebbe la riesumazione dell’alleanza, per cui ci sarebbero i numeri. Ma c’è un ostacolo: da una parte Kurz a chiesto agli ex alleati lo scalpo di Strache, dall’altra la direzione della FPÖ non può cedere all’ultimatum, pena il rischio di una scissione del partito, la cui ala più oltranzista continua a riconoscersi in Strache. Non è comunque da escludere che magari di qui a qualche tempo l’impasse venga in qualche modo superata, con qualche giravolta e gioco di prestigio. Le altre possibili soluzioni sono tre: 1) un governo di minoranza della ÖVP, che potrebbe basarsi sull’astensione di una o dell’altra forza politica, ma che non avrebbe sicuramente vita né facile né lunga; 2) un’alleanza ÖVP-Verdi, eventualmente allargata a NEOS, che però dovrebbe presupporre l’accordo su temi sensibilissimi (come l’ecologia e i migranti), sui quali i due partiti si trovano agli antipodi, e che provocherebbe non poche lacerazioni nell’uno e nell’altro; infine 3) la riesumazione della “grande coalizione” ÖVP-SPÖ, di estrema improbabilità, e che si tradurrebbe in un suicidio per la socialdemocrazia austriaca (dove peraltro, per inciso, vi sono settori per nulla contrari a questo “ritorno al passato”).

 

Fonte originale: http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=3107:austria–elezioni-un-bicchiere-mezzo-pieno-o-mezzo-vuoto&catid=28:allordine-del-giorno-i-commenti-a-caldo&Itemid=39