L’utopia del reddito di base

C’è un pezzo dei 99 posse del 1994, nel quale si avanza la rivendicazione del salario garantito (da cui il titolo della canzone) e si esprimono sinteticamente ed in modo efficace tutte le motivazioni e l’urgenza di una misura di reddito garantito che assicuri l’autodeterminazione e la liberazione dal lavoro schiavizzato.

di Paola Boffo – Transform! Italia

 

La canzone racconta dei ragazzi iscritti all’università e impegnati nei movimenti, e fra riunioni, manifesti da incollare, occupazioni, si rientra tardi a casa ma si viene svegliati presto la mattina dalla mamma che va a lavorare. Ci si rende conto che non è più possibile restare a carico dei genitori, sottoposti al lavoro salariato per mantenere la famiglia, ma c’è il rifiuto del lavoro sotto padrone, dello studio solo per “arrivare”, si vuole studiare senza fretta per capire come stanno le cose e senza preoccuparsi della produttività, e allora ci vuole il “salario garantito”, che libererà la mamma dal lavoro schiavizzato e consentirà di studiare tranquilli senza ricatti, e per ottenerlo bisogna organizzarsi e cominciare a lottare, visto che il governo non lo realizza.

Poiché una canzone vale più di cento dibattiti, l’ho utilizzata per introdurre il mio intervento nella presentazione del bel libro di Giuseppe Allegri “Il reddito di base nell’era digitale – libertà, solidarietà, condivisione”, appena uscito per Fefé editore: 260 pagine che percorrono la storia delle leggi per i poveri, per la protezione sociale e per l’emancipazione individuale e collettiva, partendo dalla tesi di “una nuova cittadinanza sociale in cui la garanzia di un reddito promuova l’indipendenza delle persone e un inedito rapporto fiduciario fra individui, società e istituzioni” per “rispondere alla primaria esigenza di non lasciare nessuno nelle condizioni di dover vivere in povertà e liberare in ciascuno le proprie potenzialità”. Il libro descrive il contesto europeo e le sperimentazioni che si sono svolte, anche in Italia, l’avvio del dibattito nell’ambito del costituzionalismo e giuslavorismo italiano per un diritto al “minimo vitale” per quell’esistenza libera e dignitosa riconosciuta dall’articolo 36 della Costituzione italiana, l’approdo a una misura come il REI, appena all’inizio del 2018, molto riduttiva, sia in termini di risorse impegnate e popolazione raggiunta, sia nello stesso impianto, basato su una serie di caratteristiche che uno schema di reddito minimo non dovrebbe avere, ovvero una misura indirizzata al nucleo familiare e non all’individuo, condizionata a comportamenti “virtuosi” come presentarsi periodicamente agli incontri con il Centro per l’impiego, svolgere azioni di ricerca attiva del lavoro, frequentare corsi scolastici, tenere comportamenti di prevenzione delle malattie e cura della salute, che dovrebbero impedire il perdurare delle condizioni di esclusione sociale e povertà (anche intergenerazionale) e a contrastare l’opportunismo.

La terza parte del libro si concentra sulle trasformazioni del contesto economico e sociale, con la diffusione dell’automazione e della economia digitale che, da un lato, riducono la necessità di impiego del lavoro umano, e dall’altro configurano nuove condizioni di produzione (e riproduzione) soprattutto nell’economia della conoscenza, che richiedono / consentono / si sposano con la rivendicazione di un reddito di base universale e incondizionato.

Molto utile la bibliografia ragionata dei lavori pubblicati recentemente sul tema del reddito di base, accompagnata da un glossario di termini e parole chiave esplicative delle mille definizioni che ha avuto nel tempo il concetto di una misura di garanzia di base.

Insomma, il libro, a lungo riflettuto, si presenta quasi come un manuale, utilissimo perché compie una egregia ricognizione delle teorie e delle pratiche e suggerisce proposte per il futuro, come quella di un reddito di base europeo, o un eurodividendo finanziato con una imposta europea sulle transazioni finanziarie e/o con una sorta di carbon tax, o semplicemente con una parte degli introiti dell’IVA. E comunque si propone una prospettiva, che qui condividiamo, di pensare a immediati e concreti interventi di politiche pubbliche per innescare e favorire radicali trasformazioni sociali, di mentalità e cultura politica, in Italia e in Europa. Cominciare cioè dalla introduzione di un reddito minimo garantito, vincolato a parametri e verifica dei mezzi e delle condizioni, per arrivare al reddito di base universale e incondizionato, che sostenga l’autonomia e il benessere delle persone.

E invece, precipitando nella realtà attuale dei fatti, va detto che, a differenza di quanto auspicavano i 99 posse, nel nostro paese è mancato un movimento per il reddito, salvo esperienze locali anche importanti, fino a quando il Movimento 5 stelle ne ha fatto bandiera, ha messo il reddito di cittadinanza al primo punto del programma elettorale, e ha vinto.

Nonostante fossero depositati in Parlamento vari disegni di legge per una misura di reddito garantito, infatti, non si è mai proceduto a calendarizzarne la discussione, poiché nessuna maggioranza, di centro destra o di centro sinistra l’ha mai ritenuta una politica da perseguire. L’attuale governo, invece, assume il cosiddetto reddito di cittadinanza come uno dei principali punti qualificanti.

Le anticipazioni sul testo legislativo, che non è ancora definitivo, consentono già di confermare le analisi finora proposte da più parti, a partire dalla evidente considerazione che di tutt’altro che di reddito di cittadinanza si tratta.

E’ infatti una misura rivolta ai nuclei familiari, e non agli individui, con requisiti di cittadinanza o diritto di soggiorno, di residenza da più di 10 anni, di reddito e patrimonio, e i cui componenti non si siano dimessi volontariamente negli ultimi 12 mesi, se non per giusta causa.

Il beneficio massimo ammonta a 9.360 euro annui, ed è condizionato alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e all’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale, e prevede l’obbligo di prestazioni al servizio della comunità, nel tempo libero dagli impegni prefigurati nel Patto per il lavoro, cui  si affianca, nei casi opportuni, il Patto per l’inclusione sociale, definito insieme ai servizi sociali di zona, da parte di tutti i componenti il nucleo che non siano disabili o di età superiore ai 65 anni, o caregiver.

I Centri per l’impiego definiscono infatti un diario settimanale delle attività che devono essere svolte obbligatoriamente dai componenti del nucleo, a pena di decadenza del beneficio, e sono tenuti a svolgere le attività di controllo sui requisiti e sugli adempimenti; inoltre favoriscono l’incontro fra la domanda e l’offerta di lavoro.

Nell’arco temporale dei 18 mesi della durata del beneficio, nel caso di assunzione a tempo indeterminato per almeno 24 mesi il reddito non percepito viene erogato all’impresa che assume, o all’intermediario che ha favorito l’assunzione, tramutandosi così in un incentivo alle imprese !

Il Reddito di Cittadinanza segue l’impianto del REI (di cui abbiamo parlato diffusamente qui) fino a sostituirlo del tutto nell’aprile 2019. Analogo il sistema di controllo e di sanzioni (nelle ipotesi di mancata partecipazione, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di orientamento, di carattere formativo o di riqualificazione, da parte anche di un solo componente del nucleo familiare beneficiario, si applicano la decurtazione di una mensilità del beneficio economico, e via via la decadenza dalla prestazione, nonché la decadenza dallo stato di disoccupazione, la decadenza dal beneficio e, per gli interessati, la decadenza dallo stato di disoccupazione, fino alla disattivazionedella carta acquisti…). La differenza più importante sta nelle risorse economiche stanziate, che per il REI erano pari a 2.059 milioni di euro per il 2018, 2.545 milioni di euro per il 2019, 2.745 milioni di euro annui a decorrere dal 2020, mentre per il Reddito di Cittadinanza si stanziano 6.110 milioni di euro per il 2019, 7.755 milioni per il 2020, 8.017 per il 2021 e 7.841 a partire dal 2022. Sarà più grande, quindi, la popolazione raggiunta, ma bisognerà verificare se, in fin dei conti, il beneficio economico, che a prima vista sembrava molto più consistente, sia effettivamente e sostanzialmente maggiore del REI.

Ma la parte più preoccupante di questo disegno è quella riguardante le sanzioni nel caso di false dichiarazioni (reclusione da 1 a 6 anni, ma non sarebbe più logico fare riferimento alla normativa penale per reati già esistenti ?), le forti condizionalità comportamentali a carico di tutto il nucleo, la previsione che le movimentazioni della carta acquisti siano messe a disposizione delle due piattaforme informatiche di gestione della misura, il fatto che i Comuni e i Centri per l’impiego debbano segnalare alle piattaforme l’elenco dei beneficiari per cui sia stata osservata una qualsiasi anomalia nei consumi e nei comportamenti.

Si configura un sistema quasi poliziesco composto di adempimenti, controlli e sanzioni, che pare disegnato per combattere i poveri, piuttosto che la povertà.

Quello che serve, invece, è una rivoluzione copernicana nella cultura e nella politica, che conduca a un reddito di base universale e incondizionato mediante una prestazione a livello individuale, che liberi dalla povertà ma anche dal lavoro schiavizzato e precario, permetta una vita libera e dignitosa, rafforzi sia il potere d’acquisto che quello contrattuale delle persone più vulnerabili, sostenga l’autodeterminazione femminile e l’uscita da situazioni a rischio di violenza e dalla necessità di essere mantenute economicamente dipendenti dagli uomini, consenta di avere più potere negoziale nel mondo del lavoro precario, dove si potrebbe intraprendere un percorso verso condizioni di lavoro decente, e più sicure, e più dignitose, e anche di alzare il livello generale delle retribuzioni.

Che permetta anche, come ci ricorda Allegri, di mantenersi mentre si mette su una rock’n’roll band, come fecero i Clash nel 1976 “ottenendo un po’ di libertà dalla sicurezza sociale”, e come il gruppo degli UB40, che prendono il nome proprio dall’UnemploymentBenefit Form 40, il beneficio di disoccupazione, grazie al quale si sono realizzati progetti, si è garantita l’indipendenza artistica, si sono avviate carriere che hanno poi creato grandi fatturati, e di conseguenza importanti entrate fiscali, chiudendo il cerchio sulle risorse necessarie a finanziare le politiche.

 

La scheda del libro: https://www.fefeeditore.com/collana/pagine-vere/657-il-reddito-di-base-nell-era-digitale

Fonte originale: https://www.transform-italia.it/lutopia-del-reddito-di-base/