Podemos al bivio elettorale

La frattura sociale e quella politica avevano creato le condizioni per la rottura del bipolarismo e l’affermazione delle sinistre, come Podemos, nello stato spagnolo. Poi è riemersa la questione storica delle fratture territoriali che ha rianimato le destre e rimesso al centro del sistema il Psoe.

di Francesco Campolongo – Jacobin Italia

Il politologo Stein Rokkan ha teorizzato la relazione tre fratture sociali e culturali e la strutturazione dei sistemi partitici. Questo rapporto non avviene in maniera deterministica: i maggiori conflitti sociali e culturali possono alimentare la nascita e il consenso di determinati partiti che, a loro volta, ne alimentano e rafforzano la centralità con la loro azione politica.  Si stabilisce cosi un rapporto dialettico tra istituzioni e società, tra struttura e agente che mette costantemente in relazione la dimensione sociale con quella politica, la struttura delle opportunità politiche con le tattiche e la possibilità degli attori politici. In Spagna la crisi economica ha innescato una crisi organica del sistema che ha coinvolto contemporaneamente la dimensione dimensione politica, sociale e il modello territoriale del paese.

Dal punto di vista politico, questa si è manifestata come crisi egemonica del blocco di potere dominante, composto dal bipartitismo spagnolo del Psoe e dal Pp e dal sistema economico, spesso legati da profonda corruzione. L’austerità e la corruzione hanno rafforzato la crisi della rappresentanza ampliando quello che Peter Mair ha definito come il «vuoto» tra società e politica, alla base di una profonda sfiducia verso i meccanismi della democrazia rappresentativa e la forma partito che ha portato al crollo elettorale del bipartitismo e all’affermazione di nuovi partiti. La dimensione sociale della crisi organica è plasticamente rappresentata dall’altissimo tasso di disoccupazione giovanile (tra i più alti dell’area euro dopo la Grecia) e dall’emigrazione verso l’estero delle nuove generazioni, che alimenta  la mobilitazione degli Indignados contro la precarietà e gli insopportabili privilegi dell’èlite economica e politica. Se la dimensione politica e sociale sono tipiche della crisi dell’eurozona la dimensione territoriale è più specificatamente spagnola. La nuova centralità della frattura territoriale emerge attraverso la crisi catalana, segnando la crisi del modello autonomista spagnolo con la rinascita di un fortissimo movimento indipendentista catalano e il rafforzamento speculare di una destra nazionalista che vi si oppone. Una destra che anche nella sua veste più radicale (Vox), a differenza del resto d’Europa, risulta europeista, antistatalista e che integra, alla classica retorica antimigranti, un violento anticatalanismo che alimenta una proposta di profonda ricentralizzazione statale.

L’esistenza di queste tre fratture e la loro reciproca articolazione ha fatto si che in una prima fase emergesse una nuova frattura politica “vecchio/nuovo”, capace di articolare al proprio interno la profonda frattura sociale (basata sulla lotta all’austerità e alla precarietà) grazie a nuovi soggetti sociali e politici mentre, successivamente, che si rafforzasse e acquistasse nuova centralità la frattura territoriale. La capacità di alcuni attori di rappresentare e valorizzare le fratture della dimensione sociale e territoriale sono state alla base della ristrutturazione del sistema partitico. In una prima fase del ciclo (2011-2016) sembra aver prevalso la frattura sociale, praticata dagli Indignados, costituendo la base della forza politica di un blocco del cambio che si è articolato intorno a Podemos. Successivamente, tuttavia, la riconquistata centralità della frattura territoriale (2016-2019) data dalla questione catalana ha permesso una nuova polarizzazione tra il discorso nazionalista spagnolo e quello indipendentista catalano, costituendo la finestra di opportunità politica per  la radicalizzazione della destra già esistente (Ciudadanos e Pp) e preparando il campo per l’ascesa di un nuova destra nazionalista(Vox). Il ciclo di profonde trasformazioni politiche del sistema spagnolo (frattura politica) va letto necessariamente nella relazione dialettica tra il sistema politico e le due fratture (sociale e territoriale), con la capacità degli attori politici di canalizzare ed alimentare il potenziale politico e simbolico che si esprime nelle due fratture trasformandole in forza politica. Proveremo ad analizzare le due fasi e le prospettive che si aprono con le elezioni del 28 aprile.

 

La frattura sociale: dal 15 M a Podemos

Il ciclo politico che va dagli Indignados (2011) alle elezioni del 26 Giugno 2016 si caratterizza per la centralità della frattura sociale e l’affermazione di un blocco del cambio capace di trasferire nelle istituzioni la domanda di cambio dei movimenti sociali. Il  15 Maggio 2011 milioni  di cittadini scendono in piazza nelle principali piazze spagnole rispondendo all’appello “Democracia real ya” contro l’austerità e per una nuova democrazia. Quelli che si autodefiniranno gli “indignati” saranno capaci di mobilitare in maniera ampia e trasversale, intergenerazionale e interclassista, lontani da sindacati e partiti, invocando a più riprese una potente, se pur confusa, idea di “nuova politica” basata su una maggiore  democrazia e giustizia sociale. Il ciclo di mobilitazione degli Indignados, nel suo lento rifluire, alimenterà percorsi conflittuali specifici come le Maree, la Pah e un fortissimo movimento femminista, capaci di alimentare e rafforzare la costituzione simbolica di un’enorme frattura sociale alla base di una potente domanda di cambio, esemplificata dallo slogan “Si se Puede”.

In questo contesto, tra la crisi di legittimità del sistema politico e l’eredità simbolica e militante del 15 M, Podemos raccoglie la domanda di “nuova politica”. Seguendo le teorie di Ernesto Laclau il primo Podemos coagula le domande sociali in parte articolate dal 15 M intorno ad una proposta politica nuova e dotata di una leadership mediatica. Il partito preferisce  una retorica populista e manichea, adotta fratture alternative a quella destra e sinistra (come casta/gente, basso/alto, nuova politica/vecchia politica) e si pone esplicitamente il tema della ricostruzione della sovranità popolare contro le élite economiche e finanziarie. Podemos accumula forza e consenso valorizzando la frattura sociale, articolando intorno a questa la lotta alla corruzione e per uno stato plurinazionale e repubblicano. All’interno della frattura “basso/alto” la patria evocata si sveste dei connotati etnici. Podemos diventa il perno di un blocco del cambio variegato che erode il consenso del Psoe e spaventa la destra spagnola, capace di vivere sia nelle istituzioni che nelle mobilitazioni sociali, con la forza e l’autonomia di movimenti come quello femminista, dei pensionati e della Pah che permettono l’apertura di opportunità politiche prima impensabili.

Dopo un primo momento di smarrimento da parte degli avversari la “nuova politica” imposta da  Podemos, viene attraversata anche da altri attori. Questi ultimi la declinano in termini di maggiore disintermediazione, lotta alla corruzione e rinnovamento anagrafico emulando prassi e linguaggi del nuovo partito.  Così, Ciudadanos si rinnova divenendo una sorta di Podemos di destra, adottando un linguaggio simile a quello di Podemos e definendosi anch’esso oltre la destra e la sinistra, contro il bipartitismo e la corruzione grazie ad una leadership aggressiva ed efficace come quella di Rivera. Nel Psoe, dinanzi alla sfida di Podemos, emerge la leadership di Pedro Sánchez con un profilo più socialdemocratico e in aperta rottura con i baroni del Psoe. Il quadro politico variegato da nuova centralità al parlamento ma, tuttavia, l’impossibilità di trovare una maggioranza favorisce ancora un volta la formazione di un del Pp a guida Rajoy. In questa prima fase il 15 M ha costituito la base sociale di un discorso radicale di massa che ha rappresentato il patrimonio di retoriche, pratiche organizzative e simboliche a cui ha attinto Podemos. Che è stato capace di conquistare la centralità dello scacchiere politico grazie alla forza della frattura sociale, alimentando la costituzione di un blocco del cambio capace di superare il 20% e governare le principali città spagnole. Il sistema partitico ne esce rinnovato e il bipartitismo ridimensionato. L’assalto al cielo è riuscito, ma soltanto a metà.

 

Dalla frattura sociale alla frattura territoriale

La frattura territoriale è sempre stata una componente fondamentale del sistema politico spagnolo che sembrava aver trovato un certo equilibrio dopo la normalizzazione del conflitto basco. La bocciatura dello statuto catalano da parte della corte costituzionale spagnola, avvenuta il 28 giugno 2010,  ha  riaperto con forza  la crisi del modello territoriale spagnolo. La chiusura a qualsiasi tipo di dialogo da parte del governo nazionale del Pp radicalizza la posizione di parte delle forze catalane, che passano all’indipendentismo, mentre il consenso popolare verso la proposta indipendentista diviene man mano maggioritario. In questo clima matura l’intenzione di una consultazione popolare sull’indipendenza catalana da parte del parlamento catalano. Dopo una prima consultazione nel 2014, stroncata della corte costituzionale, nelle successive elezioni catalane del 2016 prevalgono le forze  indipendentiste rappresentante da Junts Per Catalunya, Esquerra Repubblicana e dalla Cup concordi nel proporre una seconda consultazione. Dinanzi alla chiusura del governo nazionale, sordo a qualsiasi tipo di riforma, non rimarrebbe che la scelta dell’indipendenza unilterale.

Se nel discorso della destra indipendentista (Junts per Catalunya) l’asse centrale della rivendicazione corrisponde ad  una minore redistribuzione economica  territoriale, per la sinistra (Cup e Esquerra Republicana) l’indipendenza attraverso con l’istituzione di una repubblica catalana aprirebbe ad un processo costituente di superamento della monarchia in tutta la Spagna. Il braccio sociale dell’indipendenza sono i “Comitati per la difesa della repubblica” in cui convergono  i movimenti a sostegno del processo indipendentista, capaci di alimentarne le grandi mobilitazioni popolari a sostegno. Nell’opposizione al referendum catalano si rafforza un nuovo nazionalismo spagnolo che trova nei protagonisti dell’indipendentismo, piuttosto che nei migranti, il nemico attraverso il quale costruire un noi nazionale escludente e capace di eclissare in parte la dicotomia basso/alto che si era precedentemente imposta. La nuova polarizzazione favorisce in particolare Ciudadanos mentre penalizza la sinistra. La posizione di Unidos Podemos e Catalunya en Comun, contrari all’indipendenza ma favorevoli al diritto all’autodeterminazione attraverso un referendum costituzionale, si attira le critiche sia degli indipendentisti e che del blocco nazionalista (di cui fa parte anche il Psoe).

Il primo ottobre 2017 si svolge il referendum nonostante la repressione feroce del governo nazionale. Le scene di violenza da parte della polizia nazionale rimangono un’enorme ferita sia per il popolo catalano che per la cultura democratica tutta. Al referendum prendono parte il 43% degli aventi diritto, stravince l’opzione indipendentista  e pochi giorni dopo il presidente Catalano dichiarerà l’indipendenza della regione catalana.  La dichiarazione però non viene riconosciuta da nessun stato terzo né dall’Ue ma scatena la reazione del governo spagnolo e della destra. Il governo centrale risponde con l’adozione dell’articolo 155 che esautora la presidenza della regione catalana mentre il pericolo della rottura territoriale alimenta uno spagnolismo aggressivo favorito dalle destre. Quasi contemporaneamente la magistratura procede alla messa sotto accusa dei leader dell’indipendentismo attraverso fattispecie giuridiche, come il reato di ribellione, difficilmente compatibili con i fatti accaduti e lo stato di diritto.

In questo modo la destra si appropria della Costituzione, che diventa un significante capace di articolare in maniera ancora più netta la frattura territoriale,  con i sostenitori dell’articolo 155 (Pse, Pp, Ciudadanos e Psoe) che si intestano il titolo di “blocco costituzionale” riuscendo ad imporre nella narrazione pubblica l’esistenza di un blocco di  “golpisti” (gli indipendentisti) e dei loro fiancheggiatori (Unidos Podemos). Come nella più classica dicotomia populista non c’è spazio per terze posizioni come quella di Unidos Podemos (contrari sia all’articolo 155 che alla dichiarazione unilaterale di indipendenza), la polarizzazione costituzionalisti/golpisti favorisce uno spostamento a destra dell’intero asse politico, sostituendo le fratture “vecchia/nuova” politica e “basso/alto”. La successiva elezione di Torra come presidente della regione catalana, esponente dell’ala più radicale del PdeCat, segna l’affermazione del polo di destra nel blocco indipendentista mentre l’affermazione di Ciudadanos (il partito più votato in Catalogna) dimostra l’esistenza di una frattura che attraversa la stessa società Catalana e che premia le diverse destre.

Nemmeno la fine del governo Rajoy apre spiragli per la crisi territoriale. Il governo di  Pedro Sánchez, nasce da una mozione di censura sostenuta da Unidos Podemos e le forze nazionaliste (catalani e baschi). Un governo debole che proverà a cercare la maggioranza in parlamento su ogni provvedimento, tentando di rispondere alla frattura sociale e territoriale. Rispetto alla prima, grazie alle pressioni fondamentali di Unidos Podemos, del movimento femminista e della mobilitazione dei pensionati viene proposta una delle leggi finanziarie più a sinistra della storia della Spagna. Ma per approvare la legge finanziaria c’è bisogno di un accordo con i partiti catalani. Un dialogo molto difficile, nonostante il consenso sulle misure sociali da parte della sinistra indipendentista, per le posizioni sostanzialmente inconciliabili tra il governo socialista, che predica il massimo del dialogo all’interno della costituzione, e quella dei partiti catalani, che sostengono il massimo del dialogo ma senza soluzioni possibili all’interno di questo quadro costituzionale. Valgono a poco alcune piccole concessioni ai leader dell’indipendentismo incredibilmente tutt’ora in carcere.

Mentre l’azione ingessata del governo Sánchez procede per atti simbolici e decreti, la destra si scatena contro un governo sostenuto dai “golpisti”. La nuova leadership del Pp di Pablo Casado inizia una competizione a destra con Rivera di Ciudadanos e prepara il campo discorsivo per l’affermazione di Vox. Il ritorno ad uno spagnolismo aggressivo e anticatalano coagula una destra che riscopre l’ostilità verso i migranti e il movimento femminista. L’anticatalanismo è il collante ideologico ed efficace di una destra machista e razzista che assume tanti volti: Ciudadanos è una forza maggiormente centrista che riesce a rubare voti al Psoe (se pur indistinguibile su molti temi dalla destra radicale), il Pp è più radicale rispetto a quello di Rajoy e vede buona parte del suo elettorato passare a Vox. La somma di queste destre,  con posizioni in parte differenti sui diritti civili ma unite dall’applicazione dell’articolo 155 contro i “golpisti catalani” e dalla stessa visione economica, potrebbe diventare un’ipotesi di governo.  In Andalusia, di fronte all’inerzia del governo Sanchez e a 40 anni di governo del Psoe, l’elettorato di sinistra diserta le urne e si afferma un governo del Pp in accordo con Ciudadanos e Vox.  Il fallimento delle trattative da parte del governo nazionale con i partiti catalani segna il destino della legge finanziaria e quella del governo Sánchez, ma il flop della manifestazione convocata nella piazza di Colón dal tripartito della destra ci restituisce un quadro molto più incerto per le elezioni del 28 aprile.

La lotta per l’indipendenza catalana non ha suscitato un’ondata repubblicana ma un reazione violenta dello stato centrale e della destra, capace di rigenerarsi come araldo dell’unità territoriale contro il “nemico indipendentista” attingendo a quel franchismo ideologico che attraversa carsico la Spagna. Il Psoe, nonostante un postura solo formale verso il dialogo, esce rafforzato da questa breve ed effimera esperienza di governo presentandosi come il difensore dell’ordine costituzionale dalla destra radicale e dagli indipendentisti. Tra l’avventurismo indipendentista catalano e il risveglio della retorica franchista, paga il prezzo più alto  la sinistra spagnola.

 

Verso il 28 aprile. La centralità del Psoe

Se il ciclo politico si era aperto con gli Indignados e la frattura sociale lo stesso rischia di chiudersi con la riconquista della centralità da parte del Psoe, al netto degli scarsi risultati del suo effimero governo. Secondo gli ultimi sondaggi il Psoe potrebbe essere il partito più votato mentre le due ipotesi di governo più accreditate sarebbero un governo Psoe-Ciudadanos oppure il governo delle tre destre. Pedro Sanchez può rivendicare di aver proposto “la finanziaria più a sinistra della storia” e scaricarne la responsabilità della mancata approvazione sugli indipendentisti, cui avrebbe teso la mano non cedendo mai alle sirene dell’autodeterminazione. Si tratta della riproposizione del discorso della transizione in cui modernizzazione e progresso vanno di pari passo con la retorica del dialogo e della conciliazione, grazie all’occupazione ben salda del centro politico e l’invocazione della moderazione. Una posizione evidentemente favorita dalla radicalizzazione della destra con il Psoe che si propone come baluardo della lotta contro la destra e l’indipendentismo. Ma allo stesso tempo l’alleanza con Ciudadanos oggi sembra scarsamente probabile, visto che per quest’ultimo rimane centrale un nuovo articolo 155 e non perdona a Sánchez il suo dialogo con gli indipendentisti. L’altra ipotesi di governo più accreditata vede la riproposizione dello schema andaluso, vista la sicura entrata di Vox in parlamento e la possibile maggioranza di un blocco di centro destra estremamente radicale. Ma se in Andalusia aveva giocato un ruolo importante la divisione dei tre partiti grazie alla legge elettorale proporzionale, producendo un competizione virtuosa in grado di aumentarne il consenso complessivo, la stessa divisione a livello nazionale potrebbe penalizzarne il risultato. Inoltre, la vittoria Andalusa era stato più il prodotto dell’astensione della sinistra che di una crescita complessiva della destra (esclusa una certa quota di voti passati dal Psoe a Ciudadanos) per cui proprio quel risultato e i primi atti del governo andaluso (con Vox che è arrivato a chiedere la lista delle lavoratrici dei centri antiviolenza) potrebbe spingere molti astensionisti a mobilitarsi contro l’ipotesi di un governo nazionale di destra. Proprio Vox sembra essere la fragorosa new entry del 28 Aprile capace di raccogliere consensi nella Spagna rurale e tra le fasce più abbienti.

La centralità della frattura territoriale ha colpito la sinistra. Al netto degli errori e delle divisioni dei soggetti nazionali e territoriali che compongono Unidos Podemos, la polarizzazione tra nazionalismo e indipendentismo ha infilato la sinistra in una posizione difficilissima, vista la collocazione fuori dai due poli e la proposta di una soluzione difficile se pur di buon senso. Ancora una volta, perà, Unidos Podemos è a grande incognita in grado di sparigliare le carte. Nel bel mezzo della crisi peggiore della sua breve storia, con l’abbandono di Íñigo Errejon e la moltiplicazione delle divisioni nei territori, i sondaggi ne registrano il declino e il modello di partito ultraleggero sembra essersi trasformato da importante risorsa in pesante eredità. Tuttavia, non sarebbe la prima volta che in campagna elettorale Unidos Podemos ribalta i pronostici che la danno in caduta libera.

La mobilitazione femminista dell’8 marzo, dei pensionati e dei tassisti contro l’uberizzazione dell’economia potrebbe alimentare un contesto di effervescenza sociale capace di spostare nuovamente a sinistra l’asse politico, ridando forza alla frattura sociale. Dall’altra parte, il vergognoso processo  contro gli indipendentisti sembra una passerella perfetta per la nuova destra. Ci sembra però  che solo un ottimo risultato di Unidos Podemos potrebbe riaprire la prospettiva di un governo sostenuto dalla stessa maggioranza della mozione di censura che tenti di articolare una proposta sociale e territoriale capace di sbrogliare la matassa. Solo una sinistra forte può articolare una proposta di cambio che tenga assieme il principio di autodeterminazione della pluralità di popoli che compongono al Spagna e una radicale democratizzazione economica e sociale, verso un modello di repubblica federale che, se pur lontana da raggiungere, sembra l’unica via di uscita possibile.