Quei miliardari così generosi per Notre-Dame, così indifferenti con la povertà

“Victor Hugo ringrazia tutti i generosi donatori che sono pronti a salvare Notre-Dame de Paris e si offrono di fare lo stesso con Les Misérables”. Questo Tweet saggista Ollivier Pourriol, pubblicato Mercoledì, 17 aprile, ha fatto eco tra i volontari e responsabili di associazioni di lotta contro l’insicurezza e la povertà. Queste parole riassumono il loro sentimento ambivalente verso l’inondazione di denaro versato per ricostruire la cattedrale di Parigi devastata dalle fiamme, lunedì 15 aprile alla fine della giornata.

di Lorenzo Carchini

 

L’eventuale ricostruzione della cattedrale di Notre Dame è una questione lunga, fortemente intrecciata con la politica francese dei prossimi anni, ma nelle ore immediatamente successive all’incendio che ha distrutto il tetto e rischiato di condannare uno dei più famosi monumenti parigini, le donazioni per la ricostruzione sono schizzate verso il miliardo di euro.

Ancor prima che i cumuli di fumo che per tutto il giorno e la notte avevano sovrastato il cielo della capitale si fossero dispersi, il magnate del lusso Francois-Henri Pinault aveva annunciato che la propria famiglia avrebbe donato 100 milioni di euro. Per non essere da meno, la rivale Beranrd Arnault – l’uomo più ricco d’Europa – aveva annunciato una donazione doppia il giorno successivo. Altrettanto ha fatto la famiglia Bettencourt Meyers, che controlla L’Oreal. Patrick Pouyanne, capo del gigante del petrolio Total, ha offerto altri 100 milioni di euro.

Insomma, nonostante ancora non sia possibile stabilire con certezza l’estensione dei danni ed i relativi costi di recupero, è facile ipotizzare che qualunque cifra verrà facilmente coperta.

Nel frattempo, però, la pioggia di denaro materializzatasi nel giro di una notte per salvare la cattedrale ha sollevato molte polemiche in Francia, ancora nel bel mezzo della protesta dei Gilet Gialli e con un presidente accusato di rivolgersi esclusivamente alla parte più ricca della cittadinanza. I gruppi che hanno immediatamente offerto enormi quantità di denaro sono diventati il bersaglio delle critiche di diversi partiti di sinistra, sindacati, Gilet Gialli e enti di beneficienza.

“Certo che la generosità di ricostruire Notre Dame è legittimo, è un tesoro nazionale”, dice Florent Gueguen, direttore della Federazione degli attori di solidarietà (Fas), che riunisce 800 organizzazioni. “Ma vorremmo che questo slancio raggiungesse anche le persone più povere, la solidarietà è un altro tesoro nazionale”.

Secondo Philippe Martinez, capo del sindacato CGT, questa storia “mostra davvero le disuguaglianze in questo paese”. “Se possono donare decine di milioni per ricostruire Notre Dame, allora potrebbero smetterla di dirci che non ci sono soldi per combattere l’emergenza sociale”.

Manon Aubry, una figura di spicco in Francia Insoumise, il principale partito di sinistra radicale, ha definito il finanziamento un “esercizio di pubbliche relazioni”, sostenendo che la lista dei donatori “assomiglia alle classifiche di società e persone situate nei paradisi fiscali”.

Nel 2018 tutti gli enti di beneficienza hanno sperimentato una forte riduzione delle donazioni, un calo in media del 4,2% secondo France Bounties, un declino senza precedenti negli ultimi dieci anni. Un calo ancor più grave per le fondazioni che già hanno patito nel corso dell’anno l’abolizione della tassa di solidarietà sul patrimonio (ISF) trasformata in tassa sui beni immobili (IFI) rendendo i cittadini più restii a finanziare opere di beneficienza e fondazioni.

Dare è allo steso tempo dimostrare ricchezza, generosità, solidarietà e potere, migliorando al contempo la propria immagine facendo del bene. Nel saggio sul dono, Marcel Mauss nel 1925 spiegava che “dare e ricevere” è stata a lungo la fonte del commercio nella società. Un concetto valido ancora oggi. Per incoraggiare le imprese a distribuire la loro generosità, la legge sulle sponsorizzazioni consente loro, dal 2003, di tassare il 60% delle donazioni, entro il limite dello 0,5% del fatturato. Per i singoli, la soglia è al 66%, entro il limite del 20% dell’imponibile. Edourad Philippe, attuale primo ministro, ha innalzato al 75% la spinta per le donazioni inferiori ai mille euro per ricostruire la cattedrale.

Anche al di fuori dell’emisfero occidentale il fenomeno delle donazioni non è passato inosservato. Il giornalista sudafricano Simon Allison ha raccontato in un tweet come “In poche ore oggi, 650 milioni di dollari sono stati donati per ricostruire Notre Dame” mentre “In sei mesi, appena 15 milioni sono stati raccolti per ristrutturare il Museo Nazionale del Brasile”, ridotto in cenere lo scorso Settembre, inserendola all’interno di una sorta di gerarchia delle emozioni che in Occidente viene ancora vissuta come un retaggio del colonialismo che si traduce in azioni collettive istantanee.

In effetti il caso brasiliano è esemplare. Il museo nazionale di Rio de Janeiro era un’istituzione vecchia di due secoli contenente più di venti milioni di opere della storia dell’America del Sud e l’incendio dello scorso 2 Settembre hanno distrutto il 90% delle opere, un danno incalcolabile per il patrimonio culturale di un intero continente.

Ovviamente la questione non è definire se sia più importante la cattedrale di Notre Dame o il museo brasiliano, ma ricordare che esistono ancora enormi differenze di trattamento ed un diverso richiamo internazionale tra i vari paesi, dal quale non sono esclusi neanche i mass media. Le grandi testate di tutto il mondo hanno improvvisato edizioni straordinarie, maratone, dirette, interrompendo le proprie programmazioni per trasmettere a ripetizione immagini del tetto in fiamme, il drammatico crollo della guglia e le parole del governo transalpino.

Dentro e fuori i confini francesi, il disagio si è accentuato sulla percezione di disparità tra la preoccupazione per il destino di magnifici monumenti e quella per le difficoltà delle persone in carne e ossa, qualcosa evidentemente più difficile da portare davanti ai potenziali donatori.

Lo scorso Febbraio, ad esempio, le Nazioni Unite hanno lanciato una campagna di aiuti da 4 miliardi di dollari per lo Yemen, un paese da tempo vittima di una profonda crisi umanitaria. Nelle ore successive , arrivarono circa 2,6 miliardi di dollari, un successo nell’immediato, ma ancora al di sotto dell’obiettivo.

La vicenda di Notre Dame offre un contrasto sorprendente: non ci sono state vittime, nessuno sta morendo di fame, ma i filantropi hanno fornito subito grandi somme istantaneamente, ancor prima di poter prendere interamente coscienza di quanto accaduto. Anni di inquinamento, condizioni meteorologiche e pochi interventi da parte delle autorità preposte, avevano portato la chiesa ad essere una struttura già ampiamente a rischio. Nel tempo si è chiesto di intervenire con finanziamenti, ma né il governo né i grandi mecenati erano disposti a vedersi aumentare le tasse.

Poi è arrivata la settimana santa del 2019 e d’un tratto le immagini dell’incendio sulle familiari rive della Senna hanno svegliato qualcosa. Dopo anni passati a predicare la contrazione del settore pubblico, il presidente Macron ha deciso di mobilitare tutte le risorse dello stato per ricostruire il tetto e la guglia della cattedrale in soli cinque anni. E intanto piovono i soldi della classe più ricca del paese.

La storia di Notre Dame ci lascia principalmente due spunti: il primo è che ciò che sta accadendo questa settimana è una dimostrazione notevole del coordinamento del settore pubblico e della generosità privata al servizio di una grande causa: il restauro di un tesoro internazionale. Il secondo è che la ricostruzione sarà il riflesso della gigantesca ipocrisia della politica dell’austerità.

Da una parte una classe miliardaria che protestò contro le tasse sulla ricchezza dell’ex presidente François Hollande ed oggi è disposta a versare milioni in beneficienza. Dall’altra un politico, Emmanuel Macron, che ha ripetutamente detto ai poveri di vivere con meno ed ai lavoratori di cedere diritti in favore dei padroni, che gioca a fare il leader nazionale unitario. In mezzo una città finita negli ultimi mesi sotto l’assedio dei Gilet Gialli e che oggi ricorda che tra le sue mura ospita l’enorme ricchezza detenuta da pochissimi cittadini.

La domanda che molti osservatori si pongono è perché serva una tale potente conflagrazione per forzare questa minuscola frazione di società ad aprire il portafogli; e perché tali generosi donatori siano invece così contrari a dare i loro soldi davanti a quello strumento, democratico solo sulla carta, chiamato tasse. Se gli ultra-ricchi riescono a far piovere così tanti milioni di euro per un edificio, cosa impedisce loro di intervenire a contro la povertà?

Sono domande che rimarranno senza risposta, come quanto verserà la Chiesa cattolica, mentre la stampa continuerà a sfoggiare some a nove cifre ed il presidente Macron si congratulerà con i donatori senza domandare da dove vengano tutti quei soldi. Merryn Somerset Webb, di Moneyweek ha twittato: “I miliardari a volte possono essere davvero utili”.

Intanto il richiamo all’unità nazionale dall’Eliseo, nel tentativo di “trasformare questa catastrofe” in una sfida per diventare “migliori di ciò che siamo”, cadeva di fronte alla realtà assai più frammentata della società francese.

Non appena Pinault aveva promesso i suoi 100 milioni di euro, il suo consigliere, Jean-Jacques Aillagon, suggeriva che tutte queste donazioni ricevessero una detrazione fiscale del 90%.  Sebbene la proposta venga repentinamente ritirata – il tempo di ricordare che di quel centinaio di milioni, 60 sarebbero stati direttamente pagati dal pubblico – l’effetto di una deflagrazione, tanto da spingere la mattina successiva la famiglai Pinault ad annunciare alla radio che non rivendicherà sgravi di sorta. La reazione più dura è arrivata da Ingrid Lavavasseur, una delle leader del movimento dei Gilet Gialli: “C’è una crescente rabbia sui social media per l’inerzia delle grandi corporation per la miseria sociale mentre si stanno dimostrando in grado di mobilitare una folle quantità di denaro durante la notte per Notre-Dame”.

Poi è arrivata la notizia dei 200 milioni di euro in arrivo dall’uomo più ricco di Francia, Bernaud Arnault, che solo pochi anni fa aveva presentato domanda per la nazionalità belga. Questo non per godere di vantaggi fiscali, disse il suo portavoce , ma solo per meglio ordinare i suoi affari. Nulla a che vedere, quindi, con il fatto che l’imposta di successione in Belgio sia solo del 3%, mentre la Francia è l’11%.

Se non serve certo un cattedrale in fiamme per ricordarci quella vecchia pratica d’inizio età moderna chiamata vendita delle indulgenze, quando nobiltà e ricchi in genere potevano ammassare le proprie fortune come meglio credevano, purché donassero una fetta anche alla Chiesa per ripulire la propria reputazione e assicurarsi la salvezza. Per molti, questi grandi donatori sono anche i simboli di una classe di superricco intoccabile che continua a diventare sempre più ricco, grazie a una serie di vantaggi fiscali.

Diceva frate Tetzel “appena una moneta gettata nella cassetta delle elemosine tintinna, un’anima se ne vola via dal Purgatorio”.