Verso le europee: quanto “siamo europei”, secondo Calenda?

Un Manifesto per la costituzione di una lista unica delle forze civiche e politiche europeiste alle prossime elezioni europee. L’idea è di Carlo Calenda che ha messo a punto un Manifesto da sottoporre ai partiti politici e non solo. “L’Italia e l’Europa sono più forti di chi le vuole deboli!” si legge sul sito https://www.siamoeuropei.it/, che diffonde il testo integrale del Manifesto e le modalità per aderire.

di Lorenzo Carchini

Da mesi Calenda è uno dei più attivi tra quei politici che stanno interrogandosi su come possa il PD recuperare i consensi persi alle ultime politiche: finora, però, Calenda era sempre sembrato suggerire proposte che non prevedessero un superamento formale del partito.

L’idea, oggi, è quella di inserire il PD all’interno di “un progetto più ampio e convincente”, come ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera. Rispetto al suo primo tentativo di lancio politico col “fronte repubblicano” del 2018, espresso sulle colonne de Il Foglio, con scarso successo, “Siamo Europei” appare un’operazione maggiormente strutturata, con 150mila firme raccolte e l’ufficiale supporto del PD, sancito dalla firma di Matteo Orfini.

Tra i primi firmatari risultano Maurizio Martina, attuale segretario e candidato alle prossime primarie PD, Nicola Zingaretti, candidato alle primarie e governatore del Lazio); i governatori Sergio Chiamparino (Piemonte), Stefano Bonaccini (Emilia Romagna), Enrico Rossi (Toscana), Catiuscia Marini (Umbria). Sindaci come Beppe Sala (Milano), Giorgio Gori (Bergamo), Virginio Merola (Bologna), Dario Nardella (Firenze), Giuseppe Falcomatà (Reggio Calabria); Ex amministratori come Giuliano Pisapia ed ex esponenti di governo come Paolo Gentiloni, Mario Giro e Claudio De Vincenti, oltre ad esponenti della società civile come l’ex rettore della Scuola Normale di Pisa, Vincenzo Barone, e Walter Ricciardi, dimissionario dall’Istituto Superiore di Sanità.

L’ex ministro Calenda oggi è un semplice iscritto al Partito Democratico, che non ricopre alcun ruolo dirigenziale nel partito, eppure ad appena un anno dalla sua iscrizione è diventato una delle voci principali nel campo del centro-sinistra, con temi e proposte che hanno alimentato discussioni e dibattiti, talora rubando la scena ad un congresso immobile ed agli stessi candidati alla segreteria. A far la differenza finora è stata la capacità comunicativa di un uomo politico, con trascorsi nel governo, ma formalmente estraneo alla direzione del partito, capace di muoversi nel vuoto di leadership del PD post Renzi, così come nelle varie diramazioni da +Europa a Scelta Civica, decidendo esplicitamente di escludere dal proprio raggio d’azione Forza Italia a destra, Liberi e Uguali e le altre forze corpuscolari a sinistra.

Sebbene lo stesso Calenda abbia ripetuto che il manifesto non costituisca un mero vincolo di promozione personale, nell’immobile e silenzioso vuoto di potere del centrosinistra, i suoi interventi pubblici suonano come se a parlare fosse non tanto un segretario de facto, ma un candidato leader a ciò che potrebbe nascere un domani (complici anche sventure e vicissitudini familiari di Matteo Renzi), arrivando a proporre che nel corso delle primarie del prossimo 3 Marzo agli elettori venga proposto di firmare il suo manifesto europeista.

Nel documento si fa riferimento a forze politiche, attualmente al governo del paese ed in ascesa negli altri contesti europei, che avrebbero obiettivi autoritari ed antidemocratici. Le prossime elezioni esporrebbero il Vecchio Continente ad un “rischio concreto di un’involuzione democratica” e di fronte a questa “battaglia per la democrazia”, l’obiettivo della lista  “Siamo europei” sarà di rifondare e riaffermare “i valori dell’umanesimo democratico in un mondo profondamente diverso rispetto a quello che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni”.

Tre le sfide prefissate: “il radicale cambiamento del lavoro, e dunque dei rapporti economici e sociali, a causa di un’ulteriore accelerazione dell’innovazione tecnologica; il rischio ambientale e la necessaria costruzione di un modello di sviluppo legato alla sostenibilità; uno scenario internazionale più pericoloso e conflittuale”.

In realtà il contenuto politico programmatico risulta molto vago, concentrandosi sul ripensamento dello stato sociale, ma ancora dal punto di vista di un centrista liberale e che non va oltre ad una limitata dichiarazione d’intenti sull’Europa e l’immigrazione.

Questa la base ideale e culturale che dovrebbe portare alle prossime europee una lista che vada oltre i confini del PD, ma che in futuro potrebbe delineare un prossimo corpo politico centrista. Ma quali potrebbero essere questi limiti? Ad oggi non esistono, invero, interlocutori che siano al di fuori del Partito Democratico, come confermato dal neo segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, che ha parlato di un dialogo con Italia in Comune e Verdi, escludendo tuttavia un perimetro comune col centrosinistra del PD. Anche Emma Bonino, fondatrice del partito, ha spiegato come in elezioni basate su sistema proporzionale sia meglio andare divisi piuttosto che esporsi al rischio risucchio in listoni. I Verdi, infine, hanno annunciato pubblicamente l’accordo raggiunto con Italia in Comune (il movimento di sindaci che vede tra i promotori Federico Pizzarotti, ex M5S e sindaco di Parma) per una lista civica ed ecologista, il cui lancio è previsto il 23 Febbraio al Teatro Quirino, Roma. Pizzarotti, dopo aver trattato con Zingaretti e lo stesso Calenda, ha declinato l’offerta di una lista unitaria, sostenendo l’impossibilità del PD a soluzioni non “pdcentriche”, oltre a far saltare possibili accordi con De Magistris, Diem25 di Varoufakis e gli europeisti di Volt.

Il quadro quindi si mostra indirizzato verso una triade +Europa, Verdi, Italia in Comune per un voto d’opinione europeista, anti-sovranista, anti-populista, ma al di fuori del PD e dall’annesso rischio di esserne definitivamente inglobati in listoni unitari. L’ipotesi lista, infatti, si scontra col sistema elettorale che vedremo in atto il 26 maggio, che premia la pluralità dell’offerta politica. Inoltre, anche in passato questo genere di operazioni non ha prodotto i risultati sperati. Si pensi all’esperimento “Uniti nell’Ulivo”, formato da DS e Margherita nel 2004, che avrebbe dovuto conquistare più del 35% delle preferenze ma si fermò al 31%.

Nonostante le firme, neppure Partito Democratico ha accolto unanimemente l’idea di Caldenda, per cui le stime dei sondaggi si aggirano intorno al 20-24% (su livello di M5S) e l’80% tra gli elettori PD e +Europa. Nei fatti, il progetto ha incontrato la freddezza di Giachetti ed altri esponenti come Patrizia Toia, capogruppo PD al Parlamento Europeo e vicina al candidato Nicola Zingaretti, che ha detto a Repubblica: “Il manifesto di Calenda non è il Vangelo”. Antonello Giacomelli, deputato di lungo corso, vede poca chiarezza su una lista unitaria che accolta troppi profili diversi fra loro. Stefano Ceccanti, invece, pur condividendo le dichiarazioni di principio del manifesto, non ne vede un’applicazione pratica.

Carlo Calenda costituisce chiaramente un motivo di discussione all’interno di un PD sempre in bilico fra liberal-democrazia e la ricerca di quel che resta della tradizionale sinistra italiana. La principale preoccupazione di coloro che hanno accolto il manifesto di “Siamo Europei” nel circolo mediatico nazionale è precisamente evitare che il declino di Renzi comporti la fine di un PD inteso come contenitore politico privo d’identità, al di là dei tradizionali inquadramenti di sinistra e cattolicesimo democratico. Parimenti, esistono correnti pronte a ripensare il partito in forme più grandi, d’azione, liberaldemocratiche. Ecco, a questo punto il listone europeista fungerebbe da meccanismo per liquidare sin da subito la nuova leadership, che con ogni probabilità sarà conquistata da Nicola Zingaretti, ultimo prodotto di quella filiera PCI, PDS e DS e che si è prefissato l’obiettivo di “riportare all’ovile” quella sinistra arrabbiata e scontenta che nel Marzo scorso ha dato fiducia ai Cinque Stelle.

Al di là della possibilità di un formale superamento del partito, cosa porta di nuovo l’idea di Calenda nei posizionamenti del centrosinistra entro i quali è maturata la cocente sconfitta di appena un anno fa? Il manifesto non accenna in alcun modo ad un superamento della lettura dogmatica e impolitica dei Cinque Stelle o del populismo aberrante e forcaiolo della Lega, a prescindere dalle basi e dalle istanze sociali. Non si parla dell’Italia delle periferie, ovvero ciò che ha rintanato il centrosinistra nelle anguste case-torri delle Ztl e dei centri storici. Non si torna a parlare di lavoro con i sindacati, in particolare con il nuovo leader della Cgil, Maurizio Landini, al quale – è bene ricordarlo – Matteo Renzi preferì Verdini, che oggi pare l’unico vero sussulto vitale della sinistra sociale. Infine torniamo al contesto europeo, dove al contrario dell’Italia ancora alla ricerca degli atomi e dei moderati, si sta riscoprendo la ragion d’essere della sinistra come laboratorio sociale volto a piegare le storture del capitalismo, dai Labour inglesi al governo portoghese. In conclusione, il pur lodevole manifesto sembra che ignori una grossa fetta del paese, che non legge, non si informa, non firma manifesti, è sempre meno moderata, vota ancora meno e soprattutto vota per altri.