La guerra danese contro gli immigrati

Il governo danese (socialdemocratico), come altri governi scandinavi, ha da anni dichiarato una guerra senza quartiere ai richiedenti asilo. Indipendentemente dal colore politico di chi è al potere prevale una linea comune: “frugalità” nella disponibilità a immettere risorse nei Paesi meridionali dell’Ue e rifiuto, fino a propagandare apertamente l’ipotesi “rifugiati zero” per quanto riguarda il proprio territorio.

di Stefano Galieni – Transform! Italia

Da Copenaghen la “Sirenetta” sembra ormai aver voltato le spalle all’Europa e la campagna in atto ormai da alcuni anni porta a riattualizzare una frase scontata dell’Amleto “C’è del marcio in Danimarca”.

Già nel gennaio 2016 il parlamento aveva approvato, il 26 gennaio, una legge a dir poco contestata per scoraggiare le richieste di asilo che prevedeva, fra l’altro, la possibilità di confiscare beni e gioielli ai migranti che avevano un patrimonio superiore ai 1350 euro cadauno (10 mila corone). Con i soldi requisiti si sarebbero pagate le spese per l’accoglienza e quanto necessario per le pratiche relativo all’asilo. L’allora primo ministro, il liberale Løkke Rasmussen che governava grazie all’appoggio esterno del “Partito del Popolo” (destra xenofoba) aveva ottenuto anche i voti dei socialdemocratici, principale partito di opposizione. Il testo originale prevedeva come limite massimo oltre il cui si poteva procedere al sequestro meno di un terzo del testo poi approvato (3000 corone) ed alla fine si era esclusa la possibilità di confiscare beni di particolare valore affettivo (fedi, ricordi di famiglia ecc..) in compenso veniva mantenuta la possibilità di perquisire vestiti e bagagli alla ricerca di valori nascosti. La legge ha poi previsto percorsi più complessi per garantire i ricongiungimenti familiari. Il 5 giugno 2019, il paese è andato a nuove elezioni in cui la maggioranza di centro destra si è sfaldata, grazie anche al fatto che il “Partito del Popolo ha perso consensi verso altre forze di ultradestra. I socialdemocratici, dopo aver perso consensi a sinistra si erano opposti al trasferimento dei “migranti indesiderati” su un’isola del Mare del Nord, riscuotendo il plauso delle associazioni umanitarie internazionali.

La giovane leader socialdemocratica Mette Frederiksen, ha formato un governo di minoranza (sostenuto da 48 parlamentari su 179) che gode dell’appoggio esterno di altre forze progressiste. In Danimarca non è la prima volta che chi governa non abbia, da solo, la maggioranza assoluta.

Già prima delle elezioni del 2019, molti analisti sostenevano che le aperture sui diritti umani dei socialdemocratici scaturissero unicamente da necessità tattiche e non strategiche.

Passata la fase più acuta della pandemia sono giunti i primi, terribili segnali. Nei giorni scorsi il parlamento danese ha approvato una legge secondo cui i richiedenti asilo che arriveranno in Danimarca, anche attraverso ricollocamento, saranno inviati in paesi extraeuropei in attesa dell’esito della domanda. L’obiettivo palese è quello di scoraggiare i migranti a mettere piede nel paese. Fra le destinazioni temporanee prospettate nel periodo di esame della richiesta figurano il Marocco, la Tunisia e il Rwanda. La proposta ha ottenuto 70 voti contro 24, anche i “Popolari” ’hanno sostenuta mentre due dei partiti che appoggiano il governo, (Lista dell’Unità e Partito Popolare Socialista), hanno votato contro. I “beneficiari” di questa legge, verrebbero condotti – chissà se a proprie spese – in centri di detenzione dei paesi partner. Dura, era ora, la presa di posizione dell’Unhcr. Secondo l’assistente dell’alto commissario Gillian Triggs “tali pratiche minano i diritti di coloro che cercano sicurezza e protezione, li demonizzano e li puniscono e possono mettere a rischio le loro vite”. Sulla stessa linea il portavoce globale dell’Unhcr Shabia Mantoo che ha dichiarato a Euronews che l’agenzia “rimane fermamente contraria alle iniziative nazionali che trasferiscono forzatamente i richiedenti asilo in altri paesi e minano i principi della protezione internazionale dei rifugiati”. Si è trattato di “uno schiaffo in faccia dato ai governi che hanno scelto di condividere maggiori responsabilità” secondo Bill Frelick, direttore della divisione per i diritti dei rifugiati e dei migranti di Human Right Watch. Ma problemi sorgono anche in Danimarca.

Charlotte Slente, segretario generale del Consiglio danese per i rifugiati, ha condiviso le condanne, affermando che “l’idea di esternalizzare la responsabilità di elaborare le richieste di asilo dei richiedenti è irresponsabile e manca di solidarietà”.

“Abbiamo ripetutamente invitato i deputati danesi a respingere questo progetto di legge” ha spiegato. Modelli simili, come quello australiano o i cosiddetti ‘hotspot’ sulle isole greche, hanno comportato gravi incidenti di detenzione, aggressioni fisiche, lentezza delle procedure d’asilo, mancanza di accesso all’assistenza sanitaria e mancanza di accesso all’assistenza legale”. Slente ha aggiunto nella sua dichiarazione che non è chiaro come potrebbe essere amministrato un centro di accoglienza in un paese terzo, poiché la Danimarca ha la “responsabilità legale” di salvaguardare i diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

“È stata anche una delle nostre principali preoccupazioni riguardo al progetto di legge, che ora purtroppo è stato approvato senza un’adeguata considerazione”, ha concluso. E a rincarare la dose ha provveduto Nikolas Feith Tan, un ricercatore senior dell’_Istituto Danese per i Diritti Umani secondo cui la Danimarca non può “esportare le proprie responsabilità sui diritti umani. Ciò significa che anche se i richiedenti asilo e i rifugiati saranno trasferiti in un altro paese, la Danimarca avrà ancora una responsabilità per i loro diritti in quel paese terzo”, ha detto. “Stiamo parlando di una responsabilità legale”. lo ha detto palesando il fatto che, in caso di violazione dei suoi obblighi internazionali, potrebbe ritrovarsi ad affrontare ricorsi nei tribunali danesi e alla Corte Europea dei Diritti Umani.

“Fino ad ora, la protezione dei rifugiati è stata principalmente territoriale: se raggiungi la Danimarca, allora la Danimarca è responsabile sia di valutare se sei un rifugiato o meno che di concederti l’eventuale protezione”, ha ripreso Tan.

Si tratta in fin dei conti di una modalità di trattamento dell’asilo che ancora non esiste e che è addirittura in contrapposizione al già lacunoso New pact on migration and asylum, in cui, fra mille distinguo e con numerose deroghe, si apre la strada ad una gestione europea del tema. E a prendere le distanze dall’ipotesi danese sono state organizzazioni come Amnesty International secondo cui un paese ricco non può, in questa maniera “cercare di comprarsi una via d’uscita dagli inalienabili obblighi internazionali verso le persone in cerca di sicurezza”

Ma questa scelta è frutto di una serie di iniziative internazionali e in cui, nel caso danese, c’è anche premeditazione. Da anni in Australia, ad esempio, l’Australia respingeva i richiedenti asilo e li faceva rinchiudere in isole lager come Vanuatu, in Melanesia dal 2007. Sotto Trump, molti richiedenti asilo sono stati temporaneamente trasferiti in Guatemala, ma il provvedimento è stato interrotto dall’amministrazione Biden. Poi ci sono i casi di paesi recidivi come l’Italia e la Spagna che respingono richiedenti asilo rispettivamente in Libia e in Marocco senza neanche lasciare aperto il varco di un esame della domanda di asilo. Sono fuori, respinti e basta. Sono le risposte alternative a quelle più note del gruppo Visegrad e che nascono dall’unico obiettivo di acquistare consenso nella popolazione liberandosi di un falso problema. Ma la Danimarca ha agito in maniera più raffinata. Un mese e mezzo fa, il governo di Copenaghen aveva firmato un Memorandum di Intesa con il Rwanda sull’immigrazione e sull’asilo. La particolarità del fatto aveva provocato interesse ma il governo aveva definito “mera speculazione” il rischio che i propri richiedenti asilo potessero essere mandati nel paese africano. Questo nonostante nel testo si affermi che il trattamento delle domande di asilo dovrebbe avvenire al di fuori dell’UE al fine di rompere la struttura di incentivi negativi dell’attuale sistema di asilo”. Il segnale danese è quello di non partecipare ad una definizione del sistema d’asilo previsto ad oggi dal diritto comunitario. Sarà necessario capire rapidamente se altri paesi vorranno seguire l’esempio danese o se Copenaghen resterà in tal senso isolata. Secondo alcuni il governo danese dovrà attenuare le proprie pretese anche per il rischio di subire sanzioni e di subire contraccolpi nella relazione con la vicina Germania, secondo altri potrebbe essere il granello di polvere per bloccare qualsiasi tentativo di dare dimensione europea ad approcci in cui si pretendono sovranità nazionali. Fatto sta che se la legge inizierà ad essere applicata, si produrrà la prospettiva di un pericoloso cambio di paradigma con cui bisognerà confrontarsi.