Uk, vincono i conservatori. Corbyn spolpato dalla Brexit

I risultati elettorali che giungono dal Regno Unito, dove ieri si è votato per il rinnovo del parlamento, sono di quelli che fanno male e obbligano tutti i progressisti ad una profonda riflessione.

Per i Labour di Jeremy Corbyn si tratta di una sconfitta inequivocabile, appena 203 seggi contro i 364 dei conservatori di Boris Johnson, uno dei peggiori risultati di sempre per la sinistra britannica.

di Adriano Manna

Crescono i nazionalisti (progressisti) scozzesi del SNP (48 seggi, +13 rispetto alle scorse elezioni) mentre collassano i LibDem con appena 11 seggi. Da notare che quest’ultima formazione aveva fatto dell’europeismo e della permanenza dell’UK nell’Unione un vero e proprio inno di battaglia elettorale.

Ed è proprio con la lente della Brexit che occorre leggere questi risultati elettorali: I conservatori hanno chiesto all’elettorato un largo consenso per portare a termine la Brexit, e la stragrande maggioranza dei sudditi di sua maestà gliel’ha concesso. Il Labour ha espresso dopo decenni un programma spiccatamente progressista, che voleva aggredire le disuguaglianze sociali, rilanciare il welfare state, redistribuire la ricchezza, avviare una reale riconversione ecologica del sistema produttivo inglese, ma è stato sonoramente bocciato.

Tutti i sondaggi delle ultime settimane riportavano un forte gradimento di gran parte dell’elettorato per le singole proposte programmatiche dei laburisti, eppure a quanto pare una buona parte di quei cittadini non ha votato basandosi su un posizionamento programmatico, ma piuttosto sulla questione madre della Brexit che tormenta ormai da anni l’opinione pubblica d’oltre manica.

Il Labour è stato incerto, contraddittorio, mai veramente chiaro sulla questione madre. Il risultato è stato nella Scozia un travaso di voti verso SNP, partito chiaramente schiacciato sul remain, mentre soprattutto nel nord-ovest del paese, dove risiede una grande sacca operaia storicamente “rossa”, è avvenuto un vero e proprio volta-faccia di portata storica.

Non può essere ignorato il fatto che i collegi storicamente laburisti, incredibilmente persi dopo 50anni, siano per la gran parte proprio quelli dove nel corso del referendum sulla Brexit aveva vinto nettamente il leave.

La frattura città/provincia è quanto mai profonda, e la “periferia” della società britannica (ma potremmo dire europea) sta vivendo un più che comprensibile rigetto verso gli effetti materiali di medio termine del processo della globalizzazione neoliberista sulla vita reale. La destra inglese, come quella continentale, è abile a sovrapporre la globalizzazione all’Unione europea, una sintesi che ha anche parziali elementi di verità, ma che è chiaramente semplicistica e in parte fuorviante rispetto ad un fenomeno globale di cui anche lei è stata per anni promotrice.

Ma questo alla destra europea poco importa: il tema per loro non è quello della redistribuzione interna di ricchezza tra le classi, ma la riappropriazione di potere per quella fazione di borghesia nazionale (rilevantissima) che nel processo di globalizzazione dei mercati arranca; In questo senso propone un patto interclassista: noi difenderemo alcuni settori produttivi nazionali che la redistribuzione delle specializzazioni produttive su scala globale de-localizza, così difendiamo i vostri posti di lavoro. Meglio di niente, pensa giustamente il lavoratore. E forse non possiamo neanche dargli torto.

Nelle classi subalterne sembrerebbe emergere una chiara identificazione dello Stato-nazione come unico strumento in grado di calmierare il neo-liberismo ed i suoi effetti. Una lettura tanto semplicistica quanto violentemente corretta: il tema della regolamentazione dei mercati, dell’opposizione a quella enorme redistribuzione di ricchezza verso l’alto che avviene su scala trans-nazionale, richiede strumenti di cui o si riappropria il vecchio stato nazionale, oppure lo fa un’Unione pienamente sviluppata in senso federale.

Tuttavia bisogna prender atto che il cammino tracciato dal processo d’integrazione europea ha preso sin dall’inizio ben altre strade, facendosi esso stesso elemento di deregolamentazione interna del mercato e strumento di colonizzazione economica ad appannaggio delle economie reniane.

La sinistra è chiamata quindi a sciogliere dei nodi di fondo, senza i quali anche un buon programma di riforme interne, come quello proposto da Corbyn, potrebbe rivelarsi inefficace ai fini di una modifica tangibile dei rapporti di forza reali.