A chi servono queste piazze della destra?

Tra improvvisate “Marce su Roma” (un centinaio di elementi), gilet arancioni a Milano e piazze della “destra istituzionale” in molte città italiana, le giornate a cavallo con la festa della Repubblica hanno fatto da testimone ad una grottesca, ma decisa (più nelle intenzioni che nei numeri), presa della piazza da parte della destra italiana.

di Adriano Manna

A questo teatrino dal dubbio gusto si aggiunge ora la chiamata delle frange ultras più spiccatamente di destra, che si riuniranno a Roma il 6 giugno con proclami decisamente bellicosi.

La destra italiana quindi prova a dar voce al malessere sociale, che sicuramente questo lock-down ha pesantemente aggravato, ma che in Italia ancora non ha dato vita a manifestazioni esteriori degne di nota.

La proposta politica però non c’è, e non solo per il basso profilo di chi guida questa protesta, ma per il carattere di “massa da manovra” di queste mobilitazioni.

Slogan confusi, negazione dell’esistenza del Covid-19, insulti al governo in carica sembrano non voler neanche nelle intenzioni essere accompagnati da una proposta politica alternativa al quadro attuale che tiene “alla meglio” in piedi il Paese. Perché, se è pur vero che il Governo non gode di grande fiducia tra gli italiani, va pur detto che l’opposizione non registra adesioni entusiastiche, soprattutto in questa fase.

Alla stessa ipotetica “rabbia sociale”, sembra almeno per il momento aver la meglio la stanchezza, la preoccupazione per il domani, tanta è la sfiducia nel paese per la politica intesa come mezzo per il cambiamento dello status quo.

L’unica reale richiesta di queste piazze sono le dimissioni del Governo Conte II, una richiesta bizzarra dal momento che l’opposizione stessa sembra ben poco propensa ad addossarsi poi responsabilità di governo in una fase quanto mai complicata, invocando piuttosto improbabili governi di unità nazionale (Mario Draghi?).

La tempistica è tutt’altro che causale ovviamente, perché in gioco c’è ora la gestione della “ricostruzione” post-pandemia (speriamo…). Una ricostruzione su cui si gioca la partita vera di una nuova fase delle relazioni industriali del Paese, data l’evidente insostenibilità del quadro attuale.

Una partita che questa destra non vorrebbe comunque giocare in prima persona, ma che lascerebbe volentieri interpretare ai settori più feroci di quella Confindustria che manifesta senza remore l’insofferenza per il quadro politico attuale.

Sotto questo punto di vista, le talvolta grottesche mobilitazioni della destra messe in scena in questi giorni sono comunque pericolose, perché si inseriscono in un quadro di debolezza senza precedenti della politica, prestando le piazze agli interessi particolari quasi senza nessuna opera di mediazione. Massa di manovra, per l’appunto.

La sinistra sociale, dal canto suo, sembra continuare a vivere una fase di debolezza quasi inedita nella storia repubblicana, frammentata com’è in tante sigle dallo scarsissimo peso specifico e in perenne competizione tra loro. Il mondo sindacale, che in questa fase è impegnato nel confronto/scontro con il governo in ottica di bilanciamento alle pressioni di Confindustria, non trova quindi terminali politici per estendere la propria azione d’influenza nell’opinione pubblica.

La lotta quindi è come sempre impari, aggravata anche da elementi soggettivi frutto di errori politici più che decennali. Il superamento dell’attuale quadro politico governativo, che comunque si è posto fino ad oggi in una posizione di mediazione tra i due interessi, è la motivazione profonda con cui verranno mobilitate le frange più “dure e pure” della destra.

Una purezza, va detto, rinvenibile nella coerenza con cui ad ogni occasione si mettono al servizio di alcuni interessi.

La coerenza va riconosciuta.