Articolo Uno, i dubbi dei militanti che non vogliono rientrare nel Pd

«Il Pd è un progetto fallito che non è in grado di rappresentare il mondo del lavoro, lì non dobbiamo ritornare», taglia corto Simone Bartoli, segretario di Articolo 1 in Toscana. «Letta sta facendo solo una manutenzione del Pd, noi dobbiamo restare un soggetto autonomo», gli fa eco Pippo Zappulla, che guida il partito di Bersani in Sicilia.

di Andrea Carugati – Il Manifesto

Mentre Roberto Speranza, che di Art.1 è il segretario, continua a tacere sul nodo politico portato sotto i riflettori a fine anno da Massimo D’Alema, la discussione sul rientro nel Pd di chi nel 2017 aveva sbattuto la porta è tutt’altro che scontata. Non è ancora chiaro se, nel congresso di aprile, l’intendenza si ribellerà, ribaltando la volontà di Speranza, Bersani e soci, ma il passaggio è delicato.

In queste ore gli iscritti e i dirigenti di Art.1 sono molto attivi sulle chat, la ricomposizione evocata dal leader maximo non convince. Nonostante Renzi se ne sia andato da tempo. «Ma quale guarigione dalla malattia», protesta Bartoli. «Il renzismo è stata una degenerazione di un progetto che parlava già dal 2007 di partito post ideologico, di vocazione maggioritaria. Tutto sbagliato, all’Italia serve un partito del lavoro». E Letta? «Un sincero democratico, ma nel Pd l’humus culturale che ha portato al renzismo è tutt’altro che sparito. Può accadere di nuovo».

«Il congresso di primavera farà chiarezza sul nostro futuro», spiegano dal coordinamento regionale del Veneto. «Ma il suo esito non può essere scontato o pregiudicato dalla partecipazione alle agorà democratiche. Ci sarà un confronto tra diverse opzioni». «Non servono scorciatoie o fughe in avanti», fanno eco i lombardi nel loro documento. «Non possiamo limitare la nostra azione politica alle agorà del Pd», insistono dal Lazio. «Dobbiamo tornare con forza e convinzione al nostro originario progetto politico: costruire una forza plurale della sinistra».

Toni bellicosi anche dai coordinamenti di Sardegna e Abruzzo: «Non intendiamo tornare nel Pd». Non tutti la pensano così: in Emilia Romagna, ad esempio, la strada di una riunificazione coi dem trova molti più consensi. Così anche in Friuli. E c’è chi ricorda che all’ultima assemblea nazionale, a maggio 2021, la partecipazione alle agorà di Letta fu votata quasi all’unanimità.

Certo, naufragato il progetto di Leu con Sinistra italiana, per i bersaniani la strada è politicamente molto stretta. Federico Fornaro, capogruppo alla Camera, ragiona come sempre in modo pacato: «Finite le agorà a primavera tireremo una riga e decideremo». Ma, aggiunge, «mi devono spiegare qual è l’alternativa a questo processo di riunificazione. Nessuno di noi ha mai pensato di fare la Linke o una sinistra radicale».

Al contrario, Fornaro guarda alla riunificazione del 1966 tra socialisti e socialdemocratici: «Rispetto a 5 anni fa siamo in una nuova fase politica, serve uno spirito costituente, se avessero continuato a parlare dei torti e delle ragioni del passato nel 1966 le anime socialiste non si sarebbero reincontrate». Già, in mezzo a tante scissioni, dal 1921 in poi, c’è stata anche quache riunificazione. Quella del 1966, ammette Fornaro, «andò male, ma fu un tentativo».

In Art.1, stando agli umori diffusi, il no al rientro tra i dem sembrerebbe favorito. Ma pesa il fatto che tutto il gruppo dirigente nazionale spinga in quella direzione. E che i ribelli non abbiano un frontman in grado di competere per la leadership. « Dal Pd, almeno per ora, non traspare una grande voglia di una nuova costituente. Di cambiare nome neppure per sogno, ma neppure di una robusta revisione del programma in chiave più di sinistra e laburista. Le porte per gli ex compagni appaiono socchiuse. Eppure, avverte Fornaro, «gli attuali contenitori non bastano a intercettare il malessere sociale, neppure il Pd. Guai a illudersi per le vittori nelle città come i progressisti nel 1994».