Comunicare il virus: scienza, politica e media ai tempi della pandemia

“È stato costruito in laboratorio.”  Ma anche no.  Ha ragione Luc Montagnier, oppure Kristian Andersen?

La mascherina sì, la mascherina no.. La quarantena è un mezzo di contenimento del virus. Ma anche no.

Il picco sarà tra una settimana. Tra due. Tra tre. Non ci sarà alcun picco, ma “ondate ”.

di Enrico Strano

Questo per citare alcuni discorsi che hanno avuto influenza quotidiana sulle nostre vite, ma che non spiegano tanto altro. Non spiegano  come si sia arrivati ad una determinata scelta politica che influenza le azioni comuni delle persone, le reazioni di questi ultimi alle politiche che   affliggono la loro vita e non spiegano perché un determinato voto politico rispecchi un comportamento più o meno attento alle politiche della pandemia.
Proviamo a mettere insieme il puzzle degli eventi e dei componenti della Scienza, arrivando a chiarirci le idee sulla comunicazione politica e sulla comunicazione della scienza, cercando referenti più o meno certi e validi, tra le credenze vere giustificate, con l’umiltà intellettuale che ci è possibile.

 

La Scienza come metodo di ricerca e il suo rapporto con la politica

la Scienza, come la Democrazia, è un referente esterno alle scelte fatte dalla politica .  Ha dei limiti  ed è il metodo da utilizzato per andare in una certa direzione: approfondire la nostra conoscenza della natura utilizzando il linguaggio logico-matematico. Non è un dato cristallizzato, ma si costruisce ogni giorno, con la ricerca. È anche la cornice epistemologica che sta dietro le scelte, anche scelte politiche, ma non è l’insieme delle scelte stesse. La Scienza, insomma, non è un oggetto sconosciuto che si fa portatore di una conoscenza sovrannaturale. Sappiamo come funziona: mentre da un lato la Scienza è il metodo, gli scienziati che lavorano divisi in gruppi di ricerca, collaborando o competendo tra loro, formano la “Comunità Scientifica” (da qui in poi CS). Ciò fa sì che  tra i gruppi di ricercatori non è detto che vi sia un sostanziale ed unanime accordo, tranne su dei dati che sono chiari e certi e condivisi da tutta la CS : tale consenso unanime vi è solo su alcuni punti fondamentali che poi costituiscono il paradigma [1].
L’obiettivo è la conoscenza, il metodo è quello scientifico, ma i punti di vista all’interno della CS possono (e dovrebbero) differire.

Quello che tiene insieme la CS è l’idea che i differenti gruppi di ricerca condividono un metodo, che può essere usato da un gruppo per confermare o confutare quanto detto da un altro: basta confrontare i dati ottenuti e valutare se questi sono più o meno corroborati. In questo, la CS è molto “democratica” , a differenza di quanto sostenuto da alcuni scienziati e divulgatori scientifici, anche di specchiata fama: chiunque abbia le competenze tecniche e anni di studio e faccia parte di un gruppo di ricerca e abbia dei dati corroborati può dire la sua. E la sua parola ha lo stesso peso di quella di altri, ben più importanti, se ciò che ha trovato è validato. Questo è il primo punto di convergenza con il termine democrazia.
Il secondo è più pragmatico ed esula dalla metafora. Perché è passato un giochino retorico  del tutto tecnocratico per cui vi è democrazia come politiche e democrazia come parola : io non posso mettermi a dibattere con Burioni o Angela, perché non ho le competenze in materia e farei una figura barbina, ma non mi può essere tolto il diritto di parola, soprattutto su materie che coinvolgono due importanti questioni etiche:

a) la mia vita.

b) la società che mi circonda;

Laddove la ricerca scientifica può influire sugli ambiti sopra esposti, questa deve confrontarsi con la politica e diciamo pure che  deve essere quest’ultima a rappresentare l’interfaccia tra scienza e società. Un pool scelto di scienziati non è la CS tutta, la sua non è la voce della Scienza come ideologia scesa dall’alto e ciò che suggerisce non è un’imposizione con cui ordina diktat alla società, ma viene sempre mediato dalla politica.

E, potremmo anche aggiungere : il timore di una buona parte della società è fondato: la Scienza è potere , ha potere, esattamente come la politica, e crea le premesse per un controllo delle persone, dei corpi, dei dati personali, anche se fornisce  solo gli strumenti, non imponendo di per sé il controllo.
In questo senso si pone il dilemma: chi porta la scure ad affilare per sacrificare il vitello è colpevole della morte del vitello stesso? Vediamolo con calma.

La CS, come dicevamo prima, non è un monolite, ma assume le caratteristiche di una società a sé stante, pur facendo parte della società tutta, e di riflesso avrà parzialmente le stesse dinamiche e peculiarità: competizione, crescita, collaborazione, conflitto, ecc. Mostrandoci un lato alquanto interessante di sé stessa: ad una scienza “romantica ”, che plausibilmente non esiste più da centinaia di anni, si avvicenda una scienza tecnocratica, necessitante fondi, sovvenzioni, piegata dai programmi di ricerca,  e da logiche che sono meno razionali e logico-scientifiche, ma piuttosto politiche, umane, sociali.
Inoltre, dato che la nostra è una società tecnocratica, gli scienziati e la loro comunità ne rappresentano una espressione fondamentale, vicina a quello che Ruesch definiva il nucleo centrale della società:

“La popolazione moderna è quindi formata da un gruppo centrale che comprende governo, industria, finanza, scienza, ingegneria, esercito e istruzione. Attorno a questo centro ruota un cerchio di consumatori di beni e servizi, organizzati da chi sta al centro.” [2]
Basti guardare la composizione delle sovvenzioni pubbliche alla ricerca, una buona percentuale viene data a scopi di ricerca in ambito bellico. Solo in seconda battuta e a grande distanza, segue la spesa scientifico-sanitaria. [3]

 

Gestire una pandemia in una società tecnocratica e populista

Qualcosa è andato male nella comunicazione della scienza in Italia.

Abbiamo definito il campo della Scienza, adesso definiamo il campo delle politiche della scienza sui corpi, tramite uno sguardo agli attuali problemi di governo della pandemia. Le politiche del contenimento non sono “la Scienza”. Gli scienziati e la famigerata “Comunità Scientifica” vanno distinti dal comitato scientifico che sta dietro il contenimento della pandemia in Italia.

In questi giorni è stato chiarita la composizione del il Comitato Tecnico-Scientifico (da qui in poi CTS), un comitato composto da medici, rappresentanti OMS, dirigenti di reparto, manager del Ministero della Salute, dell’Inail, della protezione civile. [4]
Non tutte le figure citate sono estranee al mondo della politica, ma non sono essi stessi dei politici.
La  funzione del CTS è consigliare quali sono le misure precauzionali migliori durante la  pandemia. Come si evince, non ha poteri decisionali, ma suggerisce la tecnica medica da usare per evitare il dilagare del contagio e porre una soluzione al problema in atto .

Quello che viene contestato al Governo, da parte di alcuni esponenti di spicco dell’opposizione, è l’aver delegato il potere decisionale direttamente nelle mani di questi che sono anche, ma non solo, scienziati e di aver fatto prendere loro le decisioni.

Mi venga passata per una frase avulsa da qualsiasi indirizzo politico e avulsa da qualsiasi desiderio di difendere il governo attuale ma, non può non essere così. La nostra società si  definisce “tecnocratica” proprio perché essa già normalmente delega pezzi di potere decisionale nelle mani dei tecnici . Il punto è se il potere, di Governo e opposizione, si stia nascondendo dietro il dito della tecnica o al contrario se ne serve come soluzione per i problemi che nascono ogni giorno nella gestione della crisi.

Che si possa veicolare un’ideologia, o che ci sia il rischio di scientismo o di fomentare fake news, grazie a bufalari o a gruppi che fanno propaganda rimaneggiando in modo volutamente impreciso il lavoro della CS o le indicazioni della CTS, è un rischio plausibile se non una certezza. Affermare, tuttavia, che una fantomatica “Scienza” si faccia solo portatrice della propria ideologia in favore della tecnocrazia e che non dia degli strumenti utili per la vita di ogni giorno, quella è faziosità. Così come affermare che chi ha affidato un compito ad un CTS non stia prendendo decisioni, ma stia solo delegando, non è più una discussione sulla scienza, ma voler delegittimare politicamente le scelte dell’avversario.

Insomma, si sta facendo politica sia quando si scredita o si accredita la propria posizione, basandola sulla più profonda competenza tecnica disponibile,  sia quando la si fonda sulla volontà della maggioranza. L’appello alla maggioranza risulta tanto più demagogico quando non è detto che questa abbia tutti gli strumenti concettuali per capire come arrivare al suo stesso bene. Così come non è detto che in questo momento li abbiano gli stessi scienziati. Ma almeno gli scienziati e nella fattispecie i medici, in un momento simile, hanno qualcosa che il governo e la popolazione non ha: un metodo scientifico con cui arrivare alla conoscenza. Come diceva il fisico Feynman riguardo la psicoanalisi:

“La teoria dello stregone è che la causa della malaria è uno spirito che proviene dall’aria; scuotere un serpente sopra la testa non aiuta, ma il chinino sì. Quindi, se siete ammalati, vi consiglierei comunque di andare dallo stregone, perché è la persona che, nella tribù, conosce meglio la malattia; d’altra parte la sua conoscenza non è scienza”

Possiamo ribaltare questa frase: nelle nostre moderne società tecnocratiche il più competente (ma non l’unico) a poter parlare delle malattie e a suggerire quelle che potrebbero essere le soluzioni, è proprio lo scienziato, meglio ancora se è un medico, ricercatore o affine. E la sua conoscenza si basa su una prassi e sulle conoscenze scientifiche. E proprio perché si basa sul lavoro di scienziati e non è stregoneria, non può darci risposte e soluzioni immediate ad ogni problema, con il 100% di sicurezza che funzioni, pandemia compresa, perché sennò non sarebbe scienza, ma stregoneria . Chi poi deve applicare le soluzioni proposte dai medici, dal CTS, dal CS è la politica: è la politica che decide, non la scienza.

Le persone, che sono rappresentate da questa politica, possono anche non volere il proprio stesso bene, e scegliere di morire allegramente. Qualsiasi Stato ha invece il problema opposto: non far morire cittadini, specialmente se specializzati, specialmente se in età da lavoro.

Il cittadino di fronte a questa scelta, se morire di fame o rischiare e morire di virus, sembra essersi lanciato in molti casi sulla seconda opzione dopo anni di propaganda anti-scientifica (dovremmo disquisire singolarmente di no-vax, complottismi, anti-questo o quello, ma ognuno andrebbe trattato singolarmente e metteremo tutto nello stesso sacco per esigenza di spazio e tempo), sperando in quella che chiamerei la fallacia d i Moe (tradotto nella versione italiana in Boe).

Ricordiamo Boe della serie I Simpson, nella puntata in cui Lisa trova un finto scheletro di angelo. Lisa si pone su un atteggiamento scettico e anti-creazionista: razionalmente non può esistere uno scheletro di angelo. La popolazione di Springfield non è d’accordo con lei, gli angeli esistono e non possono essere messi in discussione. Boe avvia una rivolta contro la scienza e i musei: “ La scienza, cosa ha mai fatto per noi la scienza?”, ma non appena ferito, durante i saccheggi ai danni di un museo, urla: “oh, no, sono paralizzato, spero che la scienza medica possa guarirmi”.

Per chi se lo fosse perso:

 

Un nuovo ritmo delle notizie: poche regole per la comunicazione scientifica durante la pandemia

Abbiamo chiarito cos’è la Scienza, la CS, il CTS e le sue funzioni, adesso parliamo della comunicazione scientifica e dello stato del suo rapporto con la stampa italiana.  Premettiamo che per chiudere il paragrafo precedente ed essere esaustivi bisogna rispondere e rispondere alla domanda: ma a cosa serve la comunicazione scientifica quando la inquadriamo all’interno del suo rapporto con la politica e la società? E cosa fare quando non è precisa e puntuale e la grande stampa nazionale riporta dati a volte contraddittori? Rispondo alla prima domanda con un articolo di “Valigia Blu”

La comunicazione della scienza quindi dovrebbe essere anche una “cerniera”, uno strumento di mediazione tra scienza, società e politica. Un mezzo per accorciare le distanze, promuovere il coinvolgimento del pubblico, trovare linguaggi comuni e affrontare le ragioni alla base di quelle contrapposizioni che determinano il formarsi di fronti “pro” e “contro”. [5]

Vi invito a dargli una lettura anche perché riprende un articolo di Scalari con una sua personale definizione del perché Scienza e Democrazia siano così vicini, interdipendenti e come la “scienza è una grande, fondamentale, questione democratica” [6]. Per rispondere alla seconda domanda bisogna fare un discorso più complesso e proverò ad andare per gradi. Ricordiamo tutti il video di Urbano Cairo, mentre iniziava la fase crescente della curva del contagio, contare i vantaggi dati da questa crisi ad un intero settore. L’Ordine dei Giornalisti del Molise, a sua volta, invitava tutti i suoi iscritti ad uno scrupoloso fact-checking. Da un lato, c’è un enorme bisogno di informazioni chiare, accessibili a tutti, che vengano da fonti non solo autorevoli, ma soprattutto affidabili.
Ma in questo caso sono gli stessi giornalisti e scienziati che confermano che la velocità e l’immediatezza sono pericolose: al contrario ci vuole tempo. Due articoli sono apparsi in questo mese sul come informare durante una pandemia, che concordano su un dato importante: bisogna aspettare anche nell’informazione e avere dati certi e sicuri.[7][8]
Cosa ne pensa a riguardo l’editoria scientifica? Le Scienze propongono un vademecum con cui distinguere le informazioni in tre livelli:

“pensiamo che il giornalismo debba distinguere almeno tre livelli di informazione:
(A) ciò che sappiamo essere vero; (B) ciò che pensiamo sia vero: l’insieme delle valutazioni basate su fatti che dipendono anche dall’inferenza, dall’estrapolazione o da un’interpretazione competente di fatti che riflettono il punto di vista di un individuo su ciò che è più probabile che stia accadendo; e (C) opinioni e speculazioni.”

Questo dovrebbe rendere conto di come anche all’interno del giornalismo debba farsi largo l’idea che non tutte le informazioni che arrivano siano totalmente affidabili e scientifiche, ma hanno un grado di percentuale di affidabilità e veridicità, in quanto esse stesse vanno vagliate.

Nella categoria A ci sono fatti accertati, come il fatto che l’infezione è causata da un beta-coronavirus; che le sequenze iniziali del genoma virale del virus erano molto simili; e che la trasmissione da essere umano a essere umano avviene con elevata frequenza, […] Molteplici linee di evidenza, compresi gli studi scientifici sottoposti a peer-review e i rapporti delle autorità sanitarie pubbliche, suffragano questi elementi come fatti reali.
Nella categoria B si trova la stragrande maggioranza di ciò che vorremmo sapere sull’epidemia, ma che non sappiamo perché non esistono dati sistematici sul numero reale di casi in ogni località; […]
Su questi argomenti, gli esperti possono fornire opinioni qualificate, sulla base della loro conoscenza di altre malattie infettive; dedurre le conseguenze dai dati disponibili […] o forse trarre conclusioni da informazioni di cui hanno sentito parlare e di cui si fidano, ma che non sono ancora state rese pubbliche. Questa categoria comprende le proiezioni della probabile traiettoria a lungo termine dell’epidemia. Queste opinioni beneficiano del giudizio qualificato degli scienziati che le esprimono e sono degne di essere segnalate, ma devono essere distinte dai fatti concreti.
Nella categoria C ci sono molte altre questioni per cui le prove attuali sono estremamente limitate, per esempio l’effetto dell’estrema distanza sociale sul rallentamento dell’epidemia. Ci sono anche questioni che non saranno mai veramente risolte dai dati, come quelle relative alle motivazioni dei governi e delle autorità sanitarie. Non è che questi argomenti non abbiano importanza. È solo che non sono accessibili alla scienza in questo momento e potrebbero non esserlo mai. [9]

Ad una tale disamina delle informazioni fa seguito una serie di informazioni importanti e che concordano con un una opinione diffusa tra scienziati e giornalisti e che prevale come norma di buon senso e che abbiamo già menzionato prima: attendere. Attendere non serve solo a far decantare le informazioni precedenti, a vedere se i dati riportati erano attendibili, o se sono stati aggiornati. Serve anche alla ricerca, per dargli il tempo  di progredire e dare nuove risposte a problemi che nel momento attuale affliggono le persone. Già, le persone, ne parliamo nel paragrafo successivo.

 

“Solo la libertà della scienza può salvare la democrazia”

Cosa c’entra ora Galileo? Ricordiamo, a tutti quelli che volessero capire il nesso principale tra democrazia, scienza e società, il dialogo tra Galileo e Bellarmino. Il problema per cui Galileo è stato citato dal tribunale dell’Inquisizione, e per cui il suo metodo scientifico è stato svilito di portata, non è per aver messo al centro dell’universo il sole. Questo sarebbe stato facilmente confutabile con un meccanismo retorico, o addirittura apprezzabile da parte della Chiesa, come candidamente ammesso da Bellarmino nell’opera di Brecht. Il problema è che Galileo si era espresso  in volgare e non in latino.
E così Bellarmino discute con papa Urbano VIII sulla condotta dello scienziato e della sua lingua.

In Italia, in questo paese dove tutti, fino all’ultimo degli stallieri, vanno ciarlando delle fasi di Venere sul funesto esempio di quel fiorentino, non v’è nessuno che non pensi in pari tempo anche a tutto quello che si dichiara incontestabile nelle scuole e in al­tri luoghi, e che riesce così sgradito! Che succederebbe se tutti costoro, deboli nella carne, inclini ad ogni ecces­so, tenessero per valida istanza solo la loro ragione, co­me va predicando quel forsennato? Una volta che dubitassero se il sole si sia davvero fermato in Gabaòn, i loro sporchi dubbi potrebbero estendersi anche alle questue! […] Quel malvagio sa ciò che fa, quando scrive le sue opere d’astronomia non più in latino, ma nell’idio­ma volgare delle pescivendole e dei lanaioli !

Ci ricorda qualcosa questa discussione? Il potere della comunicazione scientifica è quello di poter rendere una società più libera e democratica. E su questa potenziale comunicazione tra scienza e società, la politica (ma non solo) ha posto storicamente un’opera di cesura.
In Italia, così come in tutto il mondo, è stata compiuta un’opera di mistificazione retorica ampissima: mentre è stato marginalizzato il metodo del dubbio (l’arte del dubbio) , è stato incentivato il proto-pensiero razionale universale, senza bisogno di doversi confrontare con il dubbio: la scienza dà importanza alla ragione, ma non tiene fuori le domande. E guarda ai risultati sempre perfettibili.
Nella libera società ci troviamo nel paradosso in cui in apparenza tutti possiamo pensare,  esprimere il nostro punto di vista, senza alcuna responsabilità rispetto a quanto detto (tranne che si cada nell’illecito), ma in realtà l’unico diktat implicito è che non dobbiamo/possiamo avere dubbi. Viceversa il dubbio è elemento essenziale del metodo scientifico e democratico.

Se da un lato, con l’avvento dei social, abbiamo dato parola allo scemo del villaggio, come sosteneva Eco, e ciò è un male, d’altra parte non abbiamo  fatto  nulla per comunicare con lo scemo del villaggio fornendogli un metodo di base per leggere i fatti [10]. Al massimo gli abbiamo fornito gli strumenti per costruirsi la sua bolla d’informazione e la sicurezza che al suo interno nessuno lo contraddirà mai.

Galileo avrebbe scritto qualcosa di serio a riguardo, in modo tale che fosse comprensibile a quante più persone possibile.

N.B.
Il presente articolo non avrebbe visto la luce senza l’aiuto di diverse persone, tra cui Andrea Arcifa e Nicola Cucchi, cui va il mio sentito ringraziamento per aver prestato il loro tempo per aiutarmi a chiarire alcuni concetti fondamentali sul cosa comunicare e come comunicarlo.

 

Note:

[1] Facciamo riferimento Paradigma nell’accezione data da Kuhn ne “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”. Nel paradigma attuale, ad esempio, la costante di gravità è quella, e dato un sistema a noi noto, rimane quello: non si sfugge. E questo vale per la Fisica, che, a meno di non doversi chiudere nel riduzionismo, è solo una delle scienze. Che ha una valenza speciale rispetto a tutte le altre: è l’unica a produrre asserzioni scientifiche valide che non hanno sempre bisogno della statistica per funzionare.
In tutte le altre Scienze, compresa la Medicina, si utilizzano strumenti statistici per poter arrivare alla comprensione di un fenomeno: utilizzare questi strumenti serve a dare un volto logico-matematico a fenomeni complessi come una pandemia e provare a spiegare non solo le cause, ma anche le possibili soluzioni.

[2] La maggioranza deviante, Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro

[3] La scienza in azione. Introduzione alla sociologia della scienza, Bruno Latour

[4] https://www.linkiesta.it/2020/04/comitato-tecnico-scientifico-coronavirus-lockdown/

[5] https://www.valigiablu.it/scienza-cicap-social-media-valigia-blu/

[6] Idem.

[7] https://www.lescienze.it/news/2020/02/24/news/come_parlare_del_coronavirus_in_modo_responsabile-4685273/

[8] https://www.valigiablu.it/coronavirus-giornalismo/

[9] https://www.lescienze.it/news/2020/02/24/news/come_parlare_del_coronavirus_in_modo_responsabile-4685273/

[10] https://www.pattoperlascienza.it/2020/02/21/la-scienza-in-politica/

Tali lacune culturali ne implicano una terza, segnalata dal documento di sintesi dei dati Eurispes del 2013, il quale punta il dito sulla ridotta capacità di critica della società italiana, e la sua ‘disabitudine’ al dubbio analitico e alla pacata discussione civile, che genera in maniera inevitabile una cittadinanza polarizzata tra ‘creduloni’ e ‘dogmatici’