I tagli all’editoria stanno strangolando il pluralismo dell’informazione

«Nessuno ce l’ha con Radio Radicale o vuole la sua chiusura ma sta nella libertà del governo farlo».

Così afferma Vito Crimi, sottosegretario all’Editoria in un convegno sull’informazione a Benevento, una frase semplice, diretta e sostanzialmente molto chiara.

di Giammarco Rossi

 

La linea politica del governo giallo-verde ha annunciato tagli all’editoria, mirando principalmente a testate giornalistiche e radiofoniche specifiche. Radio Radicale, Il Manifesto, L’Avvenire, Italia Oggi, Il Foglio, Libero, canali di informazione specifici che in qualche modo disturbano l’operato pentastellato. I cosiddetti giornaloni quelli che la Musa pedestre, Beppe Grillo cita e critica ogni volta in cui ne ha la possibilità non verranno toccati minimamente da questi tagli.

Questa operazione indubbiamente fa riflettere: perché proprio Radio Radicale? Perché scagliarsi contro un’emittente libera che da decenni offre un servizio chiaro e puntuale sulla situazione politica e sociale del nostro Paese? Be’ viene da pensare che la radio che fu di Marco Pannella è scomoda. L’intenzione di Crimi e del governo è quella di non rinnovare la convenzione che negli ultimi 25 anni è stata una concessione a detta del sottosegretario. Esiste Rai Parlamento, emittente che trasmette in diretta le sedute parlamentari, un servizio pubblico e soprattutto un canale istituzionale, in sostanza Crimi vuole dire che Radio Radicale può e deve cessare di esistere.

In una nota di Radio Radicale viene ricordato però al delegato per l’Editoria che la convenzione tra l’emittente privata e «e il Mise si è avviata a seguito di una gara indetta il 1 aprile 1994 e che da allora il servizio è proseguito in regime di proroga, nonostante l’emittente abbia sempre richiesto che venisse rimesso a gara».

Crimi tuttavia non si dimostra né logico nella scelta e tantomeno coerente: le grandi testate come detto non vengono minimamente sfiorate da quelli che più che tagli sembrano bavagli all’editoria, mentre la piccola editoria locale viene salvaguardata. C’è uno zoccolo da 500mila euro destinato alle piccole testate ed emittenti, eppure i fondi destinati alla piccola editoria non sono così sicuri: se c’è un settore a rischio è proprio questo.

«Sciagurata» secondo il presidente nazionale della Fnsi, Giuseppe Giulietti, «perché questi tagli colpiscono le voci della differenza». Chi non è utile alla propaganda giallo-verde viene fatto fuori, questo è il diktat, chiamatelo poi come volete ma questo modo di agire e totalitario: educano il cittadino, lo svezzano per crearlo a loro immagine e somiglianza, affinché sarà proprio il cittadino a chiedere alle forze al potere riforme che vedrebbero la luce in situazioni normali. Radio Radicale ha raccolto 50mila firme con una petizione per fermare questa folle scelta, la battaglia è dura ma la storica emittente è abituata a storiche battaglie, non certo si arrenderà senza lottare.

Quello che invece fa sorridere con un velo di scetticismo è la situazione pirandelliana in cui si è immerso il Movimento 5 stelle: paladini della libertà, strateghi dell’informazione e della piena rappresentanza sul web; movimento che agli albori citava Chomsky, combatteva contro le grandi testate del mondo perché aziende in mano a pochi potenti, anti autarchici fino al midollo, almeno all’inizio. Oggi hanno assaporato il potere, quello che a detta di Sciascia rende tutti schiavi ed anche loro non sono scampati alla mutazione che crea. Radio Radicale e le altre testate a rischio stringono i denti e combattono e chiunque abbia a cuore la libertà intellettuale e di stampa dovrebbe scendere in campo con loro.