9 Aprile 1921: L’eccidio fascista di Ragusa

Il 9 aprile del 1921 Ragusa è splendida come sempre, nelle sue mattine di primavera. Si possono scorgere, con assoluta chiarezza, i dolci contorni dentro i quali è disegnata la meravigliosa città vecchia, Ibla.

di Andrea Alba

 

Il monte Arcibessi si vede nitidamente da qui, in tutta la sua bellezza e nella sua immensità, mentre sul resto delle colline si distende la cittadina, accovacciata docilmente su quelle sinuose rotondità e accarezzata dal fiume Irminio, il cui torrente è stato ingrossato da una pioggia battente per tutti i mesi precedenti, ma ora sembra una lingua di mare tiepido, in questa splendida mattinata di primavera. Tuttavia il lungo inverno tarda ad andarsene via. Un precoce inverno che era iniziato molto presto, a dire il vero.

Già il 4 novembre del 1920 i fascisti locali, costituitisi pochi mesi prima, avevano tentato l’assalto al municipio rosso e socialista della città iblea, in una giornata d’autunno col freddo che spacca le mani dei braccianti venuti da ogni parte del ragusano (specie da Monterosso Almo, cittadina di emigranti che si stanziarono in tutta la zona degli Iblei) per venire a lavorare qui la terra. Se a Ragusa l’inverno tardava ad andarsene via, il clima nazionale non era da meno. Intimidazioni, violenze, scorribande erano la cifra della reazione allo straordinario biennio di lotte che vide al nord il protagonismo degli operai contro i padroni e al sud quello dei contadini contro gli agrari. Gli stessi agrari che probabilmente si erano riuniti a festeggiare l’inaugurazione della Casa del Fascio a Ragusa superiore, il 3 aprile del 1921. Pochi giorni dopo, il 7 aprile per l’esattezza, Giolitti rassegna le sue dimissioni, fissando la data delle elezioni per il 15 di Maggio.

Il clima muta di nuovo: è quello della campagna elettorale. Vincenzo Vacirca, che a tredici anni aveva già contribuito a fondare il primo circolo socialista di Vittoria (1899), si prova il vestito nuovo, stringe il nodo della cravatta, mentre preoccupato pensa a cosa dovrà dire alla folla radunata in piazza. Rappresenta un mito per diseredati e contadini: carcere, lotte contro il latifondo e perfino corrispondente de L’avanti a Mosca per intervistare i bolscevichi. Il 9 aprile dunque è tutta una trepidante attesa nella piazza della Cattedrale di Ragusa. È un sabato e i braccianti riempiono la piazza prima ancora che il deputato socialista salga sul palco. Ma c’è qualcosa di strano nell’aria. Il servizio d’ordine della Camera del Lavoro se ne accorge subito, quando ci sono i primi movimenti sospetti da Corso Vittorio Veneto, vicino alla sede del Circolo Agricolo. Così, verso le 19.30, inizia il comizio del deputato socialista, proprio denunciando il clima di violenze del Paese e nel paese, la degenerazione dei fascisti, la commistione tra ceti dominanti e il partito fondato appena due anni prima da Mussolini a Milano. A un certo punto, i fascisti si radunano di fronte alla piazza e cominciano a insultare Vacirca e a provocare la piazza. Si scatena il panico, la gente corre da tutte le parti e da sotto i cappotti dei fascisti spuntano le pistole e i loro infami colpi sono indirizzati contro la Camera del Lavoro. La folla è disperata e scappa a destra e a sinistra, calpestando donne, anziani e bambini, vestiti a festa per il comizio. La polizia sta a guardare, come spesso accade e accadrà negli anni a seguire in tutta la penisola.

Il bilancio dei feriti è enorme. Circa una sessantina di persone rimangono colpite dalla furia fascista, mentre Rosario Occhipinti e Carmelo Vitale sono ormai distesi per terra senza vita, colpiti da proiettili di arma da fuoco di piccolo calibro. La piazza della Cattedrale è sporca di sangue. Qualche settimana dopo morirà anche Rosario Gurrieri, colpito invece da una pallottola esplosa tramite un fucile di grosse dimensioni. Via via la piazza si va svuotando. La città in poche ore è deserta. La gente si rifugia in casa, mentre i fascisti scorrazzano liberamente per tutta Ragusa, raggiunti nel frattempo dai loro camerati di Vittoria e Comiso. Il giorno dopo è il turno dei luoghi simbolo delle sinistre e dei socialisti: viene data alle fiamme la sede della Camera del Lavoro e quella della giovanile del partito. Il municipio viene nuovamente assaltato e l’amministrazione è costretta, con la forza, a firmare le proprie dimissioni. Nei giorni a seguire anche le amministrazioni di Comiso, Vittoria, Ragusa, Scicli, Augusta e Pozzallo vengono sciolte con la violenza squadrista, coordinate dal prefetto di ferro che tanta fortuna avrà dallo squadrismo siciliano, tale Filippo Pennavaria (di cui Sciascia racconta egregiamente in “Invenzione di una prefettura”).

Ma quel sangue, che è anche nostro, lastrica ancora quella piazza, come altre cento che furono investite dalla furia fascista, con il beneplacito della guardia regia e delle forze dell’ordine. E a Ragusa la primavera tarderà ancora a lungo ad arrivare.