Cento anni fa, il 25 maggio del 1922, nasceva a Sassari Enrico Berlinguer, il Segretario che portò il Partito Comunista Italiano al suo picco massimo in termini di consenso elettorale (il 34,4% nel 1976), ma anche l’uomo del “compromesso storico£ e dello strappo lacerante con l’Unione Sovietica.
Al netto dei giudizi sul suo operato, occorre però riportare il suo pensiero lì dove merita di stare, ossia nel solco del marxismo italiano, rifiutando la banalizzazione del suo pensiero che ben si presta ad un utilizzo strumentale della sua figura da parte di alcune forze politiche odierne.
A tal proposito riproponiamo l’estratto dall’intervista al quotidiano italiano. “La Repubblica”. 2 agosto 1978. Riprodotto in “Nuestra Bandera” n. 96 del 1978 e in Herri n. 12 di dicembre 2020.
D.—Signor Berlinguer, cos’è per lei il leninismo, comunisti italiani?
R.—Non è facile riassumerlo in un’intervista. Direi che è la complessa eredità che un grande rivoluzionario russo ed europeo ci ha lasciato in trent’anni di lotta politica e ideologica da lui portata avanti come intellettuale e leader di partito, come giornalista e pensatore marxista, come combattente e organizzatore , come uomo di governo e leader internazionale. Né i diversi lati della personalità di Lenin né i diversi momenti, ciascuno degli aspetti e gli sviluppi successivi della sua elaborazione teorica e del suo (comportamento) pratico possono essere considerati o fissati separatamente. Il loro è un patrimonio molto ricco e complesso, di cui ci sentiamo seguaci, ma anche critici e interpreti,
D.–Sei leninista? Il PCI è leninista?
R. — Se con il termine leninismo (o con l’espressione «marxismo-leninismo») si vuole intendere una specie di manuale di regole dottrinali concepito in modo statico, un blocco di tesi pietrificate in formule scolastiche che dovrebbero essere applicate acriticamente in qualsiasi circostanza di tempo e di luogo, allora la più grande ingiustizia sarebbe commessa contro lo stesso Lenin (per non parlare di Marx), la sostanza dei suoi insegnamenti politici sarebbe distorta, non sarebbe possibile comprendere o verificare nel nostro tempo, come riguarda ciò che può essere verificato, la lezione che ci ha dato. Non siamo leninisti in questo modo, anche se mi rendo conto che oggi molti vorrebbero che lo fossimo o ritengono che siamo proprio in quel modo conformisti.
D. — Allora, in che modo sei?
R.- Il Partito Comunista Italiano è nato sull’onda della rivoluzione proletaria dei soviet e su impulso di Lenin, di reagire e di porre fine alla confusione di idee e al vuoto politico in cui erano finiti, sotto la guida del partito socialista, della classe operaia e delle masse lavoratrici italiane, soprattutto nell’immediato dopoguerra. Un partito che sappia porsi nelle condizioni necessarie per poter misurare e verificare passo dopo passo la validità dei suoi orientamenti teorici e pratici, e, quindi, per poter aggiornare continuamente le formulazioni in cui i principi e gli ideali che ha preso dai suoi maestri rivoluzionari quei principi e quegli ideali che lo caratterizzano come partito comunista. E un partito che sappia anche guidare la classe operaia ad aprirsi ea costruirsi un sistema di relazioni e alleanze politico-sociali e il più ampio confronto possibile di idee. Mantiene quindi la propria identità di partito, ma cerca sempre l’unità con le diverse forze per un dovere di trasformazione. Lenin ha anche sviluppato criticamente e qualitativamente rinnovato Marx. Così hanno fatto Gramsci e Togliatti con Lenin ed è così che oggi ci sforziamo di continuare a farlo noi stessi.
D. — Ma, insomma, siete leninisti o no? Questa non è una curiosità personale, è un problema che devi affrontare oggi.
R. — Sei sicuro? È proprio sicuro che oggi, nel 1978, dopo tutto quello che è successo e sta accadendo in Italia, in Europa, nel mondo, il problema che noi comunisti dobbiamo affrontare sia proprio quello di rispondere alla domanda se siamo leninisti o no? E non mi riferisco a te, ma a tutti coloro che ci fanno questa domanda. Conoscono davvero Lenin e il leninismo? Sanno davvero cos’è quando ne parlano? Mi permetto di dubitarne.
In ogni caso, la lezione che Lenin ci ha dato nell’elaborare una vera teoria rivoluzionaria mi sembra del tutto viva e valida; vale a dire, superando l'”ortodossia” dell’evoluzionismo riformista, esaltando il momento soggettivo dell’autonoma iniziativa del partito, lottando contro il positivismo, il materialismo volgare, l’attesa messianica, i vizi tipici della socialdemocrazia, cedendo invece il passo alle forze proletarie di rinnovamento e liberazione che stavano combattendo in Russia e nel mondo intero. Vale la lezione di Lenin, che è riuscito a spezzare il predominio e l’unità mondiale del sistema capitalista, imperialista e coloniale, del Lenin che ha combattuto in ogni angolo d’Europa per la pace e contro la guerra, del Lenin che ha scoperto la risolutezza della alleanza del proletariato industriale con i contadini poveri e che,
D. — Perciò lei non nega Lenin…
R. — Per favore!… Noi comunisti italiani abbiamo le nostre peculiarità, la nostra elaborazione teorica, la nostra storia. Da quando siamo nati, nella nostra esperienza, nelle nostre analisi e ricerche, nelle nostre battaglie, Lenin occupa un posto importantissimo, ma non esclusivo o dogmatico. Chi ci chiede di emettere sentenze o di abiurare la storia e, in particolare, la nostra storia, ci chiede qualcosa che è insieme impossibile e senza senso. Non nega la storia: né la sua, né quella degli altri. Si cerca di capirla, superarla, crescere, rinnovarsi nella continuità.
Abbiamo fatto dei passi avanti nell’adattamento e nell’aggiornamento della nostra linea politica e dei nostri comportamenti senza rompere con il nostro peculiare passato, senza separarci dalle nostre origini, senza tagliare le nostre radici, senza creare un vuoto alle nostre spalle; al contrario, sviluppando il nostro grande e inalienabile patrimonio teorico e ideologico, accumulato in centotrent’anni di lotte dai movimenti rivoluzionari nati con il Manifesto del Partito Comunista, adoperandosi per non distaccarci dalla realtà italiana, per capirne e trasmetterne il senso e la direzione della nostra storia nazionale, per esprimere, nei tempi nuovi, il meglio delle nostre tradizioni culturali e conquiste civili. Machiavelli ha detto:“Se le repubbliche e le sette (cioè gli attuali partiti) non si rinnovano, non durano. E il modo per rinnovarli è reindirizzarli verso i loro principi”.
IL PCI NON HA BISOGNO DI ESAMI
D. — Lei descrive una storia di autonomia che, al contrario, ha subito anche lunghe interruzioni.
R. — Forse ti riferisci a quello che va dalla creazione del Cominform e dalla condanna di Tito, nel 1948, al nostro VIII Congresso, nel 1956. Anzi, in quel periodo c’era un certo indebolimento nell’affermazione di la nostra autonomia e originalità — cioè nella teorizzazione esplicita della via italiana al socialismo — rispetto al movimento comunista internazionale. Ma non dimentichiamo che era il tempo della guerra fredda. Ciò nonostante, anche in quegli anni, la condotta politica del PCI è sempre stata coerente con la difesa degli interessi nazionali, della democrazia e dell’unità delle masse popolari e delle forze democratiche, e ha portato all’elaborazione di importanti nuove posizioni, come quelle formulate e sostenute da Togliatti in difesa della pace contro la minaccia atomica,
D. — Ha detto recentemente che la domanda sul suo leninismo è un pretesto…
R. — Personalmente la considero una provocazione…
D. — Perché?
R. — La verità è che si teme che la presenza di questo Partito Comunista Italiano modifichi i vecchi equilibri di potere nella nostra società e nel nostro Stato, che l’ingresso della classe operaia nelle istituzioni (e anche ai massimi livelli) , che è sempre stata tenuta alla larga da ogni tipo di violenza legale e illegale, liquida vecchi e nuovi privilegi. Per impedire il compimento di questo processo, che nonostante tutto è molto avanzato, si ricorre al tentativo di esorcizzare il partito comunista. Vogliono sostenere un esame di democrazia. Ecco da dove vengono le domande sul leninismo. In realtà i nostri esaminatori vogliono sentirci dire che il nostro partito, in quanto partito comunista, non è legittimo in Italia. In altri paesi il partito comunista è stato messo fuori legge; si desidera che qui sia bandito da noi stessi. Vorrebbero sentirci dire: abbiamo sbagliato alla nascita; viva la socialdemocrazia, unica forma di progresso politico e sociale. Poi i nostri esaminatori ci dicevano con grande soddisfazione: “la risposta è corretta, sciogliete la festa e tornate a casa”. È una scusa. Potrei aggiungere che cinquant’anni di storia del Pci, di antifascismo, di lotta democratica, sono prove d’esame superate con tutti i voti favorevoli, di cui non si può discutere.