Brexit in caos

Brexit. Qui nel Regno Unito da un paio d’anni non si parla d’altro. Ora si è giunti ad un momento cruciale, che molti definiscono semplicemente “caotico”.

di Gerardo Ongaro

Forse certi temi complessi non si possono ridurre alla scelta semplice del Sì o del No imposti dai referendum. Forse certi argomenti sono meglio articolati in programmi elettorali sui quali poi si vota.

La gente ha scelto Brexit (di misura) per le più svariate ragioni. Conseguentemente, oggi ciascun parlamentare crede di sapere per quale Brexit hanno votato gli elettori che rappresentano. Sono interpretazioni, un tirare ad indovinare.

A poche settimane dalla scadenza del 29 marzo 2019 (termine stabilito dall’articolo 50 per l’uscita dall’unione), il parlamento britannico si trova in una situazione di stallo. Nessun tipo di accordo con l’UE sembra trovare il consenso necessario, perché ciascun parlamentare può sostenere che non è quello che i cittadini hanno chiesto.

La stessa cosa varrebbe se avesse vinto il no al Brexit. Tale esito potrebbe essere interpretato in maniera riduttiva, come un sì all’UE attuale, che anche molti dei pro Europa vogliono invece cambiare.

Contrariamente a ciò che tanti pensano, nemmeno gli estremisti del Brexit vogliono uscire dall’UE completamente. Vogliono accesso al mercato comune, per via degli enormi vantaggi economici, ma senza gli oneri e le responsabilità che comporta.

Molte bugie sono state dette durante la campagna referendaria. Non è stato detto che l’indipendenza completa dei sovranisti non può esistere. Ciascun paese ha bisogno di stabilire relazioni con il mondo che lo circonda, dal quale in parte dipende, specialmente se con esso condivide confini geografici. Tali relazioni non possono mai essere stabilite da un paese unilateralmente.

Incomprensibile è la mancanza di attenzione verso il disagio sociale che ha prodotto il voto favorevole al Brexit.

Alcuni accusano gli elettori di ignoranza, altri di ingenuità, altri ancora di nazionalismo. Nessuno si chiede perché la gente ha scelto un cambiamento così radicale, in un momento relativamente felice per l’economia; basso tasso di disoccupazione, buona crescita del PIL.

Il fatto è che i parametri del PIL e della disoccupazione non bastano per misurare il benessere di una nazione. Si può avere un paese ricco e il popolo che vive nella miseria. La storia è piena di esempi, di nazioni con un’economia fiorente e con piena occupazione: fiorente per pochi, piena occupazione di schiavi.

Nella vicenda del Brexit britannico esiste un triste paradosso.

Il Regno Unito era fuori dall’Euro. Aveva la sua Banca Centrale. Aveva già completa indipendenza monetaria e la libertà di gestire la sua finanza. In questo contesto, la situazione britannica è stata completamente causata da politiche nostrane.

I promotori dell’uscita dall’UE appartengono alla destra liberista, per i quali l’UE lo è troppo poco. Sono gli stessi che con le loro politiche liberiste della deregolamentazione del sistema finanziario hanno provocato la colossale crisi del 2007/2008, che, a sua volta, ha causato l’impoverimento della maggioranza e l’arricchimento di pochi privilegiati.

In pratica, gli autori del disagio sociale sono riusciti a convincere i cittadini a sostenere le ragioni che hanno causato la loro miseria. Una vera e propria beffa. Le vittime che inconsapevolmente hanno votato per i carnefici.

È un paradosso che si ripete altrove, con entità politiche che sfruttano le crisi per riciclarsi, mentre rimangono fedeli al sistema che le ha generate. A volte i loro leader sono costole provenienti da forze politiche liberiste esistenti. Altre volte, sono individui che devono al sistema il loro arricchimento personale e fingono di volerlo cambiare.

La concentrazione della ricchezza nei sistemi nobiliari fu possibile con la repressione. Il problema per la classe dominante odierna è la democrazia, che non gli permette di imbrigliare le masse con i vecchi metodi della frusta.

La repressione fisica viene allora sostituita con la tortura psicologica della propaganda mediatica, che prova a convincere la gente che la loro situazione precaria è necessaria e inevitabile, e che in fondo non è male, perché l’alternativa è peggiore.

È la strategia della paura. È la stessa tecnica usata per la pubblicità, che funziona benissimo, altrimenti non spenderebbero così tanti soldi: martellare la gente con certi messaggi, finché il cervello li assimila e diventano realtà nella normalità.

Forse il Brexit simboleggia le contraddizioni e la confusione prodotte dalla transizione tra un mondo politico liberista decadente, che non ne vuol sapere di andarsene, e il nuovo autentico che stenta ad emergere.

In questo contesto, il Brexit britannico è stato la risposta sbagliata ad un malessere legittimo.