Ecco come Giorgia Meloni vuole portare ancora più a destra la politica europea

Lo slogan della campagna elettorale di Georgia Meloni, “Con Giorgia l’Italia cambia l’Europa”, incentrato sul suo nome di battesimo, sottolinea il suo desiderio di influire a Bruxelles, mentre il suo partito fa promesse adatte a trovare alleati nel centrodestra europeo.

Di David Broder – Transform! Europe

“Scrivi Giorgia!” – Per il partito Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, le elezioni europee di giugno sono tutte incentrate sul primo ministro, che è il candidato capolista in tutte e cinque le circoscrizioni italiane. Poiché la sua popolarità è superiore a quella del suo partito, alcuni sondaggisti suggeriscono che l’inserimento del suo nome sulla scheda elettorale potrebbe portare alla sua lista un 2 percento di consensi in più, anche se ovviamente non diventerà europarlamentare.

Ad aprile, il Ministero dell’Interno ha dichiarato che “Giorgia” vale come “soprannome” – quindi, basta scrivere questa parola sulla scheda elettorale per votarla e contribuire a mandare un membro di Fratelli d’Italia a Bruxelles. Se questa sentenza è stata controversa, i social media legati al partito hanno giocato pesantemente sulla mossa: un account ha pubblicato diversi post che ritraggono varie figure di odio (studenti che protestano, ambientalisti, ecc.) con la didascalia “Non scriveranno ‘Giorgia’”.

Se questa elezione è già stata definita un “referendum” sulla Meloni, è un voto sulla leadership italiana sotto diversi aspetti. In due circoscrizioni su cinque, non solo la Meloni ma anche la leader dell’opposizione Elly Schlein guida la lista del suo Partito Democratico di centro-sinistra, pur non avendo intenzione di diventare europarlamentare.

Come a sottolineare l’attenzione per i leader rispetto ai partiti e ai programmi, in questa campagna la Meloni ha ripetutamente sollevato il tema dei suoi piani di revisione costituzionale, che indebolirebbero il Parlamento e la Presidenza della Repubblica introducendo un primo ministro eletto direttamente con una maggioranza automatica di seggi. In qualsiasi campagna elettorale nazionale per le elezioni europee, le priorità nazionali hanno un peso notevole. Tuttavia, la competizione italiana non è solo campanilistica. Oggi, infatti, i partiti di governo italiani parlano di cambiare la maggioranza politica anche a Bruxelles, sostituendo la grande coalizione con un’unione di forze di destra.

In tempi stravaganti come questi, una simile proposta si sta avvicinando alla realtà. Intervenendo nel dibattito sugli Spitzenkandidaten il 29 aprile, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha ribadito a metà questa idea, suggerendo che nelle giuste condizioni potrebbe trattare con il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR) della Meloni. Ciò ha suscitato reazioni allarmate da parte di molti liberali, verdi e socialdemocratici non disposti a trattare con l’estrema destra. Eppure, nell’ultimo anno, la von der Leyen e i suoi colleghi del Partito Popolare Europeo (PPE) hanno corteggiato apertamente la Meloni, facendo ipotizzare un’alleanza con l’ECR o addirittura l’ingresso di Fratelli d’Italia nel PPE.

In questa sede analizzerò come questo ammorbidimento delle precedenti divisioni tra le destre potrebbe far assomigliare la politica dell’UE a quella italiana, ma anche perché la posizione della Meloni non è del tutto inattaccabile.

Unire la destra

La Von der Leyen è sicuramente ancora disprezzata da molti esponenti dell’estrema destra. Ciò è emerso chiaramente in occasione del lancio della campagna elettorale di Identità e Democrazia (ID, il gruppo europeo che riunisce la Lega di Matteo Salvini, il Rassemblement National francese e, non invitato a questa manifestazione, l’Alternative für Deutschland tedesca). Parlando in collegamento video, Marine Le Pen ha accusato la Meloni di pianificare la rielezione della von der Leyen piuttosto che unirsi all’ID per cacciarla. Nella retorica della Le Pen, sembra che la Meloni si sia ammorbidita nei confronti dell’attuale leadership dell’UE e del suo presunto pensiero di gruppo progressista su tutto, dall’immigrazione all’agenda verde. Gli alleati dell’ID di Salvini nell’UE sono tutti partiti di opposizione, ma la sua Lega, che è la seconda forza principale del governo Meloni, rilancia l’appello a una destra unita per governare “in Europa come in Italia”. Strappando la bandiera dell’unità, la Lega accusa i suoi partner nazionali Fratelli d’Italia e Forza Italia di “porre il veto” a un accordo a livello europeo con Le Pen.

Se Salvini critica il premier Meloni – alleato di governo, ma rivale elettorale – è facile dimenticare quanto sia stato forte alle ultime elezioni europee. Nel 2019, la Lega ha ottenuto il 34% e Fratelli d’Italia solo il 6%. Era l’epoca in cui Salvini era un ministro dell’Interno dalla linea dura e anti-immigrazione, che aveva trasformato il suo partito regionalista del Nord in una forza nazionalista tutta italiana, dominando la destra e radunando (tra gli altri) gran parte dell’ex base di Silvio Berlusconi.

Ma dopo diversi passi falsi – e un appoggio a parole al governo tecnocratico di Mario Draghi nel 2021-22 – il grosso dell’elettorato di destra è passato a Fratelli d’Italia, lasciando la Lega molto indebolita. Dalle elezioni politiche del settembre 2022, il sostegno della Meloni si è spostato solo marginalmente. I sondaggi elettorali dell’UE indicano che il campo della destra (45%) sarà leggermente in calo rispetto ai dati del 2019, ma a ruoli invertiti: Fratelli d’Italia al 27%, Lega e Forza Italia intorno all’8%.

Quindi, che possibilità ha la Lega di erodere il vantaggio della Meloni? Rispetto a Fratelli d’Italia, ha una maggiore profondità di candidati e leader di secondo piano. Tra questi vi sono alcuni tecnocrati, ma l’obiettivo della sua campagna elettorale per l’UE è quello di rivaleggiare con la Meloni da destra, adottando linee dure sui temi della guerra culturale. Questo obiettivo viene in parte raggiunto vantando varie figure locali che hanno disertato da Fratelli d’Italia alla Lega.

Il caso più emblematico è quello di Roberto Vannacci, un generale dell’esercito che lo scorso agosto si è autopubblicato il libro Il mondo al contrario, subito in testa alle classifiche. Il suo testo – che denuncia il politicamente corretto e la “grande sostituzione” dei cittadini con gli immigrati – è stato il quinto libro più venduto in Italia nel 2023. Vannacci è ora in cima alla lista della Lega nel Centro e nel Sud Italia, e sta facendo scalpore la sua richiesta di classi separate per gli alunni disabili e l’insistenza sul fatto che è un mero “fatto statistico” che gli italiani siano bianchi.

Il gioco di equilibri di Fratelli d’Italia consiste nel resistere a questa concorrenza e nell’integrare i ritardatari dei piccoli gruppi neofascisti, affermando al contempo di rappresentare un ampio campo conservatore. Lo slogan della campagna elettorale, “Con Giorgia l’Italia cambia l’Europa”, ancora una volta incentrato sul nome di battesimo della leader, sottolinea chiaramente la sua influenza a Bruxelles. Ma l’affermazione che la leader della nazione trascende un mero interesse di partito cerca anche di intaccare la base di Forza Italia, la terza forza della sua coalizione, un anno dopo la morte del suo patriarca Silvio Berlusconi. Tuttavia, gli alleati della Meloni, come Carlo Fidanza, suo leader al Parlamento europeo, hanno resistito alle accuse della Lega che Fratelli d’Italia potrebbe entrare in una grande coalizione. Fidanza insiste che il suo partito non si alleerebbe mai con il centro-sinistra, a differenza di coloro (Lega, Forza Italia) che hanno appoggiato il governo di Draghi nel 2021-22. Ma gli alleati della Meloni insistono anche sul fatto che, a differenza di Salvini, lei sta facendo la differenza a Bruxelles piuttosto che limitarsi a gridare dai margini.

Questa combinazione di posizioni è ben illustrata dal manifesto di Fratelli d’Italia per le elezioni europee. Il manifesto ripropone molti slogan del decennio in cui il partito è stato all’opposizione, come ad esempio la richiesta di un’inchiesta sulla pandemia COVID-19 e l’attacco ai piani dell’UE e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per introdurre un vaccino globale. Se da quando la Meloni è entrata in carica si dice spesso che abbia abbandonato i suoi toni duri e “populisti”, questo testo pone la sua immagine sotto un monito contro il rischio di un “superstato europeo che ricorda il modello sovietico tanto amato dalla sinistra”. Si dice che sia “scritto dalla sinistra europea” anche il Green Deal dell’UE, presentato come un attacco agli agricoltori e alla crescita economica. Tuttavia, se da un lato Fratelli d’Italia promette di sostituire queste politiche dell’UE e il divieto di circolazione delle auto a benzina del 2035, dall’altro si vanta della sua attuale influenza. In particolare, si dice che gli sforzi della Meloni per esternalizzare i controlli alle frontiere europee a vari regimi nordafricani siano stati (giustamente) “presi a modello nell’UE”.

Oltre alla visione a grandi linee di aumentare le nascite in Europa e di tenere lontani altri nuovi arrivi, la campagna della Meloni ha incluso alcune offerte politiche “al dettaglio” più piccole, come un bonus fiscale di 100 euro di cui dovrebbero beneficiare “1,1 milioni di famiglie di lavoratori” il prossimo gennaio. Tuttavia, l’orientamento generale è quello di una versione “migliorata” dei piani di spesa del dopo-Covida, evitando l’austerità e mantenendo i fondi europei per gli investimenti verdi (ma anche per l’industria automobilistica), eliminando la burocrazia ambientale e offrendo esenzioni fiscali alle piccole imprese che assumono personale.

Fratelli d’Italia promette quindi guadagni agli italiani a basso reddito attraverso la riduzione delle tasse e la maggiore competitività delle piccole imprese: un programma adatto a trovare alleati nel centro-destra europeo. Già nel parlamento uscente, il PPE si è unito all’ECR nell’opporsi alla legge sul ripristino della natura dell’UE, e il suo leader Manfred Weber si sta sempre più impegnando nella difesa delle auto a benzina.

Jobs Act

La promessa pre-elettorale della Meloni di un bonus di 100 euro per le famiglie a basso reddito con figli è stata ampiamente paragonata a una politica annunciata prima delle elezioni europee del 2014 da Matteo Renzi, allora fresco primo ministro democratico. Egli offrì ai lavoratori a basso e medio reddito un sussidio di 80 euro – anche se doveva essere versato una volta al mese e divenne presto permanente, mentre Meloni promette solo un pagamento una tantum (che ammonta anche a soli 80 euro al netto delle tasse).

I Democratici di Renzi ottennero il 41% in quelle elezioni, alimentando la leggenda che questo “Tony Blair italiano” avesse il tocco d’oro – fino a quando non cercò di cambiare la Costituzione, provocando una sconfitta referendaria e le sue dimissioni nel 2016. Oggi Renzi guida il piccolo partito liberal-centrista Italia Viva. Come parte del patto elettorale degli “Stati Uniti d’Europa”, si aggira appena sopra la soglia del 4% per entrare in Parlamento, così come un partito centrista rivale, Azione, guidato dal suo ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.

Una delle riforme più controverse di Renzi come primo ministro è stato il cosiddetto “Jobs Act”, presentato anche in Italia con un nome inglese. Con il linguaggio della modernizzazione, questa misura è stata concepita per incrementare un mercato del lavoro più “flessibile”, rendendo più facile per le aziende assumere e licenziare, anche abolendo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori del 1970, che proteggeva molti lavoratori dal licenziamento. I critici hanno fatto notare che, anche se contribuisse ad aumentare il numero dei posti di lavoro, l’effetto sarebbe quello di radicare ulteriormente l’Italia in un’economia a basso salario, caratterizzata da crescenti disuguaglianze e dal lavoro precario. Il 25 aprile, Festa della Liberazione, il sindacato CGIL ha lanciato una raccolta di firme per imporre un referendum su quattro quesiti per l’abrogazione del Jobs Act, che dovrebbe tenersi nel 2025, un decennio dopo l’approvazione della legge. Anche questo ha dato forma alla campagna europea.

Giuseppe Conte, che è stato primo ministro nel 2018-21, ha rapidamente schierato il suo Movimento Cinque Stelle a favore della richiesta di referendum della CGIL, in linea con il marchio più “progressista” che negli ultimi tempi ha dato al suo partito. Con una percentuale di voti intorno al 16%, i Cinque Stelle stanno cercando di raggiungere i Democratici (a volte loro alleati nelle elezioni regionali) come principale forza di opposizione. Tuttavia, le loro basi sociali sono nettamente diverse: I Cinque Stelle sono ancora più giovani, più meridionali e meno ricchi. Il sostegno all’appello della CGIL è arrivato anche dall’Alleanza Verde-Sinistra (AVS, un piccolo raggruppamento di sinistra che si attesta intorno al 4%). Più contrastata è stata la reazione del Partito Democratico. Si tratta della forza che ha inizialmente approvato la legge sotto la guida di Renzi, ma che poi nel marzo 2023 ha eletto Elly Schlein come nuovo leader, promettendo di riavvicinarsi agli italiani a basso reddito.

La Schlein aveva lasciato i Democratici nel 2015, in parte in opposizione al Jobs Act di Renzi, e si era riavvicinata solo nel dicembre 2022 per combattere le primarie. Il suo annuncio, il 6 maggio, di voler appoggiare la richiesta di referendum della CGIL è stato ampiamente presentato come una mossa che ha diviso il suo partito. Ma ha anche illustrato le sue difficoltà a rinnovare davvero i Democratici: ha presentato questa scelta come una scelta personale, insistendo sul fatto che questo è un “partito plurale e altri legittimamente non firmeranno”. Il presidente del partito Stefano Bonaccini, da lei sconfitto alle primarie del 2023, ha dichiarato di “riflettere su un paio di questioni”, ma di non aver ancora firmato, e ha insistito sul fatto che il partito non può “limitarsi a personalizzare la posizione di un sindacato”. Una corrente “riformista” che si è sposata con le recenti esperienze tecnocratiche continua ad avere un notevole peso. Fratelli d’Italia ha postato un meme “Spiderman indica Spiderman” per illustrare la confusa identità dei Democratici.

Alcuni falchi liberali sono innamorati della Meloni: il quotidiano Uber-centrico Il Foglio definisce un sondaggio che mostra il suo partito al 27,6% come “una nuova conferma che la maggioranza degli [sic] italiani ha fiducia nel governo” (la maggior parte no). Tuttavia, il suo sostegno è stato abbastanza stabile, con un calo molto più lento rispetto ad altri governi recenti.

I Democratici si attestano appena al di sopra del 20%, e anche con i loro alleati di sempre, Cinque Stelle e AVS, il “campo largo” dell’opposizione si attesta intorno al 40%, pochi punti dietro la coalizione di destra. Più preoccupante, tuttavia, è una tendenza più ampia alla rassegnazione. Al momento della sua elezione, Schlein aveva promesso di ribilanciare gli astenuti. Con appena il 50% degli elettori aventi diritto che dovrebbero votare a giugno, è tutt’altro che chiaro che ciò stia accadendo. Dalle elezioni generali del 2022, ogni competizione a livello regionale ha visto un calo dell’affluenza rispetto al voto precedente.

Rompere le catene

Su molte questioni, Schlein ha assunto una posizione di opposizione molto più forte rispetto ai precedenti leader democratici, come Enrico Letta. Lo scorso febbraio, ha dichiarato al New York Times di aver trovato la Meloni “migliore di quanto ci aspettassimo” sulla politica economica e sulla diplomazia dell’UE. Molti liberali hanno anche citato il sostegno della premier alla NATO e all’Ucraina (e a Israele), proiettato molto prima delle elezioni del 2022, al servizio di una narrazione redentrice di un ritorno all’ovile occidentale. Non importa che la Meloni promuova da tempo la “Teoria della Grande Sostituzione”, che sia stata ripetuta dai suoi ministri o che ne abbia nuovamente esposto le idee centrali in un libro pubblicato lo scorso settembre. La Meloni è, dopo tutto, favorevole all’establishment e “europeista” – soprattutto quando la parola “europeo” significa cooperazione contro la minaccia della Cina o della migrazione musulmana e africana.

Questo mainstreaming, promosso da alti funzionari del PPE e dell’amministrazione Biden, si basa anche sul distacco dell’individuo pragmatico “Giorgia” dagli alleati estremisti. Forse non dovremmo essere troppo sorpresi quando ciò accadrà con Marine Le Pen. Ma già ora c’è una contraddizione irrisolta nello sforzo di dichiarare Meloni un alleato accettabile e di anatemizzare altri che vengono definiti di estrema destra. Per personaggi come von der Leyen o il capo del PPE Manfred Weber, le alleanze possono essere fatte con figure “pro-UE, pro-NATO, pro-Ucraina, pro-stato di diritto” come la Meloni – ma non con quelli coinvolti nell’ID, e soprattutto con Alternative für Deutschland. Eppure, proprio il gruppo ECR della Meloni ha integrato lo scorso febbraio il partito Reconquête di Éric Zemmour, e Fratelli d’Italia dice che accoglierebbe anche il Fidesz di Viktor Orbán.

Gli stretti legami della Meloni con Orbán, che sono continuati anche durante la sua premiership, sono stati molto in vista durante questa campagna. Un punto focale è stato Ilaria Salis, un’insegnante antifascista che lo scorso febbraio ha partecipato a una protesta contro la marcia commemorativa del “Giorno dell’onore” nazista a Budapest, ma che è stata poi accusata di tentato omicidio dopo essersi presumibilmente unita a un’aggressione fisica di militanti di estrema destra. Le immagini che la ritraggono in tribunale incatenata con manette e cavigliere hanno suscitato sgomento in Italia e richieste d’intervento da parte della Meloni, ma il premier ha invece sottolineato l’indipendenza della magistratura ungherese (sic!) e ha cercato di “depoliticizzare” il caso. Questa è stata anche la sua reazione il mese scorso, quando è stato annunciato che Salis sarà il candidato principale dei Verdi-Sinistra nell’Italia nord-occidentale, nella speranza che la sua elezione la faccia uscire dal carcere.

Il 15 maggio, una corte d’appello ungherese ha annunciato che Salis potrà uscire agli arresti domiciliari a Budapest in attesa del processo. Rischia comunque una lunga pena detentiva, oltre ai 15 mesi già trascorsi in carcere. La sua causa célèbre – e l’attacco che le è stato rivolto dal leader della Lega Salvini, che ha messo in dubbio il suo futuro di insegnante – hanno attirato gli esponenti della sinistra al di fuori dell’Alleanza Verde-Sinistra verso questa lista, che ha buone possibilità di eleggere alcuni eurodeputati tra cui Salis. Particolarmente degna di nota è stata la scelta di Potere al Popolo, una forza di sinistra radicale originariamente basata sul centro sociale ExOPG di Napoli e generalmente incline a dipingere la Sinistra Verde e i suoi predecessori come satelliti dei Democratici. I suoi manifesti lo dicono chiaramente: “Voteremo per Ilaria Salis (anche se non ci piace la sinistra verde) perché la sua liberazione conta di più”.

La posizione di Potere al Popolo è stata criticata dalle file del suo ex alleato Rifondazione Comunista (PRC). Quest’ultima è sicuramente coinvolta nella campagna per la liberazione di Salis, ma in queste elezioni sostiene la lista “Pace-Land-Dignità”, guidata dal conduttore di talk show Michele Santoro. Comprendendo anche Mera25 Italia, Pace-Land-Dignità non ha unito i principali partiti della sinistra radicale italiana (seppur piccoli) come aveva fatto la precedente Unione Popolare, ma punta a rappresentare un campo pacifista di sinistra e a sfruttare il consistente segmento di opinione pubblica che si oppone agli aiuti militari all’Ucraina. Un candidato proposto ha attirato l’attenzione dei media per le sue posizioni “filorusse”, ma alla fine la lista è stata esclusa nel seggio nord-occidentale in cui sperava di candidarsi[1]. Peace-Land-Dignity condanna anche la guerra di Israele a Gaza. Secondo i sondaggi, è improbabile che riesca a eleggere degli eurodeputati, ma dovrebbe superare il 2%.

Dopo le elezioni

La campagna elettorale italiana ha ruotato, più di altre, intorno allo spettro di un cambiamento generale nell’aritmetica elettorale europea – e di una coalizione a livello di UE che oscilla a destra. Tuttavia, mentre Finlandia e Svezia hanno avuto dal 2022 governi “all’italiana” di alleanze tra centro-destra ed estrema destra, e la Spagna potrebbe prevedibilmente seguirne l’esempio, per ora sembra improbabile che ciò si verifichi a livello europeo subito dopo il voto di giugno.

Un riavvicinamento tra Fratelli d’Italia, (parte di) ECR e il PPE sembra comunque molto probabile, non necessariamente come un patto formalmente dichiarato, ma almeno in termini di voto comune su molte leggi e nomine chiave. Ma questo è vero anche in senso più ampio. Anche se l’intero spettro della destra, dai cristiano-democratici tedeschi alla Meloni, alla Le Pen, all’AfD, ecc. raggiungesse qualcosa come il 50% dei seggi, non annuncerebbe di unire le forze. Tuttavia, essi rappresenterebbero una maggioranza di blocco.

La campagna elettorale italiana ha un carattere fortemente personalizzato, poco favorevole al dibattito sui grandi temi. Anche le questioni più importanti che si profilano (la riforma costituzionale e il Jobs Act) sembrano destinate a essere affrontate con lo strumento piuttosto spuntato dei referendum. La promessa della Meloni di un bonus di 100 euro per le famiglie di lavoratori è esemplificativa della mancanza di risposte sostenibili da parte del governo alla questione fondamentale del lavoro precario e poco retribuito. Ma sembra che l’opposizione potrebbe fare molto di più anche su questo fronte, anche al di là della richiesta di un salario minimo.

Con l’UE che probabilmente tornerà all’austerità, l’Italia, principale beneficiaria dei fondi per la ripresa post-pandemia, potrebbe presto trovarsi in acque più agitate. Vedremo allora se il centro-sinistra metterà ancora una volta il suo destino nelle mani di tecnocrati “pro-UE” o se invece dimostrerà di aver imparato dalle tante volte in cui ha deluso la classe operaia italiana.