Huawei sotto pressione potrebbe ritirarsi dall’Europa?

Secondo quanto riferito da Politico, il gruppo tecnologico cinese si potrebbe ritirato dall’Europa dopo la campagna di boicottaggio degli Stati Uniti. Espansione della presenza dell’azienda, invece, nel “resto” del mondo.

di Joerg Kronauer – Junge Welt

Il gruppo cinese Huawei, noto per i suoi smartphone e soprattutto per la sua tecnologia 5G, si sta ritirando dall’Europa a causa della campagna di boicottaggio statunitense in corso nei suoi confronti? Almeno questo è quanto affermato qualche giorno fa dal portale di notizie Politico, di proprietà di Axel Springer SE . “Come Washington ha cacciato Huawei dall’Europa”, titolava il portale, prima di proseguire allegramente: “Il gigante tecnologico cinese sta riducendo le sue attività a Bruxelles, Parigi e Londra e si sta muovendo verso il suo mercato interno”. 

 

Fornitore ad alto rischio

È tutto vero? Sicuramente è vero che Washington continua ad aumentare la pressione su Huawei. Poco più di una settimana fa, il governo degli Stati Uniti ha vietato di importare e vendere smartphone, apparecchiature per le telecomunicazioni e tecnologia di sorveglianza di Huawei e di altre nove società high-tech cinesi negli Stati Uniti. I prodotti mettono in pericolo la sicurezza nazionale, si diceva per giustificare il provvedimento. Anche ZTE e Hikvision, un produttore di telecamere di sorveglianza, sono interessate dal divieto. Inoltre, i servizi per i prodotti che sono già stati consegnati non sono più consentiti. Ciò significa che i prodotti devono essere gradualmente eliminati prima piuttosto che dopo. Washington sta quindi accelerando ulteriormente il disaccoppiamento dei mondi high-tech di Cina e Stati Uniti.

Anche in Germania e nell’UE la pressione per cacciare Huawei è in costante aumento. A metà ottobre, la Commissione Ue ha invitato “gli Stati membri che non hanno ancora imposto restrizioni ai fornitori ad alto rischio” di tecnologia 5G a farlo “immediatamente”; c’è un “urgente bisogno di azione” a causa di “potenziali attacchi alle infrastrutture critiche”. “Fornitori ad alto rischio” significavano Huawei e altre società cinesi. Appena tre settimane dopo, è arrivato il primo successo: la città di Duisburg, da anni collegata alla Cina su rotaia nell’ambito della “Nuova Via della Seta”, ha sospeso la sua collaborazione con Huawei. Era infatti stato concordato in precedenza che la “China City” di Duisburg sarebbe stata riprogettata nel suo complesso come una “città intelligente”, ovvero potenziata con prodotti high-tech. Probabilmente adesso non se ne farà più nulla.

E Washington segue l’esempio. “Gli Stati Uniti sono convinti”, ha dichiarato Julianne Smith, l’ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO, che “non possiamo consentire a fornitori inaffidabili di partecipare alla nostra infrastruttura digitale”, che ovviamente include anche la rete 5G. Con quel “Noi” non intendevamo solamente gli Stati Uniti, ma tutti i paesi della NATO. Smith ha incontrato l’approvazione dei partiti di governo di Berlino. La “tecnologia cinese” deve essere “immediatamente rimossa dall’area centrale dell’infrastruttura IT critica tedesca ed europea”, ha dichiarato il membro dei Verdi del Bundestag Konstantin von Notz, mentre il portavoce per la politica digitale del gruppo parlamentare SPD, Jens Zimmermann, ha parlato degli operatori di telefonia mobile tedeschi come di “soggetti altamente esposti”.

Huawei quindi, cacciata dagli USA e sempre più in affanno in Europa, si avvia ad una ritirata? Forse è vero: l’azienda, tagliata fuori dalla tecnologia occidentale in misura considerevole, sta facendo ogni sforzo per consolidare la sua base tecnologica. Sta lavorando per produrre semiconduttori in Cina che non può più ottenere dall’estero, o per lavorare a stretto contatto con aziende cinesi che potrebbero essere in grado di sviluppare questi chip. In definitiva, Huawei mira a creare una catena di fornitura high-tech completa nella Repubblica popolare, dalle macchine necessarie per la produzione di chip alla produzione stessa di semiconduttori. 

 

Ben ancorata al “resto” del mondo

Mentre Huawei lavora per stabilire catene di produzione e fornitura complete in Cina che siano indipendenti dalle sanzioni occidentali, l’azienda continua ad espandere la sua presenza globale. Tra America Latina e Caraibi è attiva in almeno 20 paesi; in quattro di essi detiene una quota di oltre il 20 per cento delle apparecchiature di telecomunicazione installate. La forte pressione degli Stati Uniti è riuscita solo a mantenere la tecnologia cinese bloccata dalle reti governative in alcuni stati – come il Brasile sotto Jair Bolsonaro – e che non viene utilizzata nelle aree di confine del Messico con gli Stati Uniti. Le apparecchiature Huawei sono utilizzate in gran parte del sud-est asiatico, nella penisola arabica e nel continente africano per costruire reti 5G. Più di recente, la sudafricana Telkom e la keniota Safaricom, le più grandi compagnie di comunicazioni mobili dell’Africa orientale, hanno iniziato a collaborare con l’azienda cinese. A novembre, il geostratega canadese Abishur Prakash ha notato che Huawei non ha più accesso ad alcuni paesi occidentali – oltre agli Stati Uniti, come Giappone, Australia ed in sempre più paesi europei. Il gruppo punta quindi in particolare “sui mercati che sono meno sotto il controllo dell’Occidente”. Sarà quindi per Huawei, come profetizza Politico, l’espulsione dall’Europa dall’Occidente? Forse. Tuttavia, l’azienda è saldamente ancorata nel “resto” del mondo.