Fin dal giorno in cui Syriza ha assunto la governance della Grecia, ha trovato davanti a sé una situazione economica e finanziaria difficile e complessa. Insieme al governo ha assunto una pesante responsabilità morale e politica nei riguardi di un paese e di un popolo che stava attraversando il difficile cammino delle politiche di austerità.
di Daniela Sansone
Finalmente, dopo 3 anni, nell’Agosto del 2018, il paese ha concluso il programma concordato con le istituzioni europee e ha posto fine al capitolo dei memoranda. La Grecia finalmente è uscita dalla tutela finanziaria. Questo, significa, che il paese ha ripreso in mano la sua sovranità economica e ha più spazio per poter progettare le sue politiche. Questo significa, ancora, che la vigilanza sul paese non ha la stessa pressione del passato ma si sostanzia, nel complesso, in una verifica periodica dei progressi economici del paese.
Syriza negli anni di governo ha messo al centro della sua azione una forte concezione europeista della politica a sinistra. Laddove oggi l’Europa vede il riemergere di destre nazionaliste, diventa uno spauracchio che i governi nazionali agitano e da cui ne invocano l’uscita per poter avere maggiore libertà di azione e di scelta, la Grecia ha rappresentato invece il paese in cui i valori europei hanno avuto una compiuta realizzazione, il paese in cui lo spirito europeista di collaborazione e di solidarietà ha ricevuto maggiore attenzione. Si pensi, all’importante Accordo di Prespe che non solo ha posto fine alla complessa ed annosa diatriba tra Grecia e Nord Macedonia ma ha rappresentato un punto di partenza fondamentale nella stabilizzazione della Regione dei Balcani.
Quale sarà, quindi, il giorno dopo di Syriza? La creazione di 500.000 nuovi posti di lavoro, con un aumento simultaneo dei salari e un rafforzamento dei diritti dei lavoratori, rappresentano un pilastro importante del programma della sinistra greca per i prossimi quattro anni. Cosa differenzia questo obiettivo da una semplice promessa elettorale?
Basta solo guardare ai dati. Dal 2015 al 2018, circa 400.000 lavoratori hanno trovato una occupazione, con il 70% dei posti di lavoro a tempo indeterminato. Inoltre, durante i primi cinque mesi del 2019, è stato registrato un record positivo di 265.000 posti di lavoro. Su questa base, SYRIZA potrebbe fissare un obiettivo realistico, alla fine dei prossimi quattro anni e coprire i 1.000.000 di posti di lavoro persi nella crisi. Ma bisogna anche lavorare sulla qualità del lavoro. Non ci possono essere lavori degni e di qualità senza contributi previdenziali, un giusto orario di lavoro e maggiori diritti. Senza una vera normativa del lavoro efficace ed efficiente.
I più grandi risultati, in termini laburistici, raggiunti dal governo, sono stati da una parte il ripristino della contrattazione collettiva, che era stato abolita da ND e una lotta efferata al lavoro non dichiarato, elementi da non sottovalutare nella logica di sviluppo economico di un paese. Uno sviluppo che non può basarsi su salari ridotti e sulla compressione dei diritti, ma deve avere al centro il lavoratore e i suoi diritti. In quest’ottica, il governo ha dato maggior potenziamento anche agli organi di controllo, come l’Ispettorato del lavoro la cui funzione nei periodi della crisi si era attenuata, favorendo una maggiore delinquenza nelle relazioni tra datore di lavoro e lavoratore. Oggi, grazie alla nuova riorganizzazione di questo organo e alle nuove normative, è stato ridotto il lavoro non dichiarato dal 20% all’8,9%. Il ripristino della contrattazione collettiva, insieme all’aumento del salario minimo hanno portato ad aumenti retributivi per i lavoratori, per la prima volta dopo quasi un decennio. Aumenti che non hanno impedito, ma hanno rafforzato la riduzione della disoccupazione.
Il governo ha lavorato anche alla riforma del sistema pensionistico. Syriza ha ricevuto un sistema pensionistico che, dopo 12 tagli orizzontali di 45 miliardi di EUR, aveva un deficit di 1,1 miliardi di Euro e 400.000 pensioni non pagate. La scommessa era di riformare il sistema di sicurezza sociale pubblico e portare avanti la sua redditività a lungo termine. Sono stati ridotti significativamente i contributi a lavoratori autonomi e agricoltori, sono stati annullati i tagli pensionistici e per la prima volta dall’inizio della crisi 620.000 pensionati hanno visto aumenti. Nel mese di maggio è stata reintrodotta la 13a pensione, per tutti per i pensionati. In futuro, si prevede un ulteriore aumento della pensione per rafforzare il reddito di tutti i pensionati su base permanente. Ma il grado di civiltà di un paese si misura anche sulla base della solidità del suo stato sociale.
Nel contesto della solidarietà sociale, il budget di partenza era di 800 milioni ed oggi è stato aumentato a 3 miliardi. La Grecia ha costruito negli ultimi anni uno stato sociale moderno, basato sugli standard europei, implementando politiche di sostegno ai minori, con la diffusione di 150.000 pasti scolastici, con il doppio del numero di bambini nelle scuole materne e aumentando l’assegno familiare da 650 a 1,1 miliardi di euro. Sono state portate avanti numerose e piccole riforme che hanno inciso fortemente sulla vita quotidiana dei cittadini: assegni di invalidità non più tassati, più posti negli asili, aumento dell’assegno per figli di genitori single.
In questi quattro anni, la Grecia non ha solo combattuto una battaglia in punta di “indice numerico ed economico”. Ma ha combattuto una battaglia per la dignità del suo popolo. Ed oggi, combatte la battaglia per far sì che tutto questo quadro non venga smantellato da chi oggi promuove un ritorno al passato mascherandolo come il sentiero del benessere e della crescita del paese.
Domenica, il popolo greco sarà chiamato a decidere su due opposti piani. Un piano che guarda al futuro ed un altro che, invece, spinge il paese in un passato oscuro e tormentato. La Grecia in questi anni ha dimostrato che si può cadere ma che ci si deve rialzare con maggiore vigore e determinazione. Ma che si può costruire un futuro migliore, pieno di speranza, fiducia e maggiore sicurezza e solidarietà sociale, solo se questo rappresenta un desiderio e un disegno politico collettivo.