Il vero motivo per cui le multinazionali stanno chiudendo in Russia

Oltre alle misure già adottate da Ue e Stati Uniti per soffocare l’economia russa, le grandi aziende hanno ora deciso di interrompere la loro attività in Russia. Si tratta di aziende che parlano di “diplomazia capitalista” o “sacrificio per la pace”. Tuttavia, dietro queste decisioni c’è l’interruzione della catena produttiva globale causata dalla guerra in Ucraina. Il primo impatto: migliaia di lavoratori russi saranno senza lavoro.

di Chiara Mallo – Izquierda Diario*

Oltre alle restrizioni imposte da Stati Uniti e Ue all’economia russa, sono sempre più numerose le aziende europee e americane, ma non solo, che hanno deciso di “interrompere gli affari” con la Russia. Grandi multinazionali come Inditex, H&M, Ikea, Volkswagen e Toyota hanno deciso di “fermare la loro attività” in Russia. Inoltre, sempre più aziende stanno decidendo di boicottare la Russia, come nel caso degli operatori petroliferi che stanno limitando l’acquisto di greggio dalla Russia.

L’azienda di mobili Ikea ha deciso questo giovedì di sospendere temporaneamente la sua attività in Russia e Bielorussia. L’effetto diretto di questa chiusura a catena di tutte le sue filiali – fatta eccezione per i Mega centri commerciali gestiti dall’azienda svedese – in questi paesi è il licenziamento di 15.000 lavoratori. Sebbene nel suo comunicato Ikea assicuri che le sue “ambizioni” in Russia sono “a lungo termine” e che ha adottato misure per garantire occupazione, reddito e sicurezza alla forza lavoro e alle loro famiglie, il dato di fatto è la cessazione dell’attività e il piccolo auspicio che la situazione di crisi scatenata dalla guerra in Ucraina si stabilizzerà.

Ikea non è l’unica azienda che ha preso questa decisione. Lo stesso giovedì anche Toyota e Volkswagen hanno fatto annunci simili. Toyota ha annunciato che la cessazione della sua attività in Russia questo venerdì interromperà anche le sue importazioni. In questo caso, l’azienda giapponese è più specifica nelle sue comunicazioni e allude al fatto che si tratta di misure giustificate da “interruzioni della catena di approvvigionamento” legate al conflitto. Toyota ha una fabbrica che impiega direttamente circa 2.600 lavoratori che saranno direttamente interessati da questa cessazione. Dal canto suo, la Volkswagen “interrompe con effetto immediato le esportazioni verso la Russia” e chiude “fino a nuovo avviso” due stabilimenti di sua proprietà in Russia: a Kalouga e Nijni Novgorod, con 4.000 dipendenti complessivi.

Queste aziende non sono le uniche. Nel settore tessile, l’azienda Mango è stata la prima a prendere la decisione di chiudere i propri negozi in Russia e sospendere l’attività della propria piattaforma di vendita online. Da giovedì non ha inviato nuova merce in Russia, dove ha circa 800 lavoratori diretti. Oggi Inditex ha aderito a questa decisione e in un comunicato ha indicato che non fornirà più servizi di vendita online e chiuderà i suoi negozi in questo Paese – in totale 502 – dato che “nelle circostanze attuali non possiamo garantire la continuità delle operazioni e delle condizioni commerciali minime nella Federazione Russa”.

Il fatto che Ikea non cessi tutta la sua attività, ma solo alcuni dei suoi negozi, in particolare i negozi di mobili, così come che Toyota e Volkswagen paralizzino temporaneamente i loro stabilimenti, sembra indicare più una temporanea cessazione imposta dagli squilibri nella catena di approvvigionamento e comunicazioni imposte dalla guerra che a un boicottaggio pacifista come vogliono presentarlo. Una sorta di “sacrificio per la pace” che in realtà è più un riadattamento e un anticipo verso scenari incerti.

Questo tipo di “cordone sanitario”, come lo stanno già definendo alcuni analisti, può presentarsi anche come un anticipo programmato per lenire gli effetti di future sanzioni per il commercio con la Russia che potrebbero aggiungersi a quelle già imposte da Stati Uniti e Ue. È il caso degli operatori petroliferi che scelgono di non acquistare petrolio dalla Russia nella previsione che le sanzioni finiscano per raggiungere anche questo settore, finora esentato: negli Stati Uniti, il presidente Joe Biden sta ricevendo crescenti pressioni dal suo stesso partito perché includa il petrolio tra le merci da proibire.

Le multinazionali cercano di minimizzare i costi pianificando la produzione su scala planetaria. Ecco perché aziende come Toyota, Volkswagen o Ikea non avranno problemi a cercare luoghi più convenienti per continuare a produrre a basso costo, oppure a riattivare i loro stabilimenti in Russia quando la riorganizzazione del dopoguerra lo consentirà. Tutto questo senza tener conto di nient’altro che l’ottimizzazione del profitto.

Al di là della reale motivazione di queste aziende, il fatto è che qualsiasi misura contro l’economia russa sta generando gravi conseguenze in primis per il popolo russo. Come hanno spiegato gli autori di un precedente articolo, “Le sanzioni economiche approvate da Ue e Stati Uniti contro la Russia hanno già causato un calo storico del rublo e un aumento dell’inflazione senza precedenti, una crisi che colpisce direttamente la popolazione attiva”. A queste misure si aggiungono ora le cessazioni temporanee di attività di grandi aziende che avranno un impatto ancora da definire, ma che già da subito lasceranno migliaia di lavoratori russi senza lavoro nel mezzo di una situazione di grave crisi economica.

 

*Traduzione in italiano a cura di Sinistra in Europa