Ius soli e Ius culturae: si riapre il dibattito in Italia?

Ius soli e Ius culturae. Dopo mesi di silenzio su questi diritti che in Italia non sono riconosciuti, negli ultimi giorni il segretario del Pd Zingaretti ha rilanciato il tema, provocando immediatamente fratture all’interno dell’attuale coalizione di maggioranza che sostiene il governo Conte II.

Ne abbiamo parlato con Valentina Calderone, direttrice di A Buon Diritto.

Intervista a Valentina Calderone* a cura di Giacomo Pellini

 

In Italia c’è la legge del ’92 che regola il processo di acquisizione della cittadinanza. Una eventuale legge sullo ius soli o sullo ius culturae non sarebbe superflua?

Quella legge del ’92 andava a intervenire in un contesto molto diverso del nostro Paese. Quella legge venne fatta principalmente per concedere la cittadinanza ai discendenti delle persone che erano espatriate, quindi ai nostri migranti. Una sorta di problematica inversa rispetto a quella di oggi: quella legge è stata pensata come garanzia per le generazioni di persone discendenti da italiani che però erano nate e vivevano all’estero. Il panorama rispetto agli anni ’90 è al giorno d’oggi decisamente cambiato, e il nostro Paese ha assistito all’arrivo di flussi di persone provenienti dall’ estero, persone migranti. C’è quindi necessità di mettere mano a quella legge.

 

Qual è la vostra posizione sull’argomento?

La nostra posizione è che la cittadinanza doverebbe essere riconosciuta a chiunque nasca e viva sul territorio italiano. Con le istituzioni è stata trovata come mediazione questa legge, attualmente in discussione nel Parlamento italiano. Il provvedimento prevede di velocizzare l’acquisizione della cittadinanza per quei ragazzi nati in Italia da genitori entrambi stranieri. Questi ragazzi possono acquisire la cittadinanza nella finestra temporale che va dal compimento dei 18 al compimento dei 19. In questo caso si possano anticipare i tempi di richiesta di cittadinanza:  chi nasce, vive e fa le scuole in Italia può diventare cittadino un po’ prima rispetto a quanto prevede la legge attuale.

 

Ci sono alcuni esponenti, anche di sinistra, che ritengono la legge divisiva e pur non dichiarandosi contrari pensano che non sia il momento per una legge simile. Come la pensi?

Penso che gli argomenti divisivi sono quelli su cui bisogna insistere di più e fare politica. Pensare di poter ancora definire questa come una legge divisiva fa comprendere quanto non si stia capendo l’importanza del problema e quanta sovraesposizione mediatico vi sia stata ultimamente rispetto al tema delle persone straniere in Italia. Basterebbe veramente molto poco per veicolare il messaggio e la necessità di questa legge: qui si parla di lavorare per un senso vero e pieno di integrazione. Le politiche per l’integrazione devono essere serie ed efficaci e devono servire a ricostruire una cultura intorno a questo tema che negli ultimi anni è stato davvero bistrattato. Trovo che questa non sia una legge divisiva, non ha niente a che vedere con l’immigrazione, ma con dei giovani ragazzi che stanno nei nostri territori, che frequentano le scuole e fanno sport. Ogni tanto, sui giornali, escono episodi di giovani e talentuosissimi atleti che non possono passare all’agonismo oppure non possono iscriversi alle federazioni sportive ufficiali perché sprovvisti di dcoumento. Trovo questa legge non divisiva ma di buonsenso. Divisiva diventa nel momento in cui la si usa come uno strumento di consenso o attraverso cui misurare il consenso. Questo governo, e in particolare il PD, ci può dimostrare che il cambiamento effettivo è possibile nell’ideazione di politiche lungimiranti su questi temi.

 

Non pensa che possa portare acqua al mulino delle destre?

Io sono da anni molto contraria a questo discorso di arretrare di fronte ai temi fondamentali e di civiltà perché si ha paura di dare la spalla a gruppi estremisti e di destra. Penso proprio il contrario, è avere questo tipo di approccio che offre il fianco alle idee xenofobe ed estremiste a cui ancora non ci siamo fortunatamente abituati. Penso che in questo momento sia necessario avere coraggio e tornare ad occuparci dei temi di civiltà e non immaginare la politica come un sistema attraverso il quale ogni proposta che viene fatta debba essere pesata in un senso di quanti voti può e non può portare. Questa è una riforma necessaria che risolverebbe moltissimi problemi e potrebbe davvero promuovere dei percorsi reali di integrazione. Questo è quello su cui dobbiamo lavorare se non vogliamo andare avanti per slogan e proclami.

 

Quello che porta voti alla destra, quindi, è fare quello che dicono loro. Nella scorsa legislatura la legge sullo Ius soli passò nel 2015 alla Camera ma al Senato non arrivò mai. Fu solo una questione di voti o successe qualcosa di più profondo?

Successe il meccanismo di cui stiamo parlando, la mancanza totale di coraggio e il fatto di pensare che approvare leggi del genere possa significare perdere consenso. Il fatto di non aver approvato lo ius soli nella scorsa legislatura non ha portato alla vittoria del Partito Democratico. Anzi, è successo il contrario. C’è stata una emorragia di voti. Non penso che l’unico motivo della perdita dei voti per il PD sia stata la non approvazione dello Ius soli, ma non possiamo nemmeno dimostrare il contrario. Da quella lezione quello che il governo – e il PD dovrebbe imparare è di avere coraggio su questi temi.

 

Potrebbe questa legge fermare l’odio che si è diffuso negli ultimi e contribuire a disinnescare la miccia del razzismo e la xenofobia?

Tutto contribuisce. Questa rabbia era già presente, ma la cosa più grave è che questa è stata legittimata, e insieme sono stati sdoganati determinati atteggiamenti e un certo tipo di linguaggio. Qualche tempo fa una donna palermitana è stata insultata da un vicino di casa a Forlì, che l’ha chiamata mafiosa e l’ha intimata di “tornare a casa sua”. Questo fa quasi ridere. Non solo siamo andati oltre la contrapposizione tra straniero e italiano, ma abbiamo ritirato fuori queste dinamiche tra nord e sud che sembravano essere state superate del tutto. La gravità di quello che è successo è che ora la gente si sente autorizzata a dire determinate cose e compiere certi tipi di atti fino ad arrivare alla violenza. È un processo che una volta innescato è molto faticoso riportare indietro, ci vorrà del tempo per disinnescarlo. Ma questo disinnesco passa anche da un lavoro culturale e dal mondo della scuola. E la legge sullo ius culturae riguarda e riguarderà il mondo della scuola perché, se dovesse passare, inizieremmo ad avere bambini che crescono insieme senza la differenza tra “italiano” e “straniero”. Un piccolo tassello ma fondamentale per l’inizio di un lavoro culturale su questi temi che oggi è più che mai necessario.

 

*Valentina Calderone, laureata in economia, lavora da anni per l’associazione A Buon Diritto di cui è direttrice. Per l’associazione si occupa principalmente di questioni relative agli abusi commessi in situazioni di privazione della libertà, di carcere e di immigrazione.