La crisi di governo estiva e la mossa a sorpresa di Zingaretti

Alla fine l’infallibile Matteo (quello “sovranista”) ha fatto forse un errore che ricorda per certi versi quello che l’altro Matteo (il “rottamatore”) commise nel 2016, quando con il paese in pugno e i consensi a mille accelerò oltremodo sul quadro politico con la Riforma costituzionale, finendo per rompere quegli stessi equilibri che lo ponevano al centro dello scacchiere italiano e perdendo velocemente anche la connessione col proprio elettorato.

di Adriano Manna

Matteo Salvini ha forse sbagliato i tempi, che in politica non sono esattamente una variabile secondaria, accelerando sulla crisi di governo quando ragioni sistemiche fondamentali (l’approvazione della legge di bilancio in primis) sufferivano che ormai la finestra per una crisi di governo si fosse ragionevolmente chiusa, e fosse consigliabile proseguire così almeno fino alla prossima primavera.

Ma Salvini, così come l’altro Matteo, è tanto abile sul piano comunicativo quanto superficiale quando si tratta di fare i conti con le dinamiche politiche parlamentari, che rispondono a leggi proprie che non possono essere scardinate (per fortuna) neanche dal consenso momentaneo registrato dall’offerta politica del momento.

Matteo Salvini la crisi l’ha causata perché vuole passare all’incasso ora e non vuole pagare il prezzo politico in termini di consenso che arriverà, inevitabilmente, con la prossima legge finanziaria, dove occorrerà trovare le risorse per sterilizzare l’aumento dell’Iva e magari qualche spicciolo per abbozzare qualcuna delle promesse elettorali sbandierate in tutte le piazze italiane in questi mesi.

Attenzione però a vedere Salvini come un semplice dilettante, è irresponsabile ma non stupido: un “governo a termine” che affronti lo spinoso passaggio della finanziaria è probabilmente stato messo in conto dalla Lega, che sarebbe ben lieta di farsi un veloce giretto all’opposizione per poter aizzare le piazze contro la manovra di rientro che sarà, contro la probabile pronuncia della Consulta sull’incostituzionalità di molti aspetti del decreto sicurezza bis e più in generale contro i politici “attaccati alla poltrona” disposti a fare accordicchi di palazzo pur di non ridare la parola agli elettori.

La retorica populista rimodulato per l’opposizione è già stata preparata. Qualora invece il “governo di scopo” non dovesse nascere, si opterebbe per un voto veloce e incasso immediato nelle urne, prima che il consenso alle stelle (ma lo è ancora?) torni per la Lega a livelli prevedibili e più reali. In questo secondo scenario Salvini sarebbe disposto ad affrontare in prima persona una finanziaria lacrime e sangue che però poi gli regalerebbe una prospettiva di cinque anni di governo con un parlamento blindato da una larga maggioranza “sovranista”, nonché la prossima elezione del Presidente della Repubblica a portata di mano (e di numeri).

Sembrerebbe un gioco win-win per Matteo “il sovranista”, mentre Matteo “il rottamatore” si conferma ancora una volta il peggior nemico della sinistra, accelerando esattamente sull’ipotesi di un accordo veloce con M5S al solo fine di sterilizzare l’iva e varare una nuova legge elettorale, esattamente una delle ipotesi verosimilmente preventivate da Salvini.

In questo quadro, bisogna ammetterlo, l’unico ad aver capito il gioco e che sta provando a far saltare il quadro è il segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti, che tallonato da un redivivo Renzi ha aperto sì al dialogo con i 5 Stelle, ma ponendo come precondizione un accordo di legislatura.

Una mossa intelligente quella del segretario Dem, perché romperebbe le uova nel paniere al suo competitor esterno (Salvini tre anni all’opposizione non li regge a questo livello di consenso, specialmente se il governo porta a casa dei risultati) e disinnescherebbe l’opa di Renzi su PD, destinato ad un ruolo di semplice senatore per i prossimi anni, levandogli probabilmente la possibilità di dettare i tempi della prossima crisi di governo.

Anche qualora l’accordo di legislatura con i grillini non fosse raggiungibile e si andasse al voto in autunno, Zingaretti avrebbe di fronte uno scenario sicuramente delicato ma con alcuni indiscutibili vantaggi: il primo sarebbe quello di poter provare a polarizzare sul PD il voto di una presunta resistenza alla deriva di estrema destra nel paese, il secondo sarebbe quello di poter finalmente liquidare i gruppi parlamentari Dem in carica, per la maggior parte di nomina renziana, blindando in maniera decisa la sua leadership nel PD.

Cosa accadrà nelle prossime ore è difficile saperlo, ma una cosa è certa: gli unici a perdere in maniera netta da un ipotetico ritorno alle urne sono proprio Luigi Di Maio e Matteo Renzi. Zingaretti questo lo ha ben chiaro e lo farà pesare sul tavolo della trattativa.