La steppa in fiamme: la rivoluzione colorata del Kazakistan

Il Kazakistan è stato gettato nel caos praticamente da un giorno all’altro. Inizialmente a causa del raddoppio del prezzo del gas liquefatto, che ha raggiunto l’equivalente di 20 rubli (russi) al litro.

di Pepe Escobar – Observatorio de la crisis*

Questo ha scatenato proteste in tutta la nazione, dalla nuova capitale Nur-Sultan, ex Astana, al centro commerciale di Almaty e ai porti del Mar Caspio di Aktau e Atyrau.
Il governo centrale è stato costretto a ridurre il prezzo del gas all’equivalente di 8 rubli al litro. Tuttavia, questo ha solo innescato la fase successiva delle proteste, che chiedevano prezzi alimentari più bassi, la fine della campagna di vaccinazione, un’età pensionabile anticipata per le madri con molti figli e, ultimo ma non meno importante, un cambio di regime, con lo slogan: Shal, ket! (“Abbasso il vecchio”).
Il “vecchio” non è altro che il leader, l’81enne Nursultan Nazarbayev, che nonostante si sia dimesso dopo 29 anni di potere, rimane a tutti gli effetti l’eminenza grigia a capo del Consiglio di Sicurezza, un organo responsabile della politica interna ed estera.
La prospettiva di un’altra rivoluzione colorata viene inevitabilmente in mente: forse sarà Turchese-Giallo, cioè dei colori della bandiera nazionale del Kazakistan. Tuttavia, appena in tempo, alcuni osservatori hanno pubblicato le note dell’ambasciata americana, che già “avvisavano” Washington delle proteste di massa del 16 dicembre 2021.

Maidan ad Almaty? Sì. Ma molto, molto più complicato

Per il mondo, è difficile capire perché una grande potenza esportatrice di energia come il Kazakistan debba aumentare i prezzi del gas per la sua stessa popolazione.
La ragione è semplice: il neoliberalismo dilagante e i “trucchi” del libero mercato. Dal 2019, il gas liquefatto viene scambiato elettronicamente in Kazakistan. Pertanto, il mantenimento dei prezzi, un’abitudine che durava da decenni, divenne presto impossibile, poiché i produttori, sostenevano, “si trovarono a vendere il loro prodotto sottocosto mentre il consumo saliva”.
Tutti in Kazakistan si aspettavano un aumento dei prezzi. Tutta la sua popolazione usa il gas liquefatto, specialmente nelle auto a gpl. E tutti in Kazakistan hanno una macchina, come ho notato con rammarico durante la mia ultima visita ad Almaty alla fine del 2019, quando ho cercato invano di trovare un taxi per andare in centro.

È abbastanza significativo che le proteste siano iniziate nella città di Zhanaozen, colpendo il centro petrolifero e del gas di Mangystau. Ed è anche degno di nota il fatto che la protesta si sia immediatamente spostata ad Almaty, il vero centro d’affari della nazione, e non una capitale isolata in mezzo alle steppe.
All’inizio, il presidente Kassym Khomarty Tokayev sembrava in trappola. Ha promesso il ritorno dei prezzi precedenti, ha installato lo stato di emergenza sia ad Almaty che a Mangystau, accettando le dimissioni dell’attuale governo e nominando il vice primo ministro Alikhan Smailov come primo ministro ad interim fino alla formazione di un nuovo gabinetto.
Tuttavia, questo non ha fermato i disordini. In rapida successione, l’ufficio del sindaco di Almat è stato preso d’assalto, i manifestanti sono arrivati sparando contro l’esercito, distruggendo un monumento a Nazarbayev e prendendo possesso della sua ex residenza ad Almat. E mentre la compagnia di telecomunicazioni (Kazakhtelecom) ha scollegato Internet, membri della Guardia Nazionale in veicoli blindati si sono uniti ai manifestanti ad Aktau.
Almaty, sprofondata nel caos totale, è stata praticamente conquistata dai manifestanti, compreso il suo aeroporto internazionale, che mercoledì mattina era sotto la sicurezza nazionale e la sera era diventato territorio occupato.
Nel frattempo, lo spazio aereo kazako ha dovuto affrontare un ingorgo di jet privati in partenza per Mosca e l’Europa occidentale. Anche se Nur-Sultan non chiese ufficialmente l’assistenza russa, una “delegazione speciale” partì presto per Mosca. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha cautamente sottolineato che “siamo convinti che i nostri amici kazaki possano risolvere autonomamente i loro problemi interni”, aggiungendo che “è importante che nessuno interferisca dall’esterno”.

Come è potuto deragliare tutto così rapidamente?

Finora, il gioco della successione in Kazakistan è stato visto come un successo nell’Eurasia settentrionale. I boss locali, gli oligarchi e le élite comprador hanno mantenuto i loro feudi e le loro fonti di reddito. Eppure, in via ufficiosa, mi è stato detto a Nur-Sultan alla fine del 2019 che c’erano seri problemi in vista quando alcuni clan regionali volevano sfidare il “vecchio” Nazarbayev e il sistema da lui istituito.

Tokayev ha lanciato un appello “a non soccombere alle provocazioni interne ed esterne” – il che ha senso – assicurando che il governo “non cadrà”. Beh, stava già cadendo, anche dopo una riunione d’emergenza che ha affrontato il groviglio di problemi socio-economici, con la promessa che tutte le “richieste legittime” dei manifestanti sarebbero state soddisfatte.
Questo non si è svolto come un classico scenario di cambio di regime, almeno inizialmente. La configurazione di uno stato di caos fluido era, per le fragili istituzioni di potere del Kazakistan, un fenomeno che non erano in grado di comprendere. Non c’è un’opposizione politica competente in Kazakistan: non c’è uno scambio politico. La società civile non ha canali per esprimersi.
Quindi sì: c’è una rivolta, per citare il rhythm’n blues americano. E tutti sono perdenti. Ciò che non è ancora del tutto chiaro è quali clan stiano provocando le proteste e quale sia la loro agenda nel caso in cui abbiano la possibilità di ottenere il potere. Dopo tutto, nessuna protesta “spontanea” può scoppiare simultaneamente, durante la notte, in questa vasta nazione asiatica.
Il Kazakistan è stata l’ultima repubblica a lasciare l’URSS, più di tre decenni fa. Sotto Nazarbayev, si è subito impegnato in una politica estera sedicente “multivettoriale”. Ora, si stava abilmente posizionando come un mediatore diplomatico principale, dalle discussioni sul programma nucleare dell’Iran nel 2013 alla guerra in Siria. L’obiettivo: affermarsi come il ponte per eccellenza tra l’Europa e l’Asia.
Le Nuove vie della seta (o BRI) guidate dalla Cina sono state lanciate ufficialmente da Xi Jinping all’Università Nazarbayev nel settembre 2013. Questo si è rapidamente allineato con il concetto kazako di integrazione economica eurasiatica, un programma sviluppato dal progetto Nurly Zhol (‘Bright Path’) del governo Nazarbayev, progettato per rilanciare l’economia dopo la crisi finanziaria del 2008-9.
Nel settembre 2015, a Pechino, Nazarbayev ha allineato Nurly Zhol alla BRI, spingendo di fatto il Kazakistan nel cuore del nuovo ordine di integrazione eurasiatica. Geostrategicamente, la nazione senza sbocco sul mare più grande del mondo è diventata il principale territorio di interazione tra Cina e Russia, la BRI e l’Unione economica eurasiatica (EAEU).

Una tattica diversiva

Per la Russia, il Kazakistan è ancora più strategico che per la Cina. Il paese è parte del trattato di sicurezza reciproca (CSTO) dal 2003. È un membro chiave dell’EAEU. Le due nazioni hanno legami militari-tecnici e conducono una cooperazione spaziale strategica a Baikonur. Il russo ha lo status di lingua ufficiale ed è parlato dal 51% dei cittadini della repubblica. Almeno 3,5 milioni di russi vivono in Kazakistan.
Tuttavia, è ancora troppo presto per speculare su una possibile “rivoluzione” colorata. Anche se ciò dovesse accadere, Mosca non perderà mai la sua notevole influenza politica.
Il problema immediato, quindi, è garantire la stabilità del Kazakistan. Le proteste dovrebbero finire; ci saranno sicuramente molte concessioni economiche. Il caos destabilizzante permanente non può essere tollerato e Mosca lo sa a memoria. Un altro Maidan è fuori questione.
L’equazione della Bielorussia ha mostrato come una mano forte può fare miracoli. Tuttavia, gli accordi CSTO non coprono l’assistenza in caso di crisi politiche interne, e Tokayev all’inizio non sembrava incline a fare una tale richiesta.
Finché non l’ha fatto. Ha chiesto al CSTO di intervenire per ristabilire l’ordine. Ci sarà un coprifuoco imposto dai militari. E Nur-Sultan potrebbe anche confiscare i beni delle aziende statunitensi e britanniche che sponsorizzano le proteste.
Come ha spiegato Nikol Pashinyan, attuale presidente del Consiglio di sicurezza collettiva del CSTO e primo ministro dell’Armenia: “Tokayev ha invocato una “minaccia alla sicurezza nazionale” e alla “sovranità” del Kazakistan causata, tra l’altro, da interferenze esterne”. Il CSTO ha allora “deciso di inviare delle forze di pace” per normalizzare la situazione, “per un tempo limitato”.
I soliti sospetti di destabilizzazione sono ben noti. Potrebbero non avere la portata, il peso politico e il numero necessario di cavalli di Troia per tenere il Kazakistan in fiamme a tempo indeterminato.

Almeno questi cavalli di Troia sono molto espliciti. Vogliono un cambio di regime; un governo provvisorio di cittadini “rispettabili”; e, inoltre, “la fine di tutte le alleanze con la Russia”.
E poi tutto si riduce a una ridicola farsa, quando l’UE comincia a chiedere alle autorità kazake di “rispettare il diritto alle proteste pacifiche”. In altre parole, stanno chiedendo al governo kazako di permettere la totale assenza di legge, rapine, saccheggi, centinaia di veicoli distrutti, attacchi con fucili d’assalto, distruzione di bancomat o del Duty Free all’aeroporto di Almaty.
Secondo gli analisti russi è provato che “Internet è pieno di manifesti e memorandum fatti in anticipo per stimolare i ribelli” e che “le autorità non stanno agendo contro il disordine, come fece Lukashenko in Bielorussia. ”
Finora, gli slogan sembrano provenire da molte fonti, alcuni invocando una “via occidentale” e altri rivendicando la poligamia e la Sharia: “Non c’è ancora un unico obiettivo. Il risultato verrà dopo. Di solito è lo stesso. L’eliminazione della sovranità, la gestione esterna e infine la formazione di un partito politico anti-russo.
Questi ultimi due giorni Putin, Lukashenko e Tokayev hanno passato molto tempo a parlare al telefono, su iniziativa di Lukashenko. I leader del CSTO sono in stretto contatto. Un piano generale, una “operazione antiterrorismo”, è già stato elaborato. Il generale Gerasimov lo supervisionerà personalmente.
Ora, questo è quello che ho sentito da due diverse fonti di intelligence di alto livello.
La prima fonte è stata esplicita: l’intera avventura kazaka è sponsorizzata dal MI6 per creare un nuovo Maidan appena prima dei colloqui Russia-USA-NATO a Ginevra e Bruxelles la prossima settimana. Stanno cercando di evitare qualsiasi tipo di accordo. Significativamente, i “ribelli” hanno mantenuto il loro coordinamento nazionale anche dopo che Internet è stato disconnesso.
La seconda fonte è sfumata: i soliti sospetti stanno cercando di costringere la Russia a fare marcia indietro di fronte all'”Occidente collettivo” creando una grande distrazione sul suo fronte orientale, parte di una strategia di caos lungo i confini della Russia. Questa può essere una tattica diversiva, ma l’intelligence militare russa sta guardando. E per il bene dei soliti sospetti, è meglio che questo non sia interpretato come una provocazione alla guerra.

 

*Traduzione in italiano a cura di Sinistra in Europa