Siria, un’altra vittima del conflitto in Medio Oriente

La caduta del presidente al-Assad ridisegna la mappa geopolitica della Siria, mentre le potenze e gli attori regionali manovrano nel caos.

Di Willy Meyer – Mundo Obrero

Nel giro di pochi giorni, l’insurrezione siriana, guidata da gruppi terroristici armati come Hayat Tahrir al Sham (Organizzazione per la Liberazione del Levante), ha preso il controllo militare della maggior parte del territorio siriano, compresa la capitale Damasco, provocando la fuga del presidente al-Assad. Il genocidio contro il popolo palestinese e la guerra di Israele contro il Libano, la guerra in Ucraina e le aggressioni contro l’Iran hanno portato alla caduta del governo del presidente al-Assad, sostenuto da Russia e Iran, di fronte a Israele e Stati Uniti (e alleati) che non hanno esitato a combattere al-Assad insieme a gruppi terroristici legati ad al-Qaeda.

La Siria, che confina a nord con la Turchia, a est con l’Iraq, a sud con Israele e Giordania e a ovest con il Libano, è sempre stata un obiettivo del sionismo e della politica estera statunitense. Occupa un posto cruciale nella mappa del Medio Oriente, essendo un ponte tra Asia, Europa e Africa. Il suo accesso al Mediterraneo e la sua vicinanza a importanti rotte commerciali ne fanno un punto di interesse strategico.

La sua influenza nel mondo arabo e il suo ruolo in conflitti come quello arabo-israeliano e il sostegno a gruppi come Hezbollah ne hanno aumentato l’importanza nella politica regionale. Dalla creazione di Israele nel 1948, la Siria è stata uno dei suoi principali avversari nella regione. I due paesi hanno combattuto diverse guerre, tra cui la Guerra dei Sei Giorni (1967), quando Israele occupò le Alture del Golan, un territorio siriano strategico. Durante la Guerra Fredda, la Siria si è allineata con l’Unione Sovietica, ponendosi come avversario del blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti. Questo allineamento ha rafforzato la percezione della Siria come un ostacolo agli interessi statunitensi in Medio Oriente. Dopo la fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno agito contro regimi considerati avversari o non allineati alla loro visione geopolitica. Nel caso della Siria, il suo rapporto con l’Iran e la Russia e la sua posizione nei confronti di Israele ne hanno fatto un bersaglio politico. Le risorse energetiche della Siria e la sua posizione strategica come potenziale via di trasporto di petrolio e gas hanno aumentato l’interesse delle potenze internazionali.

Nel 2013 gli Stati Uniti, attraverso il programma “Timber Sycamore” della CIA e in collaborazione con l’Arabia Saudita, hanno finanziato, armato e addestrato gruppi armati, alcuni legati a organizzazioni terroristiche come il Fronte al-Nusra (affiliato di Al-Qaeda in Siria). Il New York Times ha riportato nel 2017 che il programma ha investito 1 miliardo di dollari in questa operazione di sostegno ai gruppi terroristici[1]. Il Carnegie Endowment for International Peace statunitense ha valutato questi aiuti, concludendo che hanno esacerbato la frammentazione del conflitto aumentando la militarizzazione e la competizione tra i gruppi contrapposti e hanno contribuito al protrarsi del conflitto, con ripercussioni negative sui Paesi vicini come Turchia, Giordania e Libano.

La guerra iniziata nel 2011 ha avuto un impatto devastante sulla vita e sull’economia del Paese. Secondo le Nazioni Unite, dall’inizio del conflitto sono morte più di 500.000 persone e 6,5 milioni sono diventate rifugiate[2]. Secondo i dati della Banca Mondiale del 2017, si stima che la guerra abbia causato una perdita di 226 miliardi di dollari di prodotto interno lordo (PIL), pari a quattro volte il valore del PIL del 2010[3]. Oltre alla guerra, il blocco criminale da parte di Stati Uniti e Unione Europea ha contribuito all’impoverimento della popolazione siriana.

La caduta del regime di Al-Assad farà precipitare le mosse geopolitiche di diversi attori della regione interessati a trasformare la Siria in un territorio neutralizzato affinché Israele, Stati Uniti e Arabia Saudita possano continuare a sostenere il genocidio palestinese, proseguendo la loro politica aggressiva nei confronti di Libano e Iran. Nel caso della Turchia, il suo interesse rimarrà la lotta contro i curdi nel nord della Siria. Per la Russia, preservare la base navale di Tartus, la sua unica base permanente nel Mediterraneo (operativa dal 1970), sarà una delle sue priorità nel processo di transizione politica che inizierà nei prossimi giorni. Tutte queste mosse devono essere viste nel contesto della principale battaglia condotta dall’imperialismo per impedire la fine della sua egemonia di fronte all’ascesa dei BRICS allargati e al ruolo dominante della Repubblica Popolare Cinese.

In questo processo di transizione, saranno decisivi gli sforzi diplomatici per evitare lo smembramento territoriale della Siria tra le diverse fazioni ribelli. A questo proposito, il 7 dicembre si sono riuniti a Doha i ministri degli Esteri dello Stato del Qatar, del Regno dell’Arabia Saudita, del Regno Hascemita di Giordania, della Repubblica Araba d’Egitto e della Repubblica dell’Iraq, in rappresentanza dei Paesi arabi insieme ai Paesi partecipanti al Processo di Astana[4], ai ministri degli Esteri della Repubblica Islamica dell’Iran, della Repubblica di Turchia e al rappresentante della Federazione Russa. I Paesi partecipanti hanno adottato una risoluzione[5] che chiede l’attuazione della Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite[6] per preservare l’unità, la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Siria e proteggerla dal rischio di cadere nel caos e nel terrorismo e per garantire il ritorno volontario dei rifugiati e degli sfollati.

Tale proposta può e deve garantire un processo per mantenere la sovranità della Siria dando la proprietà esclusiva al suo popolo per una transizione pacifica e inclusiva.

In contrasto con questa posizione diplomatica, il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, il tenente generale Herzi Halevi, ha aggiunto la Siria ai suoi fronti di combattimento: “Le truppe di terra sono impegnate in combattimenti su quattro fronti: contro il terrorismo (milizie palestinesi e Hezbollah) in Cisgiordania, a Gaza e in Libano, e la scorsa notte abbiamo schierato truppe in territorio siriano”.

Accompagnare la transizione pacifica della Siria e gli sforzi diplomatici della risoluzione di Doha del 7 dicembre e l’attuazione della risoluzione 2254 devono essere una priorità per la comunità internazionale.

 

Note:

[1] https://www.nytimes.com/2017/08/02/world/middleeast/cia-syria-rebel-arm-train-trump.html

[2] https://news.un.org/es/focus/siria

[3] https://www.bancomundial.org/es/news/press-release/2017/07/18/the-visible-impacts-of-the-syrian-war-may-only-be-the-tip-of-the-iceberg

[4] https://mid.ru/es/foreign_policy/news/1479033/

[5] https://www.qna.org.qa/es-ES/News-Area/News/2024-12/08/declaraci%C3%B3n-conjunta-de-ministros-de-exteriores-de-pa%C3%ADses-%C3%A1rabes-y-del-proceso-de-astana-sobre-la-situaci%C3%B3n-en-siria

[6] https://documents.un.org/access.nsf/get?OpenAgent&DS=S/RES/2254(2015)&Lang=S

[7] https://www.swissinfo.ch/spa/israel-a%C3%B1ade-siria-a-sus-frentes-de-combate-junto-a-gaza,-cisjordania-y-l%C3%ADbano/88542320