Una decina di Paesi europei hanno vietato o limitato le organizzazioni comuniste

Il divieto e la restrizione dei simboli e dei partiti comunisti non solo limitano la libertà di espressione, ma rafforzano anche il controllo ideologico delle élite capitaliste, dimostrando che in Europa non tutti possono difendere liberamente le proprie idee.

Di Fernando Ariza – Nueva Revolucion

Negli ultimi anni, diversi paesi europei hanno introdotto leggi che vietano l’esibizione pubblica di simboli comunisti, nonché l’esistenza di partiti comunisti, nel contesto di un’ondata reazionaria di anticomunismo. Curiosamente, in un momento in cui il socialismo è scomparso da tempo dal continente europeo, le autorità stanno legiferando con l’obiettivo di criminalizzare un’ideologia che storicamente è stata legata a conquiste sociali significative per i lavoratori, specialmente durante la prima fase dell’Unione Sovietica. Dietro questi divieti si nasconde il timore delle élite capitaliste di una rinascita di questa ideologia, che potrebbe mettere in discussione i privilegi della borghesia e l’ordine dominante. Questo fenomeno mette in discussione la narrativa secondo cui in Europa chiunque può esprimere liberamente le proprie opinioni e difendere le proprie idee.

Paesi europei con divieto di simboli comunisti

Diversi paesi europei, principalmente quelli che facevano parte del blocco orientale durante la Guerra Fredda, hanno adottato leggi che vietano l’esibizione pubblica di simboli comunisti, come la falce e il martello, con la motivazione che rappresentano “ideologie totalitarie responsabili di violazioni massicce dei diritti umani”. Di seguito sono riportati i casi più rilevanti:

Ucraina: Nel 2015, la Rada Suprema ha approvato una legge che vieta la propaganda comunista, compresa l’esposizione pubblica dei suoi simboli, tranne che in contesti educativi o artistici. Questa legislazione punisce anche la negazione pubblica del “carattere totalitario” di questo sistema.

Polonia: la Polonia punisce fino a due anni di reclusione l’apologia dell’ideologia comunista, compresa l’esposizione di simboli comunisti in pubblico, salvo nei casi di uso artistico, scientifico o educativo.

Lituania e Lettonia: entrambi i paesi hanno adottato leggi che vietano l’esposizione di simboli comunisti. In Lettonia, questa restrizione è stata estesa dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica, mentre la Lituania ha rafforzato queste misure nell’ambito della sua politica di decomunistizzazione.

Ungheria: Dal 2013, l’Ungheria vieta l’uso pubblico di simboli comunisti, come la stella rossa, nel tentativo di sradicare ogni ricordo del suo passato quando faceva parte del blocco sovietico.

Moldavia: Nel 2012, la Moldavia ha approvato una legge che vietava i simboli comunisti, ma la Corte costituzionale l’ha successivamente dichiarata incostituzionale. Tuttavia, permangono restrizioni alla promozione dell’ideologia comunista.

Estonia: Sebbene non esista un divieto esplicito dei simboli comunisti, le leggi locali limitano la propaganda delle “ideologie totalitarie”, che in pratica include i simboli comunisti.

Georgia: Analogamente ad altri paesi post-sovietici, la Georgia ha limitato l’uso della simbologia comunista negli spazi pubblici nell’ambito del suo processo di decomunistizzazione.

In altri paesi, come la Croazia, sono stati proposti dibattiti per vietare i simboli comunisti, come la stella rossa associata all’Esercito popolare jugoslavo, anche se non è stato stabilito un divieto totale. In Albania sono state proposte restrizioni sui materiali di epoca comunista, ma queste iniziative hanno incontrato l’opposizione dell’opinione pubblica.

Paesi con divieto dei partiti comunisti

Il divieto dei partiti comunisti è meno comune di quello dei simboli, ma alcuni paesi europei hanno adottato misure per rendere illegali queste organizzazioni, sostenendo che rappresentano una minaccia per la democrazia.

I casi più importanti sono:

Ucraina: Nel 2015, oltre a vietare i simboli comunisti, l’Ucraina ha reso illegali tutti i partiti comunisti, accusandoli di promuovere ideologie totalitarie.

Lituania e Lettonia: in entrambi i paesi, i partiti comunisti sono vietati da leggi che li considerano organizzazioni criminali o contrarie all’ordine costituzionale.

Slovacchia: nel 2020, la Slovacchia ha approvato una legge che dichiara i partiti comunisti organizzazioni criminali, vietandone l’attività e l’uso pubblico dei loro simboli.

Estonia: Sebbene non sia esplicitamente menzionato nella legislazione, i partiti comunisti devono affrontare severe restrizioni che di fatto li rendono illegali.

Georgia: I partiti comunisti non sono esplicitamente vietati, ma le restrizioni legali sulla propaganda comunista limitano la loro capacità di operare.

Al contrario, in paesi come la Repubblica Ceca, la Polonia e la Slovacchia, i partiti comunisti sono legali e partecipano alle elezioni, anche se in alcuni casi con restrizioni. Ad esempio, in Polonia, il Partito Comunista esiste, ma deve affrontare limitazioni legali. In Germania non esiste un divieto generale del comunismo e partiti come il Deutsche Kommunistische Partei e il Marxistisch-Leninistische Partei Deutschlands operano legalmente, anche se sotto la sorveglianza dello Stato.

L’anticomunismo in Europa

L’Europa sta attraversando un’ondata reazionaria di anticomunismo che cerca di criminalizzare questa ideologia, equiparandola al nazismo e ignorando il suo ruolo storico nella difesa dei diritti dei lavoratori. La risoluzione 1481/2006 del Consiglio d’Europa, approvata nel 2006, ha condannato i crimini dei regimi comunisti totalitari, equiparandoli a quelli del nazismo e promuovendo una narrativa che giustifica i divieti attuali. Nel 2019, il Parlamento europeo ha rafforzato questa posizione con la risoluzione sull’importanza della memoria storica, esortando gli Stati membri a vietare la diffusione di ideologie totalitarie, compreso il comunismo.

Questa criminalizzazione ignora le conquiste sociali ottenute nell’Unione Sovietica, come l’istruzione universale, la sanità pubblica, il diritto al lavoro e l’uguaglianza di genere, che hanno ispirato i movimenti operai in tutta Europa.

I partiti comunisti europei hanno svolto un ruolo cruciale nella resistenza contro le dittature fasciste e nella promozione dei diritti dei lavoratori, come l’orario di lavoro di otto ore, la previdenza sociale e le pensioni. Tuttavia, questi contributi sono minimizzati o ignorati a favore di una narrativa anticomunista che associa il comunismo esclusivamente alla repressione.

La paura delle élite 

Il timore principale delle élite capitaliste è che l’ideologia comunista riemerga con forza, poiché rappresenta una minaccia diretta ai privilegi della borghesia. Il comunismo, sostenendo l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e l’eliminazione delle classi sociali, sfida il sistema capitalista che perpetua la disuguaglianza economica.

Questa reazione anticomunista, sostenuta dai think tank conservatori e dai media, cerca di delegittimare qualsiasi critica al capitalismo, presentando il comunismo come un’ideologia intrinsecamente totalitaria. Tuttavia, questa narrativa nasconde il fatto che il capitalismo sfrutta i lavoratori, genera disuguaglianze estreme e crisi economiche ricorrenti. Il divieto dei simboli e dei partiti comunisti non solo limita la libertà di espressione, ma rafforza anche il controllo ideologico delle élite capitaliste, dimostrando che in Europa non tutti possono difendere liberamente le proprie idee, soprattutto se queste mettono in discussione lo status quo.

Il divieto della simbologia comunista e dei partiti comunisti in paesi come Ucraina, Polonia, Lituania, Lettonia, Ungheria, Moldavia, Estonia e Slovacchia riflette un’ondata reazionaria che criminalizza un’ideologia storicamente legata alle conquiste sociali dei lavoratori. Questa tendenza, sostenuta da risoluzioni del Consiglio d’Europa e del Parlamento europeo, risponde al timore delle élite capitaliste di una possibile rinascita del comunismo, che metterebbe a rischio i privilegi della borghesia. Lungi dall’essere uno spazio di assoluta libertà per tutte le idee, l’Europa mostra una chiara intolleranza verso quelle ideologie che sfidano l’ordine capitalista, mettendo in discussione il discorso ufficiale sulla libertà di espressione e il pluralismo ideologico.