Accordo a metà al Consiglio europeo

Non è stato un nulla di fatto quello emerso dal Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo riunitosi ieri in videoconferenza, ma ha reso comunque l’idea di come manchi in molti paesi una piena presa di coscienza della gravità del momento e di quello che attende le economie europee in seguito alla pandemia.

di Adriano Manna

Il Consiglio ha dato il via libera ai prestiti del Meccanismo europeo di stabilità senza condizionalità se finalizzati ai costi diretti e indiretti dell’emergenza sanitaria indotta dal virus Covid 19 (si tratta di un fondo da 240 miliardi, a cui i singoli Stati potranno attingere su richiesta).

Nel caso italiano, l’approvazione verrà ora sottoposta al voto del Parlamento, dove non c’è motivo di dubitare che la destra italiana farà bagarre dimostrando ancora una volta di non aver compreso pressoché nulla della materia.

Al Mes si aggiungeranno un fondo di sostegno delle casse integrazioni nazionali (progetto «Sure» da 100 miliardi) e i prestiti della Banca europea degli investimenti (Bei) per 200 miliardi alle imprese, oltre ai 40 miliardi a supporto delle piccole e medie imprese, così come concordato dai ministri dell’economia dell’Eurogruppo tra il 7 e il 9 aprile.

Si parla com’è evidente di briciole, politiche di supporto gravemente insufficienti rispetto alla reale necessità dell’economia dei paesi europei, specialmente di quelli del sud dove la crisi avrà un impatto paragonabile a quello di una vera e propria guerra.

L’unico risultato raccolto sul campo per i paesi dell’impropriamente definito “gruppo del sud” (tra cui Italia, Francia, Spagna, ma anche Lussemburgo, Belgio e Irlanda) è il riconoscimento dell’urgenza di un Recovery Fund, un finanziamento dotato di circa 300 miliardi di euro secondo alcune indiscrezioni, da inquadrare dentro il bilancio UE; fondi strutturali da 100 miliardi in due anni (2021-2022) destinati a lavoro, imprese e sanità; investimenti per 200 miliardi per la ricapitalizzazione delle imprese. 500 miliardi in tutto.

A questo quadro, gravemente insufficiente e ancora da definire nella sostanza (per lo stesso Recovery Fund non c’è ancora accordo tra i Paesi tra la quota prestiti agli Stati e quella in sovvenzioni finanziarie a fondo perduto) si accompagna l’assenza dal tavolo dei negoziati di iniziative adeguate della Bce, che al momento rimane al palo con i già annunciati 220 miliardi di Quantitative Easing, una cifra assolutamente inadeguata a coprire tutto il fabbisogno degli Stati membri (anche se la stessa Banca centrale ha annunciato che accetterà come collaterali per le operazioni di finanziamento anche i junk bond).

Insomma, la tanto invocata mutualizzazione del debito rimane un miraggio, così come rimane un miraggio il superamento dell’impalcatura intergovernativa che impedisce di costituzionalizzare una politica di bilancio, permettendo invece la strumentalizzazione delle questioni europee da parte delle forze politiche dei singoli paesi.

La partita si chiude con il mandato del Consiglio alla Commissione Ue di dettagliare il Recovery Fund, cercando una soluzione di compromesso tra prestiti e finanziamenti a fondo perduto che metta d’accordo anche il gruppo dei rigoristi del nord Europa, così come auspicato in serata dalla Von Der Leyen.

Sul piano della politica italiana, si tratta di una situazione che rende totalmente fuorviante la diatriba Mes/Eurobond su cui si era accesa la “dialettica” tra maggioranza e opposizioni, mostrando un paradigma dei rapporti di forza reali in seno all’Unione decisamente più svantaggioso per l’Italia di quanto questa stessa sterile polemica volesse far pensare.

Sarebbe auspicabile per il bene dell’Italia che tanto il governo quanto l’opposizione mettessero realmente a fuoco la gravità della situazione, evitando posizioni propagandistiche utili al massimo a smuovere qualche decimale sulle intenzioni di voto, ma totalmente sterili rispetto al rischio concreto di un collasso a breve termine tanto dell’economia reale del Paese, quanto dei suoi conti pubblici.