Moldova: il ballottaggio e il rischio della rivoluzione colorata

Il 15 novembre avrà luogo il ballottaggio delle elezioni presidenziali tra Maria Sandu ed Igor Dodon. La Russia teme una nuova rivoluzione colorata fomentata dagli USA in caso di vittoria di Dodon.

di Giulio Chinappi – World Politics Blog

In base ai risultati del primo turno delle presidenziali, tenutosi il 1° novembre, saranno l’ex primo ministro Maria Sandu ed il capo di stato in carica, Igor Dodon, a contendersi la vittoria al ballottaggio. Visto che nessuno dei candidati è riuscito a superare la soglia del 50% dei consensi, infatti, il 15 novembre i cittadini dell’ex repubblica sovietica della Moldova torneranno alle urne per scegliere a chi conferire il mandato.

La lotta tra Sandu e Dodon si annuncia molto serrata, visto che il margine tra i due candidati è al momento assai ridotto. La leader del Partito di Azione e Solidarietà (Partidul Acțiune și Solidaritate, PAS) ha infatti ottenuto il 36.16% delle preferenze, ed al momento dispone di un vantaggio di meno di cinquantamila voti rispetto a Dodon, sostenuto dal Partito dei Socialisti della Repubblica di Moldova (Partidul Socialiștilor din Republica Moldova, PSRM), che invece si è fermato al 32.61% dei consensi. Decisivi potrebbero essere gli elettori dei candidati esclusi, in particolare quelli che hanno votato per Renato Usatîi, il terzo incomodo che ha conquistato un ragguardevole 16.90% in rappresentanza del Nostro Partito (Partidul Nostru), l’ex Partito Popolare Repubblicano (Partidul Popular Republican, PPR).

Gli altri candidati si sono invece classificati in quest’ordine: Violeta Ivanov del Movimento Socio-Politico Repubblicano Uguaglianza (Mișcare Social-Politică Republicană Ravnopravie, abbreviato in Partidul Șor) al 6.49%, Andrei Năstase del Partito Piattaforma Dignità e Verità (Partidul Platforma Demnitate și Adevăr, PPDA) al 3.26%, Octavian Țîcu del Partito di Unità Nazionale (Partidul Unității Naționale) al 2.01%, Tudor Deliu del Partito Liberal Democratico di Moldova (Partidul Liberal Democrat din Moldova, PLDM) all’1.37% e Dorin Chirtoacă del Movimento Politico “Unione” (Mișcarea Politică “Unirea”, MPU) all’1.20%.

Il risultato del ballottaggio è molto atteso non solamente dagli elettori del Paese, ma anche dalla comunità internazionale. Quasi 2.500 osservatori monitoreranno il voto, inclusi rappresentanti della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), dell’Unione europea, nonché di Russia, Stati Uniti e altri Paesi. Le elezioni si svolgono inoltre n una situazione epidemiologica tesa, con il Paese che ha già registrato oltre 78.000 contagi e 1.800 morti da Covid-19 su circa quattro milioni di abitanti. Al fine di garantire misure per frenare la diffusione del coronavirus le autorità hanno acquistato maschere per il viso da consegnare gratuitamente agli elettori. Tutti i seggi elettorali sono stati disinfettati con gli elettori obbligati a rispettare la distanza sociale.

Dal punto di vista politico, le elezioni si svolgono in un momento fondamentale per la risoluzione della questione della Transnistria, la regione russofona del Paese che nel 1990 ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza, pur senza ottenere il riconoscimento della comunità internazionale. Poco prima delle elezioni, il presidente Dodon ha annunciato la prossima presentazione di un piano volto a garantire la riunificazione nazionale nell’arco di quattro anni: “Sono fermamente convinto che possiamo trovare una formula che consenta di avviare il processo di negoziazione e risolvere la questione della riunificazione del Paese entro i prossimi quattro anni”, aveva affermato.

Nel mese di ottobre, il governo non riconosciuto della Transnistria aveva fatto sapere di essere pronto a riprendere i colloqui con il governo della Moldova, attualmente guidata dal presidente Vadim Krasnosel’skij. I colloqui hanno maggiori possibilità di riprendere in caso di vittoria di Dodon, considerato come il candidato filorusso, mentre Sandu opererebbe un riavvicinamento con l’Unione Europea e gli Stati Uniti che certamente non gioverebbe alla riconciliazione con il governo transnistriano.

Inoltre, non pochi osservatori considerano la Moldavia come la sede di una possibile “rivoluzione colorata”, nel caso in cui Dodon dovesse uscire vincitore dal ballottaggio del 15 novembre. Dopo la Bielorussia, il Kirghizistan ed il conflitto tra Armenia ed Azerbaigian, si tratterebbe della quinta repubblica ex sovietica a subire una fase di destabilizzazione nell’arco di pochi mesi (e, generalmente, per fare una prova di indizi ne bastano tre).

Il direttore del servizio di intelligence estera russo, Sergej Naryškin, ha affermato senza giri di parole che gli Stati Uniti stanno tramando una rivoluzione colorata in Moldova nel caso in cui il presidente in carica Igor Dodon dovesse vincere la corsa presidenziale. “Vediamo chiaramente ora (seguendo gli sviluppi in Bielorussia e Kirghizistan) che gli americani stanno tramando uno scenario rivoluzionario per la Moldova, che eleggerà il suo presidente a novembre. Non sono soddisfatti del capo di stato in carica, Igor Dodon, che sostiene relazioni costruttive con i paesi della CSI, compresa la Russia”, ha dichiarato il rappresentante russo.

Considerando le possibilità di vittoria di Dodon abbastanza alte, il Dipartimento di Stato americano ha incaricato la sua ambasciata a Chișinău di incitare l’opposizione a proteste di massa in caso di sua rielezione, chiedendo l’annullamento dei risultati delle votazioni. Organizzazioni non governative e mezzi di comunicazione di massa affiliati con gli americani stanno già diffondendo fake news sui piani delle autorità di falsificare il voto”, ha ancora osservato Naryškin, aggiungendo che i diplomatici dell’ambasciata americana in Moldova stanno cercando di persuadere le forze dell’ordine a non fermare possibili proteste di piazza e “a stare dalla parte della gente”.

Ci dispiace menzionare che gli Stati Uniti, che condannano così a gran voce qualsiasi interferenza esterna nella corsa elettorale americana, dimenticano rapidamente questa premessa quando si tratta degli interessi opportunistici di Washington all’estero. In questo caso, la nozione di sovranità di uno stato straniero conta poco”, ha concluso.