L’Italia entra nella fase 2, e lo fa all’italiana

L’Italia, a partire dal prossimo 4 maggio, entrerà ufficialmente nella fase 2 della gestione della crisi scaturita dall’epidemia da Covid-19, ma sono molti gli aspetti non chiariti e i dubbi che permangono. 

di Adriano Manna

Ci siamo. Non sappiamo se per reale miglioramento delle condizioni epidemiologiche o per la presa d’atto dell’impossibilità di perpetrare ancora a lungo un lock-down così severo, a partire dal 4 maggio le disposizioni relative al contrasto del coronavirus vedranno un timido, e confuso, alleggerimento delle restrizioni, tanto sul piano delle libertà personale quanto sulla sospensione delle attività produttive.

Riprenderà la cantieristica edile, metallurgica e manufatturiera (anche se quella definita “strategica” non si era mai fermata), così come riprenderà la grande distribuzione.

Per la vendita al dettaglio occorrerà aspettare il 18 maggio, sempre che l’epidemia non torni nel frattempo a galoppare costringendo a nuove restrizioni.

Sul piano delle libertà individuali, il pasticcio sui “congiunti”, immediatamente corretto da Palazzo Chigi che precisa che il termine include «parenti, affini, coniugi, conviventi, ma anche fidanzati e affetti stabili» dovrebbe permettere una socialità comunque fortemente limitata, ma non paragonabile alla “quarantena di fatto” della fase precedente.

Una decreto, questo, che appare come il risultato di una difficile ricerca del compromesso tra la tutela della salute dei cittadini (che oggettivamente, e lodevolmente, il governo ha messo al primo posto in questa prima fase) e la necessità di non provocare danni irreparabili al tessuto economico del nostro paese. Come spesso accade quando si cerca di mediare tra due interessi difficilmente conciliabili, il rischio è di scontentare tutti e finire per dare indicazioni fumose, che rimandano poi ai concreti rapporti di forza tra gli interessi in campo, la reale definizione della loro attuazione.

La confusione con cui si entra in questa fase 2, tuttavia, sembra del tutto coerente con quello che è il tipo di rapporto, ormai secolare, instauratosi tra lo Stato italiano e i suoi cittadini: l’uno pensa che l’altro lo voglia fregare. Ne consegue che una definizione troppo dettagliata dei diritti e dei doveri non è conveniente per nessuna delle due parti.

Lo Stato preferisce assumere un atteggiamento paternalistico, dove ai divieti coscientemente esacerbati corrisponde in realtà la consapevolezza che questi costituiranno al massimo un mal definito deterrente per comportamenti autolesionisti.

Nel cittadino permane la consapevolezza di fondo che lo Stato non ha i mezzi e le capacità per una gestione capillare della società nel suo insieme e quindi dovrà, alla luce del quadro generale dato dalle disposizioni, individuare una propria personale gestione dell’emergenza.
E forse, in questa follia è proprio la forza del Paese.

Speriamo funzioni anche questa volta.