Si riapre l’istruttoria per Mimmo Lucano: c’è ancora speranza di avere giustizia

E se fosse Salvatore Del Giglio la chiave di svolta della lunga odissea giudiziaria di Mimmo Lucano? La figura di questo burocrate prefettizio torna centrale nel processo di Appello in corso a Reggio Calabria.

di Silvio Messinetti – Il Manifesto

Del Giglio è l’ispettore che, assieme ad altri due colleghi della prefettura reggina, nel 2016 aveva stilato la relazione sulla gestione dello Sprar da parte del comune di Riace. Nel processo di primo grado fu uno dei teste a carico di Lucano. Tuttavia proprio una conversazione tra l’ex sindaco e l’ispettore sarebbe in grado «di cambiare le sorti del processo». Ne sono convinti i legali della difesa, Giuliano Pisapia e Andrea Daqua. E il dialogo tra i due è stato acquisito tout court dai giudici reggini che hanno disposto clamorosamente la riapertura dell’istruttoria. Il processo di Appello a Lucano, condannato in primo grado a 13 anni e due mesi per la gestione dell’accoglienza nel piccolo borgo jonico, è partito così. Con la riapertura dell’istruttoria dibattimentale disposta dalla corte, su richiesta della difesa e con il parere favorevole dei sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari.

Ammesso agli atti il parere pro veritate di 50 pagine predisposto dal consulente Antonio Milicia. Contiene la nuova trascrizione delle intercettazioni, compresa quella insabbiata durante il processo di primo grado, e un cd corredato dall’audio di quei dialoghi. L’intercettazione regina è datata 20 luglio 2017, quando ancora non era stato notificato l’avviso di garanzia all’ex sindaco, neanche trascritta e come tale non valutata dal tribunale di Locri. Una lunga chiacchierata, in cui Del Giglio prima avvisa Lucano che «non è improbabile che un domani, così come (inc.) se non è già arrivata da voi, verranno la Guardia di Finanza», e poi ammette che «l’amministrazione dello Stato non vuole il racconto della realtà di Riace. Vuole… perché oggi la mission dello Stato… sapete, lo Stato è composto… come qua da voi. C’è l’opposizione».

Ma c’è dell’altro. Del Giglio spiega che per la politica l’integrazione non è un obiettivo. «La mia certezza – sottolinea – è che l’organizzazione fa acqua da tutte le parti. Non ultimo il fatto che dopo lo Sprar non c’è niente. E allora, questo mi fa dedurre che l’obiettivo integrazione è soltanto una parola buttata là». Quindi Del Giglio riferisce le parole che avrebbe pronunciato un altro funzionario prefettizio, Salvatore Gullì: «Io ho dovuto scrivere perché fa schifo il sistema nazionale dell’accoglienza – gli avrebbe riferito – abbiamo utilizzato questa cosa di Riace per…per dire queste cose». «Perché deve pagare Riace?», si chiede Lucano. La risposta di Del Giglio è chiara: «Siccome io ritengo che comunque Riace, al di là delle disfunzioni eventuali o delle anomalie amministrative, quindi della burocrazia, abbia realizzato una realtà evidentemente ancora unica sul territorio non solo nazionale, dovete difenderla. Con qualsiasi conseguenza». Parole che gettano ombre sul processo di Locri e sulla stessa relazione prefettizia, poi finita agli atti dell’inchiesta.

Nel ricorso in appello, Daqua e Pisapia avevano rimarcato che l’obiettivo di Lucano «era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola evidenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso». E secondo i due legali, «il giudice di prime cure si è preoccupato di trovare “ad ogni costo” il colpevole nella persona di Lucano, utilizzando oltremodo il compendio intercettativo, con un’interpretazione macroscopicamente difforme dal suo autentico significato».

Lucano si mostra fiducioso per il prosieguo del processo. «Ma non mi interessa una riduzione di pena, sconti o altro. Io voglio l’assoluzione piena. Voglio solo ristabilire la verità». E se l’accusa è quella di aver aiutato gli ultimi, ribadisce, «io in quel caso non sono innocente e non lo sarò mai. Mi hanno condannato perché secondo loro avrei truffato lo Stato destinando i fondi dell’accoglienza ad altri progetti? Quei soldi sono serviti a fare una scuola, un frantoio e i laboratori in cui lavoravano riacesi di nascita e d’adozione. Basta venire a Riace per averne la prova». Il processo riprenderà il 26 ottobre.