Gli effetti del sovraccarico di informazioni sulla mente umana

In questi tempi di sfide e di ultra-modernità, è importante identificare i principali problemi che devono affrontare i funzionari eletti e i cittadini comuni. Al di là delle lotte democratiche, sociali e ambientali, una delle principali questioni del nostro tempo è il rapporto che abbiamo con l’informazione, nella sua produzione, diffusione ed elaborazione.

di Victor Gueretti – L’Insoumission

Anche se non se ne parla spesso, il sovraccarico di informazioni è una verità, annunciata decenni fa e in accelerazione dall’inizio degli anni 2000. Oggi c’è una profusione di informazioni, trasmesse e rilanciate da canali televisivi, pubblicazioni digitali e social network, che tende a diventare continua e incontrollabile. Questa abbondanza, lungi dall’illuminare i leader e gli attori della vita pubblica, provoca indecisione e confusione e porta a comportamenti talvolta aberranti, sia a livello individuale che, cosa più grave, a livello collettivo. Questa situazione pesa sulle decisioni politiche necessarie e, di conseguenza, rallenta notevolmente il progresso sociale, in Francia come in tutti i Paesi industrializzati.

Breve storia dell’abbondanza di informazioni

Per molto tempo la conoscenza è circolata in modo riservato e poi moderato, ma l’arrivo di nuovi mezzi di comunicazione come la radio e la televisione, e successivamente di Internet, ha fatto esplodere la quantità di dati accessibili.

Già nel 1981 il famoso sociologo Edgar Morin si preoccupava delle conseguenze future di un accesso eccessivo alle informazioni. Questa tendenza si è sviluppata nel corso degli anni ’90, ma solo nel 2010 si è affermata in Francia, con il passaggio dai 5 canali in chiaro alla moltitudine di canali DTT, molti dei quali offrono notizie ininterrotte, che rappresentano la forma più assoluta di sovraccarico informativo televisivo. La cosa peggiore è forse quando i talk show televisivi riprendono dai social network i commenti sul programma precedente, riempiendo così decine di minuti di trasmissione e fornendo al pubblico informazioni di massa senza alcuna gerarchia di importanza. Molti dei programmi odierni invitano anche alla “reazione dei social media”, con l’impressione che la televisione ispiri gran parte dei contenuti del web e che questi si ripercuotano sul web.

Il giornalista americano David Schenk, nel suo libro Surviving the Data Smog del 1997, ritiene che il volume delle informazioni sia aumentato a tal punto nella seconda metà del XX secolo da diventare progressivamente impossibile da elaborare nella sua interezza, il che, a suo avviso, rappresenta una grande novità nella storia dell’umanità (David Schenk, Data Smog, Harper Collins, 1997).

I media hanno sempre presentato notizie di scarso interesse, che “distraggono”, per dirla con Pierre Bourdieu, e in passato possono aver disinformato o fornito fatti errati, intenzionalmente o meno. Ma mai prima d’ora sono stati in grado di inondare il grande pubblico di informazioni ripetute a tal punto, un flusso continuo che si diffonde ben oltre i salotti, dal momento che l’uso degli smartphone si è diffuso da una decina d’anni a questa parte, e ora anche le strutture aperte al pubblico, come le stazioni ferroviarie o gli ospedali, hanno uno o più schermi che trasmettono BFM TV quasi permanentemente. David Schenk lamentava una situazione simile negli Stati Uniti già alla fine degli anni ’90, molto prima dei moderni smartphone e delle loro numerose applicazioni. Sembra che la lotta contro la monopolizzazione dell’informazione abbia preso il sopravvento sulla questione se non sia la quantità di informazioni in generale la preoccupazione principale oggi.

Nel mondo aziendale, uno studio del 2019 mostra che i dirigenti e i responsabili delle decisioni ricevono in media dieci volte più informazioni rispetto al 2009. Si dice che i manager siano completamente sopraffatti e quasi incapaci di svolgere il loro lavoro. I dipendenti trascorrono oggi quasi il 30% del loro tempo lavorativo a gestire e archiviare le e-mail, che diventano sempre più voluminose. Alcuni sociologi hanno fatto di questo sovraccarico di dati un fattore di fallimento delle aziende fin dagli anni ’60 e una delle cause principali del burnout, che oggi colpisce anche quasi uno studente su due in generale e due terzi degli studenti di medicina.

Gli effetti riconosciuti del sovraccarico informativo

Negli Stati Uniti, spesso all’avanguardia per quanto riguarda gli strumenti di comunicazione e gli studi sociologici, gli specialisti cercano di mettere in guardia dagli effetti nocivi del sovraccarico di informazioni da oltre vent’anni. La pagina di Wikipedia sul sovraccarico di informazioni elenca gli effetti del sovraccarico di informazioni: confusione, stress e senso di impotenza sono i più comuni.

Il sovraccarico di informazioni sembra essere un potente fattore di indecisione e incertezza, poiché la quantità di dati diventa ingestibile per la mente umana. Il risultato può essere l’assenza di decisione o il conformismo verso le versioni più diffuse dai media. Tornando all’indagine di David Schenk, egli sostiene che l’accesso all’informazione, a causa dell’eccessivo volume, ha iniziato a perdere importanza nella lotta per i diritti sociali già negli anni Sessanta in America. In altre parole, la troppa informazione è diventata gradualmente un ostacolo alla liberazione degli individui, soprattutto a livello sociale e societario.

Gli esperti in materia sottolineano generalmente che esiste un’immagine attraente dell’informazione, che viene percepita dalla nostra società come qualcosa di positivo, con l’idea che sia benefica, ma questa percezione si rivela in realtà errata e controproducente. Non è quando si è meglio informati che si prendono le decisioni migliori, o addirittura che si acquisisce una forma di saggezza. A partire da un certo volume di informazioni, il processo decisionale diventa più difficile e anche più rischioso.

Basta notare, su argomenti di interesse pubblico, al di là del potere delle lobby, che possono produrre false competenze, la quantità di rapporti e studi che è ormai necessario presentare per sperare di cambiare le cose a livello politico. Laddove solo qualche decennio fa, a volte bastava un grosso errore giudiziario o di polizia per promulgare una legge a favore dei diritti umani nel nostro Paese o in una delle nazioni vicine. Uno scandalo nazionale come l’Affaire des fiches, venuto alla luce in Svizzera alla fine del 1989, è stato sufficiente a provocare dimostrazioni di massa e cambiamenti istituzionali nelle forze di polizia, nonché la creazione di un posto civile di responsabile speciale della protezione dei dati negli archivi federali svizzeri. Per ricordare, nel 1989, quello che inizialmente doveva essere un semplice affare fiscale, rivelò che la polizia federale aveva conservato per più di un secolo dossier politici su quasi 900.000 cittadini svizzeri. Questo dossier prendeva di mira, tra gli altri, i gruppi comunisti e progressisti, ma anche i sindacalisti.

Questa moderna sovrabbondanza di informazioni può portare a gravi errori di gestione, negli affari come in politica, o semplicemente costituire un pretesto per l’inazione. Ma anche a livello individuale si può verificare una vera e propria dipendenza dall’informazione stessa, simile a una forma di droga, per cui l’individuo privato dell’informazione diventa agitato dopo poche ore. La depressione causata dal sovraccarico di informazioni è stata riconosciuta in Giappone da un buon decennio e persino trattata, come in Svizzera. In Giappone si tratta di giovani individui, per lo più uomini, chiamati “Hikikomori” della conoscenza, a causa della loro vita eremitica e della loro dipendenza da informazioni e documentari di ogni genere. Si tratta di una tendenza ancora recente nel Paese, che si differenzia dagli Hikikomori tradizionali, dovuti a una cultura e a una società basate sul successo professionale. Alla fine del 2011, il Cantone di Berna ha organizzato delle mostre per mettere in guardia i cittadini sulle conseguenze mediche della sovraesposizione ai media tradizionali o digitali.

Anche se deploriamo la mancanza di studi dedicati agli effetti del sovraccarico di informazioni sui giovani, va notato che la generazione dai 18 ai 35 anni è proprio quella più esposta ai media e agli schermi, quella la cui vita è più virtualizzata e digitalizzata. È anche la fascia d’età che vota di meno, nonostante una marcata preoccupazione per le questioni sociali ed ecologiche, condivisa da gran parte di questa fascia d’età. In Corea del Sud, un Paese ultra-moderno, gli esperti di salute hanno notato da anni che l’onnipresenza degli schermi e degli stimoli ad essi associati fa sì che il 20% dei giovani sotto i 20 anni abbia sviluppato un deficit di attenzione.

Il sovraccarico di informazioni come elemento di tendenza

Le élite economiche hanno usato rapidamente i media per promuovere se stesse e il loro stile di vita e per diffondere idee a loro favorevoli. A prima vista non è una novità. Ma con l’avvento delle notizie 24 ore su 24 e la concentrazione dei media francesi nelle mani di una manciata di nove miliardari, i canali televisivi sono stati in grado di trasmettere questi “valori” in modo più massiccio che mai, in un contesto di consanguineità ideologica. Tra questi elementi della vita “borghese” c’è un modo di parlare molto gerghizzato, anglicizzato, ma anche pieno di parole chiave e neologismi più o meno dotti, che ricordano un elitarismo tagliato fuori dalla realtà del popolo. Con la sua miriade di falsi concetti e correnti, parole prese in prestito dalla finanza o dal mondo degli affari anglosassone, ma anche parole e modi di dire “alla moda”, il linguaggio non è mai sembrato così artificiale sui nostri televisori, in programmi di ogni tipo. E i politici che non vogliono cambiare nulla sembrano prenderne spunto.

In questo contesto, far salire un candidato sembra molto più facile di quanto non fosse dieci anni fa. Il ciclo di notizie di 24 ore permette anche di organizzare enormi campagne per accusare, calunniare e diffamare per giorni, se non settimane, i candidati il cui programma minaccia la ricchezza dei proprietari di questi stessi media. Negli ultimi tempi, l’incessante ricerca dello spettacolo e la logica del confronto tra questo o quel candidato, giornalista ed editorialista hanno contribuito al sovraccarico di informazioni, questa volta sotto forma di “peopolio della politica”, impoverendo così il giornalismo così come era conosciuto all’inizio di questo secolo. Questa stessa logica commerciale serve ancora una volta a distogliere l’attenzione da ciò che conta di più, ossia i programmi presentati agli elettori.

Da diversi anni, il sovraccarico di informazioni è diventato addirittura un modo di governare, molto ispirato dai media e da loro trasmesso. Il risultato è un eccesso di comunicazione, anche se significa moltiplicare le contraddizioni e gli errori, in modo da garantire l’onnipresenza dei media, in cui tonnellate di informazioni successive possono far dimenticare più rapidamente i grandi scandali politici. Il pubblico è sopraffatto da migliaia di dichiarazioni e sembra non ricordare con la stessa precisione di prima gli elementi decisivi delle grandi vicende. La confusione che ne deriva è chiaramente intesa in questo contesto, come ha riferito uno dei maestri di questa strategia negli Stati Uniti, Steve Bannon, l’ex consigliere della Casa Bianca sotto Donald Trump. Egli ha definito la strategia del governo di allora come “inondare l’area di merda”. Questa onnipresenza permette anche di creare una sorta di culto della personalità, come nel caso della Francia, in cui i sostenitori dell’attuale capo di Stato accettano senza mai criticare tutte le dichiarazioni e le decisioni del loro rappresentante e negano l’esistenza di una vera alternativa.

Al cospirazionismo si oppone quindi una tendenza altrettanto pericolosa, se non di più, l'”ufficialismo”, in cui una parte della popolazione crede solo alla parola del governo. Queste due tendenze, spinte dai media, portano alla creazione di due campi che si rafforzano a vicenda (“Le complotisme et l’officialisme : deux fléaux qu’il faut combattre”, Maxime Chaix) e spesso ritardano la ricerca della verità, che non si cura di campi e opinioni. Il cospirazionismo, che deve parte del suo successo ai media che lo promuovono indirettamente, può anche essere alimentato da un conformismo nei confronti di un governo che moltiplica le dichiarazioni su presunti “nemici della nazione” che si nascondono tra i cittadini o in una specifica categoria sociale. Così, tra gli astensionisti blasé, gli indecisi nel pieno del dubbio, i terrorizzati in attesa di una risposta forte e i sostenitori fanatizzati, l’eccesso di informazione permette a politici senza scrupoli di governare. Questo grazie a un elettorato a cui viene impedito di prendere le distanze necessarie e a cui viene imposta una sorta di amnesia collettiva.

Allo stesso tempo, l’aumento dell’uso degli schermi ha portato a un’esplosione della pubblicità, ma anche dei cartelloni digitali nei centri urbani. Quest’ultima può essere vista come una forma di sovraccarico di informazioni, come un incentivo al consumo. Si tratta di una forma di comunicazione capitalista a fini commerciali e di una forma di inquinamento ambientale contro cui dobbiamo lottare, lotta che sta avanzando in alcune grandi città francesi e europee.

Una causa provata di depressione

In un contesto di accesso immediato alle informazioni, le notizie tragiche, i cambiamenti climatici e i disordini geopolitici non sono mai stati così visibili sui nostri schermi. I sociologi hanno sottolineato più di dieci anni fa che questa sovraesposizione ai disastri crea artificialmente un sentimento di nostalgia, in cui le persone arrivano a rimpiangere un’epoca in cui i cittadini non avevano tanti diritti, se non addirittura nessuno.

In effetti, in un’epoca in cui si lavora molto meno rispetto a un secolo fa, in cui sono stati raggiunti importanti progressi sociali, possiamo notare che la tendenza dei francesi a essere depressi, a essere pessimisti, è aumentata negli ultimi due decenni. Anche se la violenza reale è crollata, anche se l’attenzione per l’ambiente ha ottenuto vittorie culturali, anche se la transizione ecologica ed energetica è all’attenzione di quasi tutti, e anche se la gentilezza e la benevolenza stanno diventando valori crescenti di fronte all’egoismo capitalista.

Alla luce di questi fatti, avremmo dovuto vedere sempre più cittadini impegnati in politica per conquistare ancora più diritti, per i lavoratori, la natura e la democrazia. Invece si è osservato il contrario, con una generale smobilitazione, un forte aumento dell’astensione elettorale, nonché un tasso di iscrizione ai sindacati in Francia tra i più bassi al mondo. Abbiamo dovuto aspettare i Gilets Jaunes perché un movimento collettivo di lotta sociale avesse finalmente luogo nel nostro Paese.

La messa in scena del disastro e il pessimismo ambientale su un’ampia varietà di argomenti non portano i cittadini a reagire. Al contrario, sembra che quanto più oscuro appare il mondo presentato dai media, tanto più sembrano moltiplicarsi le reazioni egoistiche e a breve termine. Si può affermare che probabilmente si è perso tempo prezioso per risolvere i problemi ambientali a causa della demoralizzazione che il catastrofismo genera. Una biologa e attivista per gli oceani come Nancy Knowlton ha più volte sostenuto la necessità di evidenziare i successi della lotta ambientale come fattore di coinvolgimento dei giovani, piuttosto che annunci drammatici, anche se riferiti a problemi seri e reali.

L’eccesso di informazione spesso porta ad azioni assurde o incoerenti. Così, Le Monde ha notato nel 2011 “un boom di nascite sullo sfondo di atteggiamenti sinistri”. La Francia ha il più alto tasso di natalità dell’Occidente, mentre la sua gioventù è considerata la più infelice d’Europa. L’articolo rileva il pensiero di questi giovani francesi, che fanno figli pur essendo convinti che ci aspetta una grande catastrofe, che il futuro è cupo e che bisogna vivere ora senza preoccuparsi del domani. Un carpe diem negativo che si presenta come una “fuga incomprensibile verso il futuro” e che non fa che rafforzare i problemi che tutti noi dobbiamo affrontare. Questo comportamento è semplicemente il risultato di una generazione resa in parte senza speranza dalle pubblicazioni ansiose e pessimistiche dei principali giornali e canali di informazione.

Questo sconforto contemporaneo non è affatto un “prezzo del progresso”, ma piuttosto il risultato di un cambiamento nella percezione del mondo da parte delle persone. Questo cambiamento è a sua volta causato da una quantità sempre maggiore di informazioni negative, o addirittura di informazioni, che ci raggiungono ogni giorno, ogni ora. E questo a volte non ci lascia il tempo di respirare, osservare, riflettere e quindi di fare il passo indietro necessario per ritrovare la fiducia necessaria per qualsiasi azione militante, sociale o politica.

Il ruolo del sovraccarico di informazioni nella crisi di Covid-19

Negli ultimi 20 anni, alcuni esperti hanno dimostrato che il modo stesso in cui le informazioni arrivano e la loro forma le rendono spesso inutilizzabili. La sua abbondanza rafforza il senso di urgenza e porta a decisioni irragionevoli. Nel contesto dell’emergere di Covid-19, la molteplicità degli articoli, anche al di là del loro tono catastrofico, ha chiaramente influenzato le decisioni prese dalla maggior parte dei leader mondiali.

Lo dimostra un articolo pubblicato da una rivista scientifica canadese nel gennaio 2022, dopo 20 mesi di crisi sanitaria, economica e sociale. L’articolo non affronta la corruzione che potrebbe essere presente in alcuni governi, né la propaganda che i governi potrebbero mettere in atto, ma sottolinea come il sovraccarico di informazioni rappresenti da solo un enorme problema di politica pubblica, anche nel settore della salute. Una delle idee più interessanti che vengono avanzate è che la sovrabbondanza di dati, diventata ingestibile, tende a provocare una “serie di reazioni di panico” tra i responsabili delle decisioni su questo tipo di crisi.

Va aggiunto che, oltre a questo effetto sui funzionari eletti e sugli “esperti”, la moltiplicazione delle informazioni di questo tipo provoca l’adesione di una parte della popolazione a queste misure folli, tanto più quando giornali come Le Point, affermavano già prima del primo contenimento in Europa che “è razionale farsi prendere dal panico” e addirittura che coloro che si fanno prendere dal panico sono storicamente “i sopravvissuti della specie umana”. Una versione di un mondo in bilico in cui possono quindi prosperare le decisioni più assurde.

L’articolo si spinge oltre questa singola osservazione di un attacco di panico e aggiunge che se non siamo in grado di ordinare le informazioni che ci arrivano, in particolare grazie a strumenti informatici adattati, e se non teniamo conto della diversità delle opinioni, questo tipo di decisione errata si ripeterà in un ambito o in un altro. Lo stesso direttore della rivista aggiunge che le crisi che stiamo affrontando non sono peggiori di quelle del passato, ma che “sembrano artificialmente gonfiate da un flusso di informazioni ansiogene”.

L’opinione di questo esperto è quindi in linea con la tesi già citata, ovvero che non è il mondo a essere più buio, ma piuttosto l’idea che il pubblico ha di esso. E che, a prescindere dai dati più rilevanti e oggettivi, a volte anche molto positivi, oggi disponibili, la percezione del futuro era migliore prima.

Di fronte al mondo tutto schermo, una salutare presa di distanza

In un mondo e in una società composti da così tanti elementi, è ovvio che il sovraccarico di informazioni non spiega tutto. Ma è una delle principali cause di indecisione, confusione, errori e persino di capitolazione, sia per i singoli che per i decisori, dai semplici cittadini ai rappresentanti eletti a livello nazionale. È una causa di errore politico e collettivo e contribuisce a un’epoca in cui c’è poca volontà di cambiare il mondo, almeno da parte dei decisori, quando non abbiamo mai avuto così tanti strumenti e così tante conoscenze per farlo.

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Ma qualunque sia il problema e la sua portata, esistono delle soluzioni. Per i giovani, un leggero ritorno alla realtà, con un allontanamento dagli schermi, può essere sufficiente a dare una spinta e a concretizzare speranze e potenzialità, o semplicemente a trovare una maggiore serenità che permetta di agire meglio. La crescente sfiducia nei confronti dei mass media deve combinarsi con il rifiuto del sovraccarico di informazioni e con l’utilizzo di pochi dati rilevanti come base per la mobilitazione e il lavoro. Il ritorno alla realtà significa soprattutto andare più sul campo, vicino alle persone e alla loro vita quotidiana, momenti condivisi senza il filtro di BFMTV, CNews o altri cloni, per porre le vere domande, identificare i veri problemi e continuare a rafforzare un movimento che sarà in grado di sconvolgere l'”ordine delle cose”, che è più fragile di quanto sembri. Si tratta anche, forse in un prossimo futuro, di battersi per il divieto di trasmettere più di 3 ore di notizie al giorno e per canale, continuando a lottare contro la dannosa concentrazione dei media da parte di pochi miliardari.

 

*Traduzione in italiano a cura di Sinistra in Europa