La sfida di Telegram a governi e forze di sicurezza

L’applicazione creata da Pavel Durov sfida i governi e le forze di sicurezza con la sua politica sulla privacy, diventando un’arma a doppio taglio nell’arena politica e sociale globale.

Di Joakim Navarro Mañas – Mundo Obrero

Telegram è un’applicazione di messaggistica istantanea e una piattaforma di comunicazione che consente agli utenti di inviare messaggi di testo, effettuare chiamate vocali e video e condividere file multimediali nel cloud, oltre a molte altre funzioni. È stata lanciata nel 2013 dai fratelli Nikolai e Pavel Durov, gli stessi fondatori del social network russo VKontakte (VK).

Fin qui tutto normale: un’altra app tra le tante disponibili per tenersi in contatto con amici, familiari o colleghi, che permette anche di rimanere informati attraverso i canali mediatici. Tuttavia, Telegram è diventato un fenomeno singolare, spesso citato dai media e collegato a strategie politiche di successo. In Spagna, ad esempio, abbiamo visto come Podemos abbia utilizzato la piattaforma a fini organizzativi nei suoi primi giorni di vita e, più recentemente, come la destra Alvise abbia sorpreso conquistando seggi al Parlamento europeo affidandosi principalmente al suo canale Telegram. Cosa rende questa applicazione così potente e, soprattutto, perché il suo fondatore e CEO, Pavel Durov, è nel mirino di governi e agenzie di sicurezza?

La risposta sta nella sua forte politica sulla privacy e nel rifiuto di Durov di fornire accesso alle autorità governative, a priori, indipendentemente dal loro orientamento politico. I primi conflitti sono sorti nella natia Russia, dove, come leader di VKontakte, aveva già affrontato pressioni che lo avevano costretto a lasciare l’azienda. Con Telegram la storia si è ripetuta: il governo russo ha chiesto le chiavi di crittografia per accedere ai messaggi di alcuni degli organizzatori delle rivolte ucraine di Maidan, richiesta che Durov ha rifiutato. Questo lo ha portato a lasciare la Russia nel 2014 e a stabilirsi in luoghi come Dubai, St. Kitts and Nevis e Francia, Paesi che accolgono senza troppi problemi i miliardari come lui.

Nel corso del tempo, Telegram è stato additato come agente destabilizzante in Paesi come Cina, Iran, India, Indonesia, Pakistan e Brasile. Le accuse vanno dalla diffusione di bufale e messaggi di odio all’agevolazione dell’organizzazione di gruppi paramilitari e terroristici, che a volte hanno portato al divieto locale dell’app.

Quando l’elenco dei governi interessati da certe attività su Telegram era limitato a quelli nell’orbita dei BRICS o direttamente a quelli che l’imperialismo etichettava come “asse del male”, il lavoro politico e destabilizzante attraverso la piattaforma era tollerato e persino applaudito dall’Occidente. Tuttavia, era solo questione di tempo prima che questa strategia si ritorcesse contro. Negli Stati Uniti, durante le elezioni presidenziali del 2020 e soprattutto dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, Telegram è stato accusato di essere una delle piattaforme utilizzate dai gruppi estremisti per coordinare e diffondere la disinformazione. Lo stesso Durov ha raccontato come l’FBI abbia cercato di cooptare uno dei suoi sviluppatori per implementare una “backdoor” nel software che avrebbe permesso l’accesso al governo.

Il recente arresto di Durov in Francia, con l’accusa di non aver preso misure sufficienti per limitare l’uso criminale di Telegram e di non aver collaborato con le autorità su questioni come il traffico di droga, i contenuti sessuali su minori e le frodi, arriva casualmente sulla scia delle ripetute proteste di Israele, che sostiene che canali come “Gaza Now”, molto seguiti in Medio Oriente, siano fautori del terrorismo jihadista. Paradossalmente, anche le atrocità quotidiane commesse dall’esercito israeliano contro i palestinesi sono liberamente trasmesse su questa piattaforma. Nel caso palestinese, Telegram ha parzialmente ceduto e rimosso alcuni canali considerati vicini ad Hamas, anche se apparentemente non nella misura in cui Netanyahu avrebbe voluto.

È logico chiedersi perché Telegram e non WhatsApp, l’altro grande strumento di comunicazione, leader in Paesi come il nostro. WhatsApp è di proprietà di Meta (ex Facebook), e quindi ha sede in Nord America. A differenza di Telegram, WhatsApp ha dimostrato una grande disponibilità a collaborare con i governi e le agenzie di sicurezza di tutto il mondo. Sebbene anche WhatsApp utilizzi la crittografia end-to-end, l’azienda ha implementato politiche di condivisione dei metadati (come chi invia i messaggi, quando e a chi) e si è conformata alle richieste legali in diverse giurisdizioni. Una menzione speciale merita il massiccio spionaggio rivelato nel 2019 da media come The Guardian, noto come il caso di NSO Group, un’azienda israeliana di cybersicurezza, e del suo software Pegasus. WhatsApp si è difesa sostenendo che si trattava dello sfruttamento di una vulnerabilità del software, non di un tacito consenso… Ora. Al contrario, il profilo di Pavel Durov, come quello dell’ormai vituperato Kim DotCom, sembra essere quello di un miliardario con tendenze capitaliste-libertarie e con la capacità di resistere e perseguire la propria agenda, probabilmente perché sa che il successo del suo prodotto sta proprio in questa indipendenza.

Il caso di Telegram evidenzia una delle grandi contraddizioni del nostro tempo. Sebbene sia uno strumento estremamente utile per la diffusione di informazioni al di fuori dei canali ufficiali – spesso controllati dagli interessi del capitale – e per l’organizzazione politica con poche interferenze esterne – grazie ai suoi potenti sistemi di crittografia – è anche un’arma a doppio taglio: forze reazionarie di vario genere ne approfittano per diffondere dottrine distruttive e antipopolari. È urgente che le organizzazioni progressiste e di sinistra approfondiscano la questione ed elaborino strategie efficaci su come affrontare e impegnarsi in queste imprevedibili sfide tecnologiche di portata politica e globale.