L’Ecuador è a un passo dalla guerra civile

“Siamo al bordo di una guerra civile”. Amauri Chamorro, analista e consulente internazionale di formazione marxista commenta così la situazione in Ecuador, suo paese di nascita nel quale ha accompagnato la campagna elettorale di Rafael Correa e poi di Lenin Moreno. Lo abbiamo incontrato a Caracas, nel pieno di una rivolta popolare contro le misure neoliberiste imposte dal governo Moreno, che ha tradito il programma per il quale era stato proposto dallo stesso Correa.

di Geraldina Colotti – cubainformazione.it

 

Qual è la situazione in Ecuador e dove può portare?

Siamo nel pieno di un’esplosione sociale provocata dall’incremento di una serie di misure economiche seguite dall’accordo tra il governo di Lenin Moreno e il Fondo Monetario Internazionale. Moreno ha deciso, tra le altre cose, di aumentare i prezzi del combustibile, diminuire il salario dei funzionari pubblici, che hanno subito licenziamenti di massa (circa 200.000 funzionari pubblici hanno perso il lavoro). Contemporaneamente, ha abbonato ai più ricchi oltre 4,5 milioni di dollari, ha indebitato il paese a scapito dei poveri e delle classi medie per rimpinguare le casse della Banca Mondiale e dell’oligarchia: la classica ricetta neoliberista. Il popolo non l’ha sopportato ed è sceso in piazza contro il governo, il quale ha reagito in modo estremamente violento. Quando l’ex sindaco di Guayaquil, rappresentante dell’oligarchia ecuadoriana si è riferito agli indigeni in modo molto razzista, il paese è esploso. Moreno ha spostato la sede del governo dalla capitale Quito a Guayaquil. Si è rifugiato lì perché non ha sufficiente appoggio a Quito, né ha abbastanza controllo dello Stato, e ha dovuto chiedere aiuto all’oligarchia locale, ma il popolo è sceso in strada anche lì e sta aumentando la pressione. Siamo prossimi a una guerra civile. Mai nella storia del paese un presidente aveva spostato la sede del governo, mai si erano viste mobilitazioni simili.

 

Quali settori appoggiano il governo?

A proteggere Moreno ci sono i militari comandati direttamente dagli USA, perché in Ecuador si sono riattivate le basi militari, l’Ecuador sta seguendo la via della Colombia. Sono tornate la Cia, la Dea, è tornato l’FMI, il cui ufficio è stato invaso dai manifestanti. Tutta la forza di sicurezza USA è presente nel paese e appoggia Moreno. Lo appoggiano i vertici militari, ma non la base, perché nonostante il clima di terrore che si sta imponendo, e benché in Ecuador non vi sia una unione civico-militare come in Venezuela, l’esercito non reprime facilmente il popolo di cui fa parte. Appoggia Moreno quella stessa polizia che, nel 2010, ha sequestrato il presidente Correa e ha tentato un colpo di Stato, e che ora si dedica a reprimere il popolo. Il sostegno a Moreno viene dalle banche nelle cui mani ora sta il potere che la rivoluzione cittadina si era ripresa, e che agiscono di concerto con le grandi imprese dei media privati, complici nella censura imposta al paese. Il governo ha proibito a tutte le istituzioni pubbliche di diffondere comunicati sul numero di morti o di feriti che aumenta di giorno in giorno. E’ stata chiusa radio Pichincha Universal, la principale radio di resistenza in Ecuador che non era allineata al governo, e agiva in una zona in cui la rivoluzione cittadina è forte. Vige lo stato d’emergenza. Voglio denunciare una situazione gravissima, una violazione di tutti i trattati internazionali e della convenzione di Vienna. Ci sono video che mostrano come la polizia stia usando le ambulanze della Croce rossa per distribuire armi anti sommossa, per reprimere i manifestanti e provocare il caos. Tuttavia, Moreno non la forza per rimanere in sella e dovrà cadere.

 

Quale potrebbe essere la via d’uscita?

Le elezioni anticipate. Nella costituzione del 2008, esistono meccanismi che possono essere attivati per ripristinare lo stato di diritto. L’Assemblea costituente può destituire il presidente, obbligarlo a rinunciare. In questo caso, il vicepresidente assumerebbe funzioni e dovrebbe convocare a nuove elezioni. In questo caso Rafael Correa, che è stato ingiustamente inabilitato, potrebbe tornare e candidarsi. Siamo in presenza di una crisi costituzionale senza precedenti. L’attuale vicepresidente, un rappresentante dell’oligarchia, è il terzo in due anni. Le violazioni ai diritti umani sono costanti, molti di noi sono stati costretti ad andarsene per evitare l’arresto. Centinaia di persone stanno chiedendo asilo fuori dal paese per evitare di essere arrestati ingiustamente com’è accaduto all’ex vicepresidente Jorge Glass: un prigioniero politico, come Lula, condannato a ottobre di quest’anno dopo essere stato in carcere due anni in modo illegale, senza prove e in base a un codice penale anteriore a quello attuale. Un assurdo giuridico attivato per destituirlo dalla vicepresidenza e tenerlo in galera, giacché il processo è iniziato e si è concluso quando il nuovo codice era già in vigore. Ora è in corso un auto-golpe, una svolta autoritaria in cui il parlamento è stato chiuso, la Corte Costituzionale non funziona, si è imposto uno stato d’eccezione, la forza armata è nelle strade, c’è una censura pesante, un numero crescente di morti e feriti di cui non si parla. La rivoluzione cittadina aveva reso l’Ecuador uno dei paesi più sicuri dell’America latina, non solo per via della lotta alla criminalità, ma per aver avviato un modello di sviluppo economico-sociale che aveva attaccato le cause che producono la violenza. Dobbiamo far risorgere quelle speranze.

 

Il tradimento di Moreno, però, non nasce dal nulla. Già dopo il terremoto del 2016 erano tornate le grandi istituzioni internazionali e in seguito l’Ecuador aveva firmato il Trattato di Libero Commercio con l’Europa. Quali
margini esistono per impostare riforme strutturali in un sistema-mondo dominato dal capitalismo?

Dobbiamo dirlo chiaramente: mai Rafael Correa ha tradito la rivoluzione cittadina e mai verrà meno al dovere storico di difendere il popolo ecuadoriano. Mai nella storia del paese un presidente aveva fatto tanto per difendere i più poveri, per ridare al paese una nuova sovranità attraverso politiche economiche a vantaggio dei settori popolari, soprattutto contadini. Il trattato con l’Europa era inevitabile, non firmarlo avrebbe portato il paese al fallimento per il volume di esportazione esistente, sarebbero state cancellate le tariffe preferenziali ai prodotti ecuadoriani, dalle banane, ai gamberetti, ai fiori, al petrolio, sarebbero state sospese le autorizzazioni fitosanitarie per il commercio, si sarebbe distrutta l’economia del paese. Invece, le condizioni che abbiamo negoziato non mettevano a rischio l’economia nazionale com’è accaduto in Messico o in Colombia, in Cile. Paesi che da produttori si sono trasformati in grandi importatori di prodotti che costava meno importare che produrre. Viviamo in un sistema in cui i paesi capitalisti sono la maggioranza, a parte lodevoli eccezioni come Cuba o il Vietnam che hanno dimostrato la possibilità di una via di sviluppo diversa. I processi rivoluzionari in America Latina, dove si è andati al governo con il voto e non con la lotta armata, e tantopiù in un paese piccolo come l’Ecuador, non hanno potuto spingersi in profondità e non hanno la possibilità di disconnettersi dal resto del mondo.

Se si rimane nell’ambito della democrazia borghese, occorre una capacità economico-produttiva che consenta di approfondire il processo rivoluzionario. Per andare verso un sistema di sviluppo basato sulla conoscenza e non sull’estrattivismo c’era bisogno del petrolio per finanziarlo… Una necessità che una certa sinistra più avvezza a scrivere papers che a trasformare davvero le cose, non ha voluto capire, ci ha contrastato con un’agenda molto funzionale a quella della destra, a cui ha finito per allinearsi. In Ecuador, Maria Fernanda Espinosa, è stata l’artefice della persecuzione contro Correa, insieme a suo marito Eduardo Mangas. Persone nefaste per la rivoluzione cittadina e per il paese che hanno contribuito alle false accuse contro Jorge Glass, così come ha fatto Augusto Barrera, che è stato ambasciatore a Cuba e come hanno fatto quei settori della sinistra ecuadoriana che hanno mantenuto ottime relazioni con la oligarchia, hanno appoggiato Moreno e oggi sono responsabili di quel che accade nel paese. Maria Fernanda Espinosa ha ricevuto il Comando Sur in Ecuador insieme al presidente del Partito socialista Patricio Zambrano, oggi ambasciatore presso l’Unicef. Tutti hanno firmato accordi per il ritorno dei militari USA in Ecuador. Accusano Rafael Correa che ha avuto il coraggio di esporsi alle pallottole nel 2010 e che è disposto a rifarlo, mentre questi codardi viaggiano per l’America latina presentandosi come amici della rivoluzione cittadina, mentre sono dei traditori del popolo ecuadoriano.

Stesso discorso vale per i vertici della Conaie, la Confederazione delle nazionalità indigene, che oggi si presenta come l’organizzazione che dirige le mobilitazioni indigene, mentre non è così, si è aggiunta dopo, quando il popolo era già in piazza. La Conaie ha appoggiato il banchiere Guillermo Lasso, che ha rubato al popolo oltre 30.000 milioni di dollari, è finito in tribunale ma se l’è cavata, ha fatto campagna per questo rappresentante del neoliberismo. E’ un’organizzazione i cui vertici sono corrotti e non rappresentano il mondo indigeno, che ha sempre votato per Correa. Nei settori indigeni, Correa ha sempre ricevuto più voti, è stato l’unico presidente che parla il quechua. Non dobbiamo farci trarre in inganno. Esiste in tutta l’America latina una sinistra, in alcuni casi borghese, in altri corrotta, funzionale alla destra nel continente, che è finanziata dalle ong, dagli istituti stranieri, tedeschi, nordamericani. Costoro portano all’ONU un indigeno in abiti tradizionali senza dire che è un proprietario di aziende in cui si pratica il lavoro schiavo, che protegge i responsabili del contrabbando di oro nel sud dell’Ecuador con il pretesto di difendere la Pacha Mama. Questa organizzazione ha dovuto scendere in piazza per non essere esclusa dal gioco. Questi settori si sono uniti nell’odio contro Correa, e sono loro che hanno consegnato Assange all’imperialismo.

 

Quali settori stanno protestando contro il governo e chi li rappresenta a livello politico?

In questo momento si tratta di un movimento diffuso e spontaneo in cui è presente il mondo indigeno, ci sono gli afrodiscendenti, gli studenti, i lavoratori… Il governo cerca di legittimare dei rappresentanti come la Conaie o le organizzazioni dei trasportatori, che sono manipolabili dall’oligarchia. Quelle dei trasportatori sono strutture molto potenti che hanno fatto cadere il governo di Jamil Mahuad durante la crisi finanziaria del 1999, riuscendo a paralizzare il paese, ma che non rappresentano questo movimento. Per questo, sono stati scavalcati dalla base e il loro comunicato in cui annunciavano di abbandonare lo sciopero dopo aver firmato un accordo con il governo è risultato ridicolo. La base li ha praticamente sconfessati. Tutte le inchieste dicono che il popolo è ancora a favore di Correa. Il movimento della rivoluzione cittadina non ha pretese egemoniche, ma fa parte di questa mobilitazione. Tutti sanno che l’unica opposizione vera a Moreno è rappresentata da Correa, il quale è appoggiato da vasti settori della popolazione che non si considerano né di destra né di sinistra, ma il cui atteggiamento è stato sempre chiaramente di sinistra. Lo ha dimostrato negli anni di governo durante i quali ha svincolato il paese dalla tutela USA, scegliendo di allearsi con Cuba, con il Venezuela e i paesi progressisti del continente, con i movimenti sociali.

 

Moreno ha colto l’occasione per accusare Nicolas Maduro di finanziare la ribellione in Ecuador, mettendosi nella stessa linea della Colombia e dei paesi subalterni agli Stati Uniti. Quanto pesano queste affermazioni in Ecuador?

Moreno sta tentando di ritagliarsi un ruolo internazionale nel campo dell’imperialismo. Sapendo che l’Ecuador non ha molto peso nel panorama geopolitico, cerca di smontare l’integrazione regionale distruggendone le organizzazioni come la Unasur e di dirigere l’attacco al Venezuela dopo il fallimento dei piani dell’oligarchia colombiana. Cerca di attribuire a Maduro la responsabilità del caos che ha provocato applicando le ricette dell’FMI, ma gli stessi media di destra non gli credono, perché sostenere che Maduro possa aver pagato un milione di persone è evidentemente un’assurdità.