Qatar, a 12 mesi dai mondiali di calcio non è stato fatto alcun progresso sui diritti dei lavoratori

Manca un anno all’inizio dei Mondiali di calcio: il tempo perché il Qatar mantenga gli impegni di abolire il sistema denominato “kafala” e di aumentare la protezione dei diritti dei lavoratori migranti sta scadendo.

Fonte: Amnesty International

Lo ha dichiarato oggi Amnesty International nel suo “Reality check 2021”, una nuova analisi della condizione del sistema del lavoro in Qatar. Dalla ricerca emerge come nell’ultimo anno non vi siano stati progressi e alcune vecchie prassi siano tornate in auge, con la riemersione di alcuni dei peggiori aspetti del sistema del “kafala” e la neutralizzazione delle recenti riforme.

Nonostante le riforme legislative adottate dal 2017, la realtà quotidiana per molti lavoratori migranti resta drammatica. Mentre, con l’approssimarsi dell’inizio dei Mondiali la situazione dei diritti umani in Qatar attira sempre maggiore attenzione, Amnesty International chiede alle autorità locali di prendere misure urgenti per ridare vita alle riforme prima che sia troppo tardi.

“Le lancette dell’orologio continuano ad andare avanti, ma non è ancora troppo tardi per tradurre le promesse in azioni concrete. Le autorità del Qatar devono attuare interamente il loro programma di riforme. Se non lo faranno, ogni progresso fatto finora sarà stato vano”, ha dichiarato Mark Dummett, direttore del programma Temi globali di Amnesty International. “L’atteggiamento compiacente delle autorità del Qatar sta lasciando migliaia di lavoratori migranti alla mercé dello sfruttamento da parte dei loro datori di lavoro: molti non sono in grado di cambiare impiego e rischiano di essere privati del salario. Hanno scarse possibilità di ottenere rimedi, risarcimenti e giustizia. E dopo i Mondiali, il futuro di chi resterà in Qatar sarà ancora più incerto”, ha aggiunto Dummett.

Nell’agosto 2020, il Qatar aveva adottato due leggi per porre termine ai limiti posti ai lavoratori migranti di lasciare il paese e cambiare impiego senza il permesso del datore di lavoro. La loro completa applicazione avrebbe colpito al cuore il sistema del “kafala”, che invece continua a vincolare i lavoratori ai datori di lavoro.

Pur non prevedendo ancora il diritto dei lavoratori di aderire a sindacati, il processo di riforme era iniziato già nel 2017, attraverso limitazioni all’orario di servizio per il lavoro domestico, la costituzione di tribunali del lavoro per favorire l’accesso alla giustizia, l’istituzione di un fondo per risarcire i salari non pagati, l’introduzione del salario minimo e la ratifica di due importanti trattati internazionali. La mancata attuazione delle riforme ha fatto sì che lo sfruttamento continuasse.

Sebbene il Qatar sulla carta abbia cancellato l’obbligo, per la maggior parte dei lavoratori migranti, di chiedere e ottenere il permesso di uscire dal paese e di cambiare lavoro attraverso un certificato di nulla-osta da parte dei datori di lavoro, questi ultimi riescono ancora a bloccare i trasferimenti dei lavoratori e a tenerli sotto controllo, chiedendo ad esempio somme esorbitanti – in alcuni casi, cinque volte superiori al salario mensile – per concedere il nulla-osta, che dunque di fatto, pur essendo stato abolito per legge, rimane in vigore.

Le organizzazioni che difendono i diritti dei lavoratori migranti e le ambasciate degli Stati d’origine in Qatar hanno rilevato che se non si è in possesso di qualche documento scritto da parte del datore di lavoro, le possibilità di cambiare lavoro diminuiscono. Questa situazione ha dato luogo a una sorta di commercio dei nulla-osta assai lucrativo per i datori di lavoro privi di scrupoli.

Tra le altre pratiche illegali che rendono difficile cambiare impiego si segnalano il trattenimento dei salari e dei bonus, l’annullamento del permesso di soggiorno e le denunce di “latitanza”. Nella sua analisi, Amnesty International ha anche rilevato che i ritardati o mancati pagamenti dei salari e dei bonus contrattuali rimangono una delle principali forme di sfruttamento subite dai lavoratori migranti in Qatar. A questa si aggiungono le difficoltà di accedere alla giustizia e il divieto di organizzarsi in sindacato per difendere i propri diritti.

Nell’agosto 2021 Amnesty International aveva denunciato la mancanza di indagini da parte delle autorità del Qatar sulle decine di migliaia di morti di lavoratori migranti, nonostante fossero emerse prove della relazione tra questi decessi e la mancanza di sicurezza sul lavoro. Nonostante l’introduzione di alcune misure di protezione, restano ancora grandi situazioni di rischio: ad esempio, non è previsto un periodo di riposo obbligatorio proporzionale alle condizioni climatiche o al tipo di lavoro.

“Il Qatar è uno degli stati più ricchi al mondo, ma la sua economia dipende da due milioni di lavoratori migranti. Ognuno di loro ha il diritto di essere trattato equamente e di ottenere giustizia e risarcimenti”, ha commentato Dummett. “Il Qatar potrebbe farci assistere a un torneo che tutti potremmo ricordare, se inviasse segnali chiari contro lo sfruttamento, se punisse i datori di lavoro che violano le leggi e se proteggesse i diritti dei lavoratori. Ma così ancora non è”, ha concluso Dummett.

Amnesty International si è rivolta anche alla Fifa, organizzatrice dei Mondiali di calcio del 2022, affinché adempia alle sue responsabilità di identificare, prevenire, mitigare e porre rimedio a rischi per i diritti umani collegati all’evento sportivo. Tra questi rischi vi sono quelli per i lavoratori dei settori dell’ospitalità e dei trasporti, in forte espansione in vista dell’inizio dei Mondiali. La Fifa deve chiedere in forma privata e pubblica al governo del Qatar di attuare il suo programma di riforme nel sistema del lavoro prima del calcio d’inizio dei Mondiali.