Maradona non poteva che morire lo stesso giorno di Fidel Castro

Maradona se n’è andato lo stesso giorno in cui, appena 4 anni fa, ci aveva lasciato un suo grande amico, il leader della rivoluzione cubana Fidel Castro.

Parliamo ovviamente del dio del calcio, del numero 10 più talentuoso di sempre, ma anche di colui che ha rappresentato tante altre cose che andavano ben oltre la singola partita di pallone ed i sublimi gesti tecnici con cui l’arricchiva.

Diego Armando Maradona è morto per un arresto cardio-respiratorio, nella sua casa di Tigres in Argentina, dove stava trascorrendo la degenza in seguito ad una delicata operazione alla testa a cui si era dovuto recentemente sottoporre in seguito ad un incidente domestico.

Diego è morto lo stesso giorno di Fidel Castro, il leader rivoluzionario cubano a cui è stato a lungo legato da una amicizia umana e politica. Sì perché Maradona non ha mai fatto segreto della sua adesione al socialismo, un socialismo di stampo guevarista, genuinamente antimperialista e terzomondista come solo quello sudamericano sa essere.

Il Maradona calciatore l’apice della sua carriera lo raggiunse al Napoli, club con il quale vinse due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa Uefa. Tutta Napoli era Maradona, forse perché il più talentuoso giocatore dei suoi tempi (e probabilmente di sempre) aveva deciso di giocare nel club di una delle città più povere e infamate d’Europa.

Maradona lo sapeva, non di rado ricordava la sua origine poverissima e ribadiva di rivedere nei ragazzini dei rioni poveri di Partenope che giocavano a calcio il suo riflesso, quello di un ragazzo nato e cresciuto a Lanús, povero sobborgo alle porte di Buenos Aires.

La voglia di riscatto dei “sud del mondo” contro il “ricco e potente nord” venne così personificata da questo ragazzo un po’ “tracagnotto”, con i lineamenti e la faccia tosta dei ragazzi di strada, che sfidava gli squadroni espressione dei grandi gruppi economici del nord Italia armato solamente di uno sconfinato talento, di quelli che ti può donare solo Madre Natura. Oppure Dio, per chi ci crede.

La Juventus degli Agnelli gli fece una corte spietata, offrendogli anche un assegno in bianco perché decidesse lui la cifra dell’ingaggio, ma lui rifiutò ogni proposta dichiarando che non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere alla gente di Napoli.

Diego è stato genio e sregolatezza, frequentazioni poco limpide anche a Napoli, proprio come un ragazzo di strada.

Maradona è stato per Napoli forse principalmente un eroe anti-borghese, paladino della città meno borghese d’Italia, quella stessa Napoli da cui scappò in maniera rocambolesca nel marzo del ’91, iniziando così la veloce parabola calcistica di una carriera che vide il suo canto del cigno ai mondiali di USA ’94, dove venne squalificato per doping dopo appena due partite.

Alla fine della sua carriera calcistica seguì quella da allenatore, decisamente più magra di soddisfazioni, ed un susseguirsi di voci sul suo stato di salute, continuamente debilitato dai problemi di dipendenza per droghe e poi alcol, ma emerse con forza anche la sua adesione pubblica al socialismo bolivariano che prendeva piede in tutto il sudamerica, e che vedeva nel chavismo la sua anima più dura.

Il Maradona uomo fu prima di tutto un personaggio tremendamente scomodo per il mainstream occidentale: l’idolo dei ragazzini di mezzo mondo che giocavano a calcio era un socialista che metteva in bella mostra il suo tatuaggio di Che Guevara, si vantava della sua amicizia con Fidel Castro prima e Hugo Chavez e Morales poi. Un ribelle indisponente, che definiva l’allora Presidente della FIFA Blatter un “ladròn”, andando giù pesante anche con Platini: “E’ dal 1998 che si spartiscono denaro e a me non va giù. Noi vogliamo che comandi un uomo di calcio. Sono venuti a convincermi con i soldi, ma io i soldi li guadagno lavorando, non fottendo la gente. Platini? Lui è francese: se il vento va a sinistra, lui sta a sinistra; se va a destra, lui sta a destra”.

Un disastro per il sistema mediatico che ruota attorno al calcio. Un disastro che si poteva tamponare solo mettendo in evidenza tutte le fragilità di un uomo che aveva grossi problemi di dipendenza dalle droghe e dall’alcol, e che passerà anni entrando e uscendo da cliniche per provare a disintossicarsi.

Da quel maledetto tunnel della droga riuscì anche ad uscirne negli ultimi anni della sua vita, ma questo non venne molto raccontato dai media, non interessava al circo mediatico che aveva ormai scelto per lui il ruolo del talentuoso campione bruciato da scelte di vita personali quantomeno discutibili.

Proprio all’apice della recente crisi venezuelana, quando il suo amico Chavez era già morto e gli era succeduto Maduro, Maradona scrisse sui social: “sono chavista fino alla morte” e “quando Maduro lo ordinerà, io mi vestirò da soldato per un Venezuela libero, per combattere l’imperialismo e quelli che tentano di impossessarsi della nostra bandiera, che è la cosa più sacra che abbiamo”.

Un vero e proprio disastro Diego, li facevi veramente arrabbiare a questi borghesi dei salotti buoni del calcio. Ero esattamente l’icona che non avrebbero mai voluto avere.

Ci mancherai tantissimo, salutaci Fidel se ti capita di incontrarlo.