Una società è libera nella misura in cui lo è il suo dissidente politico più problematico

Non lo sapresti da nessun altro mezzo di informazione occidentale che al momento della stesura di questo articolo il musicista Roger Waters sta per eseguire l’iconica canzone dei Pink Floyd Wish You Were Here davanti all’ufficio del Ministro degli interni britannico, Priti Patel, per attirare l’attenzione sulla persecuzione del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange.

di Caitlin Johnstone* – odiario.info caitlinjohnstone.com

All’inizio di quest’anno, il miliardario Richard Branson ha organizzato un concerto in stile Live Aid in Colombia vicino al confine con il Venezuela con il presunto obiettivo di aiutare il popolo venezuelano. In realtà, non si è trattato che di uno stratagemma per alimentare la credenza del tutto infondata che il Presidente Maduro stava bloccando i ponti e rifiutando tutti gli aiuti stranieri e che i fondi raccolti fossero infine sottratti al gruppo di opposizione sostenuto da Trump per il cambio di regime guidato da fantoccio americano Juan Guaido. I mass media britannici, tuttavia, sono andati pazzi per la storia, [su cui han versato fiumi di inchiostro]. Si tenga conto che quello era un concerto dall’altra parte del pianeta, mentre l’evento per Assange si sta svolgendo a Londra, di fronte all’ufficio di un importante funzionario britannico, con uno dei più grandi musicisti rock britannici di tutti i tempi.

Questa discrepanza ti dice tutto ciò che occorre sapere sulla cosiddetta “stampa libera” nella società occidentale e in effetti sulla stessa società occidentale.

Una società è libera nella misura in cui lo è il suo dissidente politico più problematico, il che oggi significa che siamo liberi quanto Julian Assange. Finché viviamo in una società che può dare origine a una campagna multi-governativa coordinata per rinchiudere un giornalista per il resto della sua vita sulla base di accuse fasulle perché ha denunciato crimini di guerra statunitensi, non siamo liberi e non si deve fingere di esserlo.

Il vecchio detto “le azioni parlano più delle parole” ha assonanza con ciò che accade perché mentre i commentatori dei media miliardari ci assicurano continuamente con le loro parole che viviamo in una società libera, le azioni delle persone che esercitano su di noi un potere ufficiale e non ufficiale ci dicono che in realtà viviamo in una società che tortura e imprigiona i giornalisti dissidenti per aver raccontato verità scomode.

La persecuzione contro Julian Assange ci dice molto di più sulla nostra società rispetto ai racconti autorizzati che ci vengono venduti e ci racconta la vera funzione dei mass media. La discrepanza tra la copertura mediatica dell’evento a supporto di Assange e quella della propaganda per un cambio di regime in Venezuela di Richard Branson è giusto uno dei tanti, molti esempi di cui potremmo parlare a riguardo del modo in cui questi media distorcano deliberatamente la loro copertura a favore delle agende in linea con gli interessi della CIA e del Dipartimento di Stato USA. Ogni volta che la situazione difficile di Assange fa notizia, i social media si riempiono di barzellette sarcastiche su di lui, ideate da aspiranti e ambiziosi giornalisti nel tentativo di mostrare quanto siano disposti ad andare per difendere lo status quo. Ci viene detto a parole che i mass media ci raccontano la verità su ciò che accade nel mondo, ma le azioni dicono esattamente l’opposto.

La persecuzione di Julian Assange ci parla della meccanica dell’impero. Assange è stato espulso dall’ambasciata e imprigionato per una collaborazione del tutto palese tra Stati Uniti, Regno Unito, Svezia, Ecuador e Australia, seppure tutte le nazioni fingessero di agire come sovrane, separate e completamente indipendenti l’una dall’altra. La Svezia ha fatto finta di essere profondamente preoccupata per le accuse di stupro, il Regno Unito ha fatto finta di essere profondamente preoccupato per la violazione della cauzione, l’Ecuador ha fatto finta di essere profondamente preoccupato per lo skateboard e la toelettatura dei gatti dell’ambasciata, gli Stati Uniti hanno fatto finta di essere profondamente preoccupati per i dettagli del modo in cui Assange ha aiutato Chelsea Manning a coprire le sue tracce, l’Australia ha fatto finta che fosse troppo preoccupata di onorare gli affari sovrani di questi altri paesi per intervenire a nome del suo cittadino, e tutto è confluito in un modo che sembrasse normale imprigionare un giornalista per la pubblicazione di fatti. Si nota costantemente la stessa dinamica, che si tratti di interventi militari, accordi commerciali o campagne di propaganda contro governi non allineati.

La persecuzione di Julian Assange ci parla del tipo di società in cui viviamo realmente. Siamo inondati sin dalla prima infanzia con slogan rassicuranti sulla libertà e la democrazia, che, ci viene detto, devono essere diffusi a tutti sulla terra con tutta la forza necessaria a qualunque costo. In realtà viviamo in una società fatta di menzogne e guidata da bugiardi, che perseguitano violentemente chiunque esponga la verità. Queste persone sono i nostri oppressori. Queste persone sono i guardiani della prigione. I loro volti ghignanti ti dicono che siamo liberi da dietro le sbarre di una gabbia e peggio per noi se non siamo d’accordo.

Tutto questo deve cambiare.

 

* Traduzione in italiano a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare