A sinistra è necessario imparare a sommare

La somma è oggi una necessità, non una delle tante possibilità. La necessità di non avere specchietti retrovisori così come i tempi ci impongono.

di Felipe Alcazar Masats – Mundo Obrero

Uno spettro si aggira per il continente della sinistra: la necessità di imparare a sommare mele e pere.

Si tratta di sommare (nella formazione politica e, soprattutto, elettorale) i frutti di diversi alberi storici, insieme a nuove organizzazioni e “indipendenti” non partitici. Intorno a una persona, a un programma (programma, programma), a un’aspettativa, a una (ultima?) speranza.

In linea di principio, si tratta di frutti interi, che possono rientrare in una struttura all’avanguardia, come era Izquierda Unida (come diceva Antonio Romero). E se non vanno bene interi, frutti con un morso, come il simbolo di una marca di computer. In ogni caso, si dovrebbe tralasciare solo il morso. Ed è risaputo che con la poltiglia dei bocconi non è possibile creare una federazione sostenibile a metà.

Non è necessario chiedere il permesso né a Boric né a Mélenchon, se hanno registrato i loro aggeggi. E non dobbiamo chiederlo perché non ci sono modelli, ci sono solo esempi, o meglio: casi. In ogni caso, se sapremo come assemblare il nostro marchingegno, non dovremo far altro che rispondere all’impulso invisibile di quel fantasma che oggi perseguita tutto: sommare.

La somma contro il neoliberismo e come possibile argine contro l’ondata neofascista che sta arrivando. Per unirsi contro l’epidemia di povertà e di precarietà (staremo meglio, ci hanno detto) che sta devastando, ancor più dopo la pandemia, l’ampio spazio del mondo del lavoro. Per unirsi contro la disintegrazione della politica, assediata da un coro infinito di trumpisti. Per contrastare l’imminente scomparsa del giornalismo, nelle mani del business. Per tirare le somme di fronte all’ecocidio, organizzato da un capitalismo tardivo che non sa evitare il suicidio del pianeta per il profitto. Sommarsi contro il femminicidio, quella grande operazione del patriarcato che non accetta che le donne siano donne e siano consapevoli del lavoro non retribuito che svolgono, senza il quale il sistema di sfruttamento non sarebbe nulla. Unirsi contro la legge della fuga che viene applicata ai giovani che non riescono più a trovare una patria o un senso; per loro la patria è oggi un chiringuito da cui emerge una cannuccia con una bandierina. Sommarsi contro il dogmatismo della rassegnazione. Unirsi di fronte alla guerra. Unirsi a favore della repubblica e di un nuovo paese, di un nuovo modo di produrre e di un orizzonte più giusto.

Una somma finale, un po’ drammatica (perché non dirlo), che a volte richiederà, per salvare il progetto di tutti, la generosità permanente dei progetti interessati. Una sorta di Aufhebung (non più di Hegel, ma di Marx, che mette l’edificio sopra la realtà) che conserva il superato come il presunto superato, e dove ciascuno può continuare a mantenere (e persino a rafforzare, il che non è incompatibile) la propria organizzazione e la propria storia, all’interno di un accordo di tutti. Ed è per questo che si parla tanto della possibilità di un fronte ampio. Anche un fronte, come direbbe Pepe Mujica (ex combattente della guerriglia, ex presidente), che è più ampio di una coalizione.

Una somma che non deve solo integrare persone e organizzazioni, ma deve anche integrare, metabolizzare, i processi costruiti sulla scia di questa idea, certamente prima delle prossime elezioni politiche, che sono allo stesso tempo la scia, l’impulso dell’idea e l’idea stessa nel suo processo di costruzione. È qui che la vuota proclamazione nel campo del capitalismo che nessuno deve essere lasciato indietro ha perfettamente senso.

Una somma che, per essere dialettica, deve essere sempre un’addizione e una continuazione, perché in sé non è altro che l’insieme di ciò che integra, siano queste persone, gruppi, associazioni o partiti. E se sono persone, che lo siano sempre per quell’umiltà che dà l’efficacia dell’insieme, o per quello che ha detto Di Stéfano: nessun giocatore gioca meglio di tutti gli altri messi insieme. In questo modo si eviterebbe (sono sicuro che sarà così) quel “caudillismo” positivo teorizzato da vari movimenti populisti dell’America Latina, per i quali in realtà non dovevano esserci né programma né organizzazione, perché tutto si basava sul “carisma” di una persona.

Non c’è molto altro da dire in questa sede, ma questa aggiunta è, oggi, una necessità. Imparare a sommare mele e pere, anche se alcune hanno il segno di un piccolo morso. E ho detto necessità, non una delle varie possibilità. Questa necessità senza specchietti retrovisori così come i tempi ci impongono.

A proposito, gli autori del libro “Yolanda Díaz. La dama roja” (Manuel Sánchez e Alexis Romero) hanno ritenuto opportuno correlare al titolo una citazione tratta da una mia raccolta di poesie: Non sappiamo come tornare indietro/ né abbiamo un posto dove farlo.