Cile, l’oppositore di Pinochet: 50 anni per ricostruire l’umanità

Il deputato cileno Tomas Hirsch, da sempre oppositore della dittatura, ricostruisce mezzo secolo di storia dal golpe dell’11 settembre 1973.

di Vincenzo Giardina – Agenzia Dire

Non sono bastati 50 anni per ricostruire le storie. Una per una, come i corpi dei “desaparecidos” da ritrovare e identificare, per rendere giustizia e verità a loro e a tutti. “E’ lo Stato che ha commesso quei crimini e ora è lo Stato che deve assumersi la responsabilità” sottolinea Tomas Hirsch (foto a sinistra), deputato cileno, da sempre oppositore della dittatura di Augusto Pinochet. Figlio di genitori ebreo-tedeschi fuggiti dalla Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale, è stato fotografo e poi attivista per i diritti nel momento più difficile. Ora guida un partito che si chiama Accion Humanista ed è di umanità che parla con l’agenzia Dire. Siamo alla vigilia dell’11 settembre, che a Santiago non è quello delle Torri gemelle ma quello del 1973: il giorno del golpe che mise fine al governo democratico di Salvador Allende, suicida nel Palacio de La Moneda bombardato dall’aviazione di Pinochet. Il generale è invece morto nel 2006, prima che fosse condannato in tribunale per crimini contro l’umanità. Oggi Hirsch parla però anche di un Cile nuovo. Quello rappresentato sul piano politico da Gabriel Boric, uno dei capi di Stato più giovani al mondo, candidato del partito di sinistra Convergencia Social eletto nel 2022, a soli 37 anni, interpretando voglia di cambiamento, mobilitazione e richieste di giustizia popolari. È suo il “Plan Nacional de Búsqueda”: un’iniziativa presentata nei giorni scorsi con la quale lo Stato si assume l’onore delle inchieste e delle ricerche per ritrovare i resti dei “desaparecidos”, le persone fatte scomparire e quasi sempre assassinate durante la dittatura.

“L’obiettivo è far sì che a indagare non debbano essere più i parenti delle vittime ma lo Stato, che mette tutte le sue risorse a disposizione per guarire questa ferita” spiega Hirsch. “Sono ancora più di mille le donne e gli uomini cileni dei quali non sono mai stati trovati i resti”.

Cosa successe l’11 settembre del 1973

C’è allora una storia ancora da scrivere. Un nuovo capitolo da aggiungere ai fatti di 50 anni fa, che furono disumanità e impegno, violenza e solidarietà, cilena e internazionale. La prima pagina reca la data 11 settembre 1973. Da quasi tre anni in Cile governa Allende, socialista, eletto presidente grazie all’alleanza di Unidad Popular che tiene insieme le anime della sinistra, dai cattolici del Movimiento Unitario de Acción Popular al Partido comunista. Del suo programma di riforme si parla come della “via chilena al socialismo”. Abbastanza perché gli Stati Uniti di Richard Nixon, con gli agenti della Cia già in allerta, appoggino un golpe militare. Documenti declassificati la scorsa settimana confermano che il presidente americano è informato del progetto di golpe già l’8 settembre. Al fianco di Pinochet, allora capo dell’esercito, ci sono il generale Arellano Stark, il viceammiraglio della Marina José Toribio Merino e il comandante dell’Aeronautica militare Gustavo Leigh.

È la mattina dell’11 settembre. Attorno alle 7.30 Allende raggiunge il Palacio de La Moneda informato del tentativo di golpe, partito dalla località di Valparaiso. Passano circa 45 minuti e le forze di terra danno l’attacco al palazzo presidenziale. I carri armati chiudono le strade e su La Moneda cominciano i raid dell’aviazione. Sono stroncati i tentativi di resistenza popolare e ha inizio la caccia all’uomo. I detenuti sono trascinati a forza nello stadio di Santiago: saranno in gran parte torturati e uccisi. Chi può o ha solo fortuna cerca una via di fuga: nel mirino dei militari finisce chiunque abbia avuto un ruolo nel governo o nella vita sindacale e culturale di Unidad Popular. Queste vicende sono ricostruite in più documentari trasmessi dalle tv del Cile in questi giorni di vigilia.

Il ruolo dell’Italia

La prospettiva è anche internazionale, come internazionali furono le ripercussioni del golpe, in tempi di Guerra fredda, forti in particolare per i movimenti e i partiti di sinistra anche in Europa: il modello della “via chilena al socialismo” non è possibile, non nell’America Latina “cortile di casa” degli Stati Uniti e nemmeno nell’area della Nato. Con Hirsch si parla anche del ruolo dell’Italia, già quell’11 settembre. “L’ambasciata del vostro Paese è stata fondamentale nei mesi successivi al golpe” ricorda il deputato: “Permise di salvare centinaia di vite di persone perseguitate dalla dittatura”. La storia è raccontata anche dal regista Nanni Moretti nel docufilm del 2018 “Santiago, Italia”.

Attraverso video d’archivio e nuove interviste ai protagonisti, si ricostruisce ciò che avvenne nella sede dell’ambasciata. A parlare, a 45 anni ormai dai fatti, sono in particolare due diplomatici, Piero De Masi e Roberto Toscano. “Il titolare della sede si trovava in Italia dove era accanto a un figlio in fin di vita e loro si trovarono di fronte a una situazione nuova, con persone che per sfuggire alle persecuzioni scavalcavano il muro dell’ambasciata e chiedevano asilo politico” ricorda Moretti. “A volte la differenza la fanno i singoli e loro, dall’oggi a domani, presero la decisione giusta”.

Fu dato rifugio a centinaia di oppositori di Pinochet, marxisti, repubblicani o cattolici: restarono nell’ambasciata per mesi, fino al novembre 1974, e tanti di loro poterono raggiungere l’Italia. Un impegno e un contributo difficili, anche per via delle alleanze internazionali di Roma, che spingevano per una graduale normalizzazione dei rapporti con il governo “de facto” di Pinochet. Alla fine del 1974 sul muro dell’ambasciata fu messo il filo spinato e i militari di Pinochet inasprirono la sorveglianza. La solidarietà di 50 anni fa però a Santiago non è stata dimenticata. “Ancora oggi”, conferma Hirsch, “per i cileni questa è una storia che ha valore”.