Sono andato al cinema a vedere Hammamet, di Gianni Amelio

Ieri sera sono andato a vedere “Hammamet” di Gianni Amelio.

di Andrea Alba

Devo dire che sono entrato con non pochi pregiudizi, viste le cose che sono trapelate dalle brevi recensioni e affondi, dai titoli dei giornali, dai post su facebook, dai roboanti annunci e dagli spoiler di carattere politico che hanno impestato la mia bolla virtuale. Accusato di apologia, di umanizzazione di un demone e spauracchio della prima repubblica dagli agitatori di manette, il film godeva già della mia simpatia solo per il fatto di stare sulle scatole a improvvisati e autoproclamati cinefili de Il fatto quotidiano. E allora ho varcato la soglia e mi sono concesso l’ultimo lungometraggio del noto regista calabrese.

Il film racconta nei suoi 126 minuti, seppure mai lenti, gli ultimi mesi di vita di Bettino Craxi e la sua fuga dorata nella cittadina tunisina, tra la corte di miracoli di amici che andavano a trovarlo e gli affetti della famiglia, circondato da guardie armate, tra sdraiette bianche e paesaggi mediterranei. Tuttavia il film si apre con l’intervento finale di Craxi al XLV Congresso del PSI, tenutosi a Milano nell’ex fabbrica dell’Ansaldo nei giorni compresi tra il 13 e il 18 Maggio dell’89. Il socialismo è in crisi in tutto il mondo, fuorché in Italia, dove l’originale formula craxiana di riformismo liberale, di socialismo a tratti libertario e a sprazzi liberista è incarnato dal leader milanese ma di sicule origini. Craxi/Favino comizia, si agita e parla dal palco del congresso. E in quel preciso momento mi sono chiesto se quelle che avevo davanti erano immagini di repertorio, vista la cura con cui era stata ricostruita la scenografia congressuale e soprattutto per l’interpretazione straordinaria dell’attore romano, quasi indistinguibile dall’ultimo leader politico della prima repubblica. Nella storia vera Craxi conclude quell’intervento considerando chiusa la stagione del Governo De Mita e nel pomeriggio il politico democristiano si dimette. Questa è l’unica incursione della storia nel film. Il resto è poi l’umano troppo umano di un politico tanto controverso quanto interessante, una intrusione nei suoi affetti, nella quotidianità, nelle relazioni, nel rapporto padre-figlia. Ruolo oltretutto interpretato straordinariamente bene da Livia Rossi, che aveva già recitato con Amelio ne “L’intrepido”. La moglie invece è un personaggio poco scavato, quasi di contorno e risulta debole, sotto il punto di vista narrativo. Bello invece il ritratto che Amelio offre dell’infanzia, a partire dai ragazzini selvaggi che popolano le strade di Hammamet fino al rapporto che il protagonista ha col nipotino. Una chiave di lettura, questa dei bambini, che apre e chiude il film ma sulla quale non è possibile insistere, evitando anticipazioni. Interessante sarebbe inoltre soffermarsi sul rapporto spasmodico che il protagonista ha col cibo, che si consuma essenzialmente in una famelica nevrosi e in un andarivieni dalla cucina, una convulsione perenne verso la roba da mangiare propria e altrui, una voracità metaforica e concreta.

E poi c’è l’umano, appunto, il Craxi senza il Craxismo, che vuol dire tutto un sistema di potere, di regole (violate e da violare), di convenzioni, di linguaggi che chiudono un’epoca e inaugurano la successiva, consegnando la già debole e provata democrazia parlamentare della prima repubblica ai rumori autoritari della seconda, fino alla degenerazione dei Berlusconi, dei Renzi, dei Salvini e dei Di Maio, insofferenti verso il parlamento e protesi in favore di un esecutivo forte. Ma tutto questo è lasciato fuori dalla porta ed è lo spettatore che può provare a unire i cocci e dare un giudizio sull’operato di Craxi. Amelio non ha voluto realizzare un film didascalico, non ha preteso di spiegare un’epoca o un personaggio il cui giudizio non è semplice e sbrigativo da dare.

Perché Craxi è senza dubbio una personalità cerniera, una figura politica calibrata sulla prima repubblica che tuttavia avverte un’insofferenza, tendendo già verso forme del nuovo e del post-moderno. Un populismo ante-litteram, un berlusconismo di maniera, un’accelerazione in avanti che non vuol dire necessariamente progresso, come abbiamo scoperto a nostre spese negli ultimi vent’anni. Una corsa di ragazzini tra le polverose strade di Hammamet ripresa con un lungo piano sequenza ci porta dentro la villa del leader socialista, per farci uscire di rado da lì dentro. E lì dentro si può entrare solo espugnando il fortino, scavalcando i muri e rischiando di farsi sparare addosso. Eppure Fausto ci riesce e accompagna anche lui la degenza di Craxi, ne allieta i giorni e gli tiene compagnia. Si tratta del figlio di un compagno di partito il quale aveva scelto il suicidio alla vergogna del carcere, dell’accusa e dei tribunali. Fausto diventa immediatamente un interlocutore privilegiato, col quale Craxi si confida, si sfoga, tira fuori rancori e rimorsi, desideri e volontà.

“Volevo, come penso sia compito del cinema, rappresentare comportamenti, stati d’animo, impulsi, giusti o sbagliati che fossero. Cercando l’evidenza e l’emozione. Ho provato ad avvicinarmi ai personaggi quel tanto che permettesse non a me, ma allo spettatore, di giudicarli. Se avessi voluto fare un film in gloria di Craxi, magari mi sarei concentrato sulla notte di Sigonella, non sulla sua caduta. Ho scelto di metterlo a confronto, nei suoi ultimi mesi di vita, con una figlia appassionata e decisa, che ho chiamato Anita, come Anita Garibaldi.”

Ed è forse questa la parte più politica del film, la riflessione sull’essere umano e sullo stato di diritto, anche fosse Craxi o Provenzano, l’aspetto che i manettari non potrebbero mai capire, nemmeno sotto tortura, vista la loro poca frequentazione con l’illuminismo e Beccaria. Qualcuno ha sicuramente scambiato il garantismo di Amelio per apologia di Craxi e questo denota sicuramente il contesto politico-culturale che si è inaugurato proprio all’indomani di tangentopoli, quella volontà forcaiola che ancora oggi alimenta gran parte delle passioni tristi, tanto a destra quanto a sinistra. Poi c’è Piovani che musica il film e che calibra l’internazionale in toni che vanno dal buffo al tragico, dal farsesco al drammatico, accompagnando quasi tutto lo scorrere della pellicola. E c’è il cinema, fatto di sogni e cellulosa, alla maniera di Fellini, con la sua sciarpa rossa, che sembra apparire a un certo punto del film.

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