Verso una regolamentazione europea delle migrazioni?

Dopo un dibattito che si è tenuto in plenaria, il 20 maggio, il Parlamento Europeo ha votato con ampia maggioranza una risoluzione con cui si invita la Commissione europea a garantire e favorire l’ingresso legale di migranti in Europa.

di Stefano Galieni – Transform! Italia

Il testo è passato con 495 voti favorevoli, 163 contrari e 32 astensioni. Oggi la migrazione legale in Europa, se si eccettuano le blue cards e piccoli interventi per favorire l’immigrazione stagionale è per lo più impossibile e affidata ai bisogni e alle volontà politiche dei singoli Stati membri. E coloro che in plenaria hanno espresso maggiori dubbi, perplessità e contrarietà a tale risoluzione, hanno fra gli argomenti reiterato il fatto che il tema non deve essere all’ordine del giorno dell’UE e dei suoi organismi ma vada lasciato alle necessità e alle scelte dei singoli Stati membri.

Il punto di partenza della proposta approvata è abbastanza netto “Un quadro dell’UE per la migrazione legale incoraggerebbe una migrazione più ordinata, attirerebbe i lavoratori più necessari, indebolirebbe i contrabbandieri e i trafficanti e faciliterebbe l’integrazione”. Ma il testo non risparmia critiche al New pact on migration and assylum, che non include risposte specifiche in questo settore. “La politica dell’UE e nazionale sulla migrazione legale dovrebbe concentrarsi sulla risposta al mercato del lavoro e alla carenza di competenze”, hanno sostenuto le deputate e i deputati favorevoli, indicando l’invecchiamento della popolazione e la contrazione della forza lavoro come un problema profondo per cui occorrono soluzioni. Hanno chiesto che la legislazione in vigore venga rivista e che il campo di applicazione sia ampliato, poiché attualmente copre principalmente i lavoratori altamente qualificati o altamente retribuiti e impiegati nelle società multinazionali, con solo la direttiva sui lavoratori stagionali che si occupa della migrazione a basso reddito. Nel testo si sottolinea poi il ruolo importante delle rimesse nei Paesi di provenienza e i vantaggi che una migrazione sicura, regolare e ordinata ha sia per i Paesi di origine sia per quelli di destinazione. Riconoscendo il rischio di “fuga di cervelli”, i deputati suggeriscono di promuovere la migrazione circolare, in cui chi emigra abbia l’opportunità di tornare, dopo un certo periodo di tempo, nel Paese di origine e potrebbe poi anche scegliere di ripartire per motivi di lavoro. A tal fine, la Commissione dovrebbe analizzare l’approccio adottato da altri Paesi. Suggeriscono inoltre di consentire ai lavoratori stranieri di trascorrere periodi più lunghi lontano dal Paese ospitante, in modo che possano recarsi più facilmente nei Paesi di origine.

Per rispondere meglio alle esigenze o alle carenze di manodopera sui mercati nazionali, il testo propone di dare vita ad un pool di esperti e a una piattaforma di abbinamento a livello dell’UE, che copra tutti i settori e i livelli di occupazione. Una sorta di “sportello unico per i lavoratori non UE”, per i datori di lavoro dell’UE e per le amministrazioni nazionali. Si tratterebbe in sintesi di rompere almeno parzialmente il meccanismo introdotto dalla Bossi-Fini in Italia che, permettendo di entrare legalmente solo a chi ha già pronto un contratto di lavoro, strozza di fatto anche il rapporto fra domanda e offerta.

La risoluzione raccomanda inoltre di facilitare e accelerare la valutazione e il riconoscimento di diplomi, certificati e altre qualifiche professionali. Ciò rafforzerebbe la mobilità all’interno dell’UE, che a sua volta può contribuire agli adeguamenti del mercato del lavoro e alla crescita economica complessiva degli Stati membri.

“Voglio inviare un messaggio positivo sulla migrazione, concentrandomi sui suoi effetti positivi invece di perdermi nella retorica xenofoba”, ha affermato la relatrice Sylvie Guillaume (S&D, FR) durante il dibattito in plenaria. “La migrazione è una realtà demografica, economica e umana, di cui l’Europa ha bisogno a causa dell’invecchiamento della popolazione e della carenza di manodopera in diversi settori chiave. Dobbiamo tenere a mente che avere meno vie legali per la migrazione porta a vie più illegali, e gli unici che ne beneficiano sono i trafficanti di esseri umani”.

Si tratta di una prima, timida risposta, per affrontare almeno in prospettiva, quanto sta accadendo soprattutto nel Mediterraneo, con i naufragi, i tentativi di ingresso considerati illegali, la squallida propaganda politica con cui si affronta tale realtà e l’indifferenza complessiva delle istituzioni UE.

Le previsioni sugli arrivi – favoriti tanto da una migliore condizione del mare quanto dalle crisi politiche sociali ed economiche in Libia, Tunisia e Algeria – stanno generando un allarme certamente esagerato soprattutto in Italia e Spagna, ma ripropongono polemiche non prive di fondamento sull’assenza di reale solidarietà e sollevano polemiche sullo scarso senso di solidarietà dei Paesi del Nord nel favorire i ricollocamenti. In assenza della volontà di modificare almeno il Regolamento di Dublino, l’attribuzione dei richiedenti asilo resta ai Paesi di primo arrivo. E il piccolo passo avanti prodotto dalla risoluzione del Parlamento ha in sé alcuni elementi di criticità ma introduce un sensibile cambiamento di analisi. Mentre oggi, coloro che giungono da Paesi che non sono considerati in guerra vengono considerati, in gran parte “migranti economici” e in quanto tali da rimpatriare e da non ricollocare, ammettere che in Europa possano e per certi versi “debbano” entrare anche coloro che cercano lavoro impone una narrazione diversa della questione migratoria.

Un ruolo importante per rendere evidente in alcune forze politiche ed economiche che bisogna introdurre un cambio di passo è stato giocato dalla pandemia. È emerso il ruolo in specifici livelli di competenza, settori e occupazioni, spesso purtroppo a bassa qualifica e, di conseguenza, a bassi salari. Uno studio della Commissione Europea (Immigrant key workers: their contribution to Europe’s Covid-19 response) ha rilevato che il 13% dei lavoratori nei posti chiave durante la pandemia era costituito da immigrati che si sono rivelati determinanti nei settori dell’assistenza domiciliare di malati e anziani, nelle pulizie, nei lavori agricoli e anche in settori altamente specializzati come in quello medico o ingegneristico. Nonostante ad esempio in Italia, soprattutto nei settori del lavoro di cura, nell’agricoltura e nell’edilizia, durante lo scorso anno, si siano perse decine di migliaia di posti di lavoro, un anno fa – per i primi due comparti citati – si realizzava un (fallimentare finora nei risultati) progetto di legge per l’emersione dal lavoro nero e la regolarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori presenti, segno di un bisogno del mercato e non certo della bontà d’animo degli amministratori. Nel continente il lavoro nero esiste ma in quantità minori rispetto che al nostro Paese, da cui la necessità di incrementare arrivi regolari di persone da immettere nei settori che necessitano di braccia.

La risoluzione tocca poi un punto su cui da decenni i demografi cercano di ottenere, inutilmente, risposte. Il continente europeo ha una popolazione la cui età media è pericolosamente alta (in Italia 45,7 anni) e occorrono persone giovani non per fare i lavori che gli europei non vogliono più fare ma quelli che non sono più in grado di fare. Si tratta di un approccio prettamente utilitaristico che poco o nulla tiene conto dei bisogni e delle prospettive di chi arriva.

Se la Commissione europea dovesse recepirla c’è da temere che tale aspetto risulti ulteriormente amplificato istituzionalizzando le agenzie, già presenti in alcuni paesi come l’Ungheria e la Polonia, che selezionano lavoratrici e lavoratori provenienti da alcuni paesi, li fanno giungere nei propri per svolgere taluni mansioni e, solo dopo un lungo periodo, da uno a tre anni, a seconda dei contratti, in cui costoro dimostrano di essere “utili” al profitto, possono ottenere permessi di soggiorno più a lungo termine e, in prospettiva, sperare nel ricongiungimento familiare. Altro nodo da affrontare è insito in gran parte delle leggi sull’immigrazione che vigono nei singoli Paesi europei e in cui si vincola la presenza legale al contratto di lavoro. Rompere tale legame renderebbe coloro che giungono per lavorare meno ricattabili e quindi meno soggetti a fenomeni di dumping salariale che tanto spaventano i lavoratori autoctoni. La politica europea come dei singoli Stati membri dovrebbe farsi garante di tali tutele ma per gli equilibri attualmente presenti è altamente difficile che ci sia il coraggio di uno scarto così alto.

C’è poi un altro punto tutt’altro che peregrino. La Commissione, che è l’organo che di fatto ha maggior potere, potrebbe imporre come vincolo quello di accettare quote di lavoratrici e lavoratori solo da quei Paesi che “collaborano” a contrastare l’immigrazione illegale e ben sappiamo che, dove questo avviene, i mezzi per fermare le persone non sono certo rispettosi dei diritti umani.

Ciò senza nulla togliere al fatto che ripristinare la circolazione di chi emigra, per quanto con mille regole, è senz’altro migliore che affidarne la gestione a trafficanti per il viaggio e a governi che utilizzano tali questioni per pure ragioni propagandistiche, la permanenza. Un segnale positivo quindi che dovremmo seguire passo dopo passo, cercando di coglierne le opportunità offerte ma pronti a denunciarne i limiti, partendo dal fatto che chi sceglie o è costretto ad emigrare è un soggetto e non un oggetto, intende svolgere un ruolo e non diventare unicamente manodopera per garantire le capacità produttive europee.

Un’ultima annotazione. Nella plenaria che ha preceduto il voto, si sono succeduti rappresentanti di tutti i gruppi politici e di gran parte dei paesi UE. L’assurdo è nel fatto che, dal Paese che più urla all’invasione, reclama solidarietà europea, minaccia inattuabili e bellicosi “blocchi navali”, balbetta ogni volta che si parla di diritti e di scelte politiche da elaborare, non sia giunto neanche un intervento, da nessuno dei gruppi presenti.

Ebbene sì, dei rappresentanti italiani al Parlamento Europeo non è intervenuto nessuno.

Parafrasando un film viene da dire “Il silenzio degli indecenti”.