Més que un partit. La prima “ufficiale” della Selecciò catalana di calcio

“Montilivi si è vestito in gala per ospitare l’amichevole partita internazionale tra l’Assoluto Catalan Selection e il Venezuela, numero 32 della classifica FIFA. Un totale di 12.671 spettatori ha riempito lo stadio per assistere alla vittoria della squadra catalana di 2 a 1 contro la squadra venezuelana. Con questa partita, il capitano della squadra guidata da Gerard Lopez, Sergio Garcia è diventato il giocatore catalano che ha giocato più scontri con la maglia dell’Assoluto, con un totale di 16, battendo Sergio Gonzalez, che si ritirò con 15 duelli giocati”.

di Lorenzo Carchini

 

Con questo stringato comunicato, condito di tabellino del match e molte foto festose, la Federaciò Catalana de Futbol ha raccontato quello che a tutti gli effetti costituisce un evento storico. Per la prima volta la Nazionale Catalana disputa un’amichevole con una rappresentativa “riconosciuta” durante una finestra di partite stabilita dalla FIFA.

“Més que un partit”. Che l’evento avrebbe avuto ripercussioni sulla politica spagnola ed indirettamente anche sul calcio europeo era scontato. Il 2-1 finale per i catalani, certo rappresenta un risultato di prestigio contro una compagine, quella venezuelana, capace di battere 3-1 l’Argentina di Messi soltanto pochi giorni prima. Ma a far rumore è stato il comportamento degli spettatori accorsi numerosi a Montilivi (stadio del Girona) e la presenza in campo di un indiscutibile protagonista del calcio catalano: Gerard Piqué, difensore, leader del Barcellona e campione del Mondo e d’Europa con la nazionale spagnola.

Ad assistere all’incontro di questa sorta di esercito disarmato, non c’era il presidente della Generaitat, Quim Torra, ma altre personalità hanno partecipato, come il Ministro del Territorio e della Sostenibilità, Damià Calvet, il Ministro dell’Agricultura, Teresa Jordà ed il sindaco di Girona, Marta Madrena. Assente dai campi da più di ottocento giorni, la serata è stata preparata nei minimi dettagli, con il presidente della Federazione Joan Soteras che ha spiegato come il calcio sarà un veicolo importante del procès indipendentista, un atto di rivendicazione simile ad altri in corso.

Un incontro politico e paradossale, con la selezione della comunità autonoma in campo in contemporanea con Italia, Brasile, Argentina e soprattutto con la Roja, impegnata a Malta per le qualificazioni all’Europeo 2020. Un guanto di sfida lanciato a Madrid, l’ennesimo dopo il referendum per l’indipendenza, le violenze avvenute da per mano della polizia nei seggi catalani e la seguente fuga del presidente e promotore indipendentista Puigdemont.

La selezione catalana legalmente non rappresenta una nazione vera e propria, in quanto non riconosciuta dalla comunità internazionale, né dalla FIFA, ma ha tutto il diritto di disputare amichevoli, non diversamente dalla rappresentativa basca o la “nostra” Nazionale Sarda. Certo l’attuale situazione catalana ha richiamato l’attenzione da tutto il mondo. La Selecciò non scendeva in campo da due anni, proprio dai tempi del referendum, culminato con la dichiarazione unilaterale d’indipendenza, il successivo scioglimento del parlamento e le nuove elezioni del dicembre 2017. Un passo simbolico per una Federazione che ambisce al riconoscimento ufficiale.

La Nazionale catalana, nata nel 1904 dalle prime selezioni miste di atleti di Barcellona ed Espanyol, ha giocato nella propria storia più di duecento partite, alcune in piena Guerra Civile, per finanziare i repubblicani, altre in scenari eccezionali, unendo alcuni dei giocatori più forti della storia come Kubala, Di Stéfano, Crujiff, ma è diventata un vero e proprio simbolo solo a partire dal 1997, sull’onda della Nazionale dei Paesi Baschi, decidendo di connotare maggiormente la propria selezione con giocatori esclusivamente catalani. Da allora numerosi avversari si sono prestati ad amichevoli rituali, perlopiù sotto il periodo natalizio, come Argentina, Brasile, Francia.

Il referendum aveva visto scendere in campo molti protagonisti dello sport, su tutti il “Català de Catalunya”, l’attuale allenatore del Manchester City e storico capitano e tecnico del Barça, Pep Guardiola, ma anche Gerard Piqué, che dopo l’addio ufficiale alle Furie Rosse ha deciso di indossare la maglia giallorossa della Senyera. Proprio il difensore ha vissuto più di un malinteso nel corso della sua carriera con la Roja, fino ai fischi e alle ingiurie sul campo di allenamento.  Tuttavia, non tutti i giocatori catalani hanno potuto rispondere alla convocazione: parecchi club spagnoli non hanno lasciato partire i propri giocatori, su tutti Xavi, leggendario regista del Barça, cui l’Al Saad, il suo attuale club in Qatar ha negato il benestare, e Cesc Fabregas, attualmente in forza ai francesi del Monaco.

Xavi, tra i più attesi alla vigilia, è da tempo uno dei sostenitori della consultazione popolare, anche a costo di fischi e polemiche in ogni stadio spagnolo (che a differenza dell’ex compagno Piqué frequenta sempre meno). Già nel lontano 2015, in occasione dei fischi all’inno nazionale nella famosa finale di Copa del Rey nientemeno che contro l’Athletic Bilbao si era appellato alla libertà di pensiero, invitando la politica a domandarsi il perché di quella contestazione. Nel 2017 aveva invece definito “vergognoso e inammissibile” il fatto che un paese democratico come la Spagna un voto – del tutto incostituzionale, va ricordato – potesse essere illegale.

Difficilmente una nazionale vera e di spessore – il Venezuela è la numero 32 del ranking FIFA – accetta di giocare una partita con simili avversari, ma vuoi la situazione del paese sudamericano e  vuoi la disponibilità di un giocatore affermato come Piqué ed alcuni canterani blaugrana“storici” come Bojan Krkic, Montoya, Bartra e Aleix Vidal, hanno permesso di sfruttare al meglio il buco organizzativo, derivato dal fatto che i catalani non fanno parte della CONIFA (Confederation of Indipendent Football Association) è del tutto libera di organizzare amichevoli. Proprio il fatto di non essere una nazionale riconosciuta ha permesso a molti club di negare la partecipazione ai propri tesserati. Questo è stato il caso di altre compagini della Liga come Valladolid (attualmente di proprietà di Ronaldo il Fenomeno), il Rayo Vallecano (terza squadra di Madrid) o l’Huesca, in una sorta di guerra interna che, al di là degli interessi di facciata – la lotta per la salvezza – ha assunto le sembianze dello sgarro politico, dal momento che proprio quest’ultima ha invece concesso ai rispettivi venezuelani (Yangel Herrera e Juanpi Añor) di potersi aggregare ai Vinotinto.

Il fatto che la federazione catalana, raggiunta da El Pais, non abbia voluto commentare conferma lo stato di tensione con la capitale. Tensione che si è riversata sugli spalti, che per la prima volta non sono stati né quelli del Camp Nou, tempio blaugrana, né del Montjuïc, dell’Espanyol. Durante la gara sono piovuti in più occasioni insulti al grido “Spagna m***a!” tanto da spingere Piqué a replicare duramente mandando a quel paese gli artefici dell’attacco, riprendendo la discussione anche nel post-partita:“Ho detto ai tifosi di tacere perché dobbiamo predicare con l’esempio, è intollerabile essere irrispettosi, non dobbiamo mancare di rispetto”. Proprio queste scene e queste reazioni, però, spiegano come la Selecciò sia riuscita a mantenere un’indubbia importanza simbolica ed a rappresentare la ragione indipendentista anche al di là delle idee politiche specifiche di chi la indossa (se Xavi non era contrario ai fischi all’inno, il capitano Sergio Garcia, ex Espanyol, si è sempre definito spagnolo).

Il processo indipendentista non ha mai smesso di intrecciarsi col calcio, che anzi talvolta ne è stato veicolo privilegiato. Solo un mese fa, al termine del Clàsico disputato in Copa del Rey tra Real Madrid e Barcellona – vittoria 3-0 a domicilio dei catalani – proprio Piqué ha rinfiammato la disputa politica rivendicando la situazione dei dodici separatisti catalani, nove dei quali in carcere, processati dal Tribunale Supremo di Madrid per aver organizzato il referendum del 2017: “Se solo dedicassimo più tempo all’ingiusto processo ai prigionieri politici invece che pensare troppo al Var, forse miglioreremmo come Paese”. Accuse già emerse con lo sciopero generare di Barcellona nello scorso Febbraio e tra gli striscioni apparsi al Camp Nou.

La partita è stata significativa anche per il Venezuela. Nelle ore precedenti il match, il ct Rafael Dudamel ha rassegnato le dimissioni, dopo la visita di un funzionario del nuovo governo venezuelano dell’autoproclamato Guadò, nel corso del ritiro spagnolo. La cosa non è andata giù al tecnico, che si è espresso con così: “La situazione attorno alla Nazionale è troppo politicizzata, la visita dell’ambasciatore in Spagna è stata una brutta esperienza. Parlerò con i vertici della Federcalcio, poi decideranno loro. Appena smetterò di essere ct non dovrò più nascondere le mie idee”.  Non solo, per disputare il match i Vinotinto non avevano ricevuto dal proprio sponsor tecnico, Givova, la divisa da gioco. Per sopperire alla grave mancanza i magazzinieri hanno dovuto acquistare alcuni capi della Quechua, marchio che commercializza Decathlon dello stesso colore sociale della federazione. Una volta ottenuti sono state tagliate le etichette, dipinto a mano il nome dello sponsor tecnico ed incollato lo stemma della Federazione. I giocatori si sono lasciati andare sui propri canali social. I due membri più autorevoli, Salomon Rondon, attaccante in forza al Newcastle, ed El General, Tomàs Rincon, attualmente al Torino e capitano della nazionale, hanno definito quanto accaduto “vergognoso”, sottolineando come pure l’attrezzatura per gli allenamenti era stata giudicata carente e del tutto inadeguata alla stagione, chiedendo il massimo rispetto per la maglia della nazionale ed i membri di squadra e sta