La violenza contro le donne si chiama patriarcato

Abbiamo raggiunto l’uguaglianza di fronte alla legge, ma questa ideologia da secoli trova insopportabile che si voglia raggiungere l’uguaglianza di fronte alla vita.

Di Ana Moreno Soriano – Mundo Obrero

Il femminismo è una strategia di trasformazione sociale, il cui obiettivo è costruire una società senza alcun tipo di discriminazione di genere. Avanziamo nel lungo cammino verso l’uguaglianza superando ostacoli e difficoltà, imparando da chi ci ha preceduto, riconoscendoci e creando legami di sorellanza, sognando un futuro per chi verrà dopo di noi. Se guardiamo e ascoltiamo intorno a noi, ci rendiamo conto di come il maschilismo si manifesti in parole, atteggiamenti e comportamenti che, a volte in modo sottile, a volte in modo palese, continuano a cercare di imporre le norme di una società patriarcale che fa della differenza di genere una gerarchia. È chiaro che la manifestazione più tragica della disuguaglianza esistente sono le cifre delle donne uccise che ci sconvolgono e ci indignano, quel crimine che non si ferma. Ma sappiamo che questa violenza contro le donne è la punta dell’iceberg di quella violenza strutturale che si chiama patriarcato e che è definita da un insieme di patti e complicità tra uomini, affinché le donne occupino il posto che loro ci assegnano.

Nel corso della storia, ci sono sempre state donne che si sono chieste perché dovevano vivere in una situazione di dipendenza e di inferiorità rispetto agli uomini, e questa consapevolezza le ha portate a mettere in discussione le regole, a chiedere diritti che venivano sistematicamente negati loro. Il movimento femminista organizzato ha portato alla ribalta la contraddizione di genere e le donne della classe operaia hanno unito la contraddizione di classe per promuovere un mondo senza sfruttamento e dominio. Ci sono volute molte lotte, molte sofferenze, molta solitudine e molte incomprensioni perché le donne potessero partecipare alla vita pubblica, anche se sempre dietro agli uomini, come se dovessimo chiedere il permesso, come se stessimo entrando in un campo da gioco dove non controlliamo le regole. Abbiamo raggiunto l’uguaglianza di fronte alla legge, ma l’ideologia dei secoli trova insopportabile che vogliamo raggiungere l’uguaglianza di fronte alla vita e vorrebbe che rimanessimo sottomesse, abnegate, nutrici, tessitrici di pazienza e cura, silenziose e discrete, con una saggezza speciale per tutte le cose domestiche e lontane dal potere. Questo è ciò che dicono ogni volta che ci chiedono cosa vogliamo di più, fino a che punto siamo disposte a spingerci; quando contrappongono il femminismo al maschilismo senza nemmeno consultare il dizionario della lingua; quando ci chiedono cose che non chiederebbero mai a un uomo; quando si sentono in diritto di interpretare – o meglio di fraintendere – le nostre parole e i nostri silenzi. Eppure, noi donne abbiamo deciso di andare oltre i limiti imposti e siamo soggetti rivoluzionari, perché ogni rivoluzione sarà femminista o non sarà. E per questa rivoluzione che sogniamo, dobbiamo unirci a donne diverse, variegate, giovani e meno giovani, professioniste e precarie, povere, migranti, madri e figlie, amanti e amate, ma tutte impegnate per un modello di società in cui tutte le persone siano libere e uguali nello spazio pubblico, nei diritti politici e sociali, e possano pretendere reciprocità e uguaglianza negli affetti e nelle cure nella sfera privata.

E tutto questo che teorizziamo, organizziamo e mettiamo in pratica ogni giorno, lo ricordiamo in modo speciale il 25 novembre, giornata internazionale di denuncia della violenza contro le donne: una giornata di lotta contro il patriarcato.