Germania, la Linke non ha più i numeri per formare un gruppo parlamentare

«La Linke non dipende più da noi. Il destino del partito in Parlamento è ormai nelle mani degli altri». Dietmar Gerhard Bartsch, 65 anni, storico capogruppo, è l’uomo a cui tocca ammainare la bandiera della fraktion della Sinistra issata al Bundestag diciotto anni fa.

Di Sebastiano Canetta – Il Manifesto

Con l’ultima decisione in grado di sciogliere i residui dubbi sulla capacità di sopravvivenza alla devastante scissione della linkspopulistin Sahra Wagenknecht che ha arruolato nella sua nuova «Alleanza» sovranista 9 deputati Linke facendo mancare al partito il numero legale per poter rimanere una fraktion con i pieni diritti parlamentari.

«Ci scioglieremo il 6 dicembre» ufficializza Bartsch, costretto a trasformare la delegazione originariamente composta da 38 eletti in un semplice rappresentanza di 28 deputati. Significa ricevere meno finanziamenti pubblici ma anche avere voce quasi zero nelle commissioni e negli ordini del giorno delle sedute parlamentari. Sempre che gli altri partiti del Bundestag vogliano concedere il loro nulla-osta alla formazione dei due nuovi gruppi.

Per questo Bartsch ammette che la sorte della sinistra tedesca in Parlamento è appesa agli interessi di Spd, Verdi, Liberali, Cdu e perfino di Afd. Pronti anzitutto a cannibalizzare le presidenze di commissione lasciate vacanti dalla Linke ridisegnando a tavolino gli scranni del Bundestag. In particolare fa gola la poltrona del deputato Klaus Ernst, presidente della commissione per la Protezione del clima. I democristiani temono che la guida possa finire alla Coalizione Semaforo.

A decidere dove dovranno sedere i 10 deputati della neonata “Bündnis Sahra Wagenknecht” sarà formalmente il Consiglio degli Anziani del Bundestag. «Gira già voce che i parlamentari di Wagenknecht saranno collocati fra i cristiano-democratici e Afd, anche se non accadrà perché richiederebbe troppo tempo – osserva Bartsch – Nonostante Cdu e Csu sarebbero ben felici di allontanarsi fisicamente dai banchi dell’ultradestra».

Nelle mani degli altri, appunto, cioè fra i piedi di chi continua a giocare la propria partita politica come se la crisi della Linke non avesse prodotto un effetto storico: per la prima volta una fraktion del Bundestag viene sciolta nel corso della legislatura. Non era mai successo. Finora i ritiri delle delegazioni parlamentari erano avvenuti esclusivamente in seguito a sconfitte alle urne, come nel caso dei liberali che nel 2013 non superarono la soglia di sbarramento del 5%. Mentre sono in gioco i 108 posti di lavoro dei dipendenti del gruppo Linke, appesi pure loro al via libera degli altri partiti ai due soggetti parlamentari nati dalla scissione a sinistra.

Che fare? Di sicuro, più del funerale alla Linke, il cui necrologio è stato stampato anzitempo più di una volta. «Quelli dati per morti» è il sunto dell’autorevole analisi sulla Zeit di Thorsten Holzhauser, storico della fondazione Theodor Heuss di Stoccarda, esperto dell’integrazione del Pds (il partito antenato della Linke nato dalle ceneri della Sed della Ddr) nel sistema politico della Bundesrepublik.

«Quando l’allora segretario Gregor Gysi combatté per la prima volta contro la dissoluzione del partito era il gennaio 1990, la sinistra si chiamava ancora Sed e governava la Ddr. Veniva contestata sia dalla rivoluzione nelle strade che da centinaia di migliaia di iscritti che ne chiedevano lo scioglimento. Tra loro c’era il vice di Gysi, Wolfgang Berghofer, che si dimise dal partito con un effetto dirompente uguale a Sahra Wagenknecht. Allora lo Spiegel lo descrisse come il triste mietitore che avrebbe seppellito la sinistra» ricorda Holzhauser.

Invece il partito cambiò nome, struttura e programma: da Sed a Pds e dal governo dello Stato socialista alla rappresentazione dei tedeschi dell’Est impoveriti dalla riunificazione comandata dai capitalisti dell’Ovest. Poi contro tutte le previsioni la sinistra sopravvisse alla fine della Pds, prima fondendolo con l’Alternativa Elettorale (Wasg) e poi facendo confluire le due anime nella Linke nel 2007.

«Tutto ciò è stato possibile perché in questi anni c’è stato un forte sostegno al partito nei comuni e nel settore extraparlamentare. Sarà cruciale anche adesso se vogliamo tornare al Bundestag» precisa Bartsch. Amareggiato per la fine del gruppo ma anche deciso a continuare a fare opposizione al governo di Olaf Scholz. «Siamo stati eletti al Bundestag da 2,7 milioni di tedeschi per contrapporci da sinistra alla Coalizione Semaforo. Questo è e resta il nostro compito».

Paradossalmente proprio la chiusura del gruppo gli «dà fiducia» per la sopravvivenza. «In passato la posta in gioco è stata altissima ma ora molti compagni sanno che non possiamo più continuare con i giochi politici. O costruiamo una prospettiva a lungo termine oppure non saremo all’altezza della nostra responsabilità storica come Sinistra».