Le parole di Toti sugli anziani e la fine dell’ipocrisia della destra sul Covid

Hanno provocato notevole scalpore le dichiarazioni rilasciate via Twitter dal Governatore della Liguria, Giovanni Toti, espressione dell’area più “moderata” del centro-destra italiano.

di Adriano Manna

Il suo tweet, che vi riproponiamo qui sotto, e l’immediato scalpore da esso provocato, l’hanno costretto a immediate rettifiche e scuse, se non fosse altro perché governa una delle regioni d’Italia con l’età media più alta e che una buona fetta del suo elettorato è rappresentata proprio da quei pensionati, over70, che in effetti non sono più indispensabili allo sforzo produttivo del Paese, “godendosi” oggi quella pensione che hanno pagato con il lavoro di una vita.

Tuttavia bisognerebbe ringraziarlo Toti, perché nella sostanza ha reso manifesto, senza tante ipocrisie, quello che è il pensiero della destra italiana e di importanti settori del mondo imprenditoriale riguardo alle priorità gestionali dell’emergenza sanitaria in corso.

Anche la specificazione sulle persone anziane “che però vanno tutelate”, con cui chiude il messaggio, non è assolutamente un controsenso come potrebbe apparire ad una prima lettura, ma la dimostrazione che si tratta di un messaggio ragionato, un “detto e non detto” che vuole di fondo far passare il messaggio principale, lasciandosi però una via d’uscita qualora la reazione dell’opinione pubblica fosse troppo negativa.

Inutile nascondercelo: la seconda ondata dell’epidemia sta mettendo i policy makers dinanzi al più dilaniante dei trade-off: tutelare la salute oppure l’economia?

E’ infatti evidente che, se accettassimo come moralmente accettabile l’idea di “sacrificare” i settori più deboli della popolazione italiana (che non sono semplicemente i più anziani, ma anche i soggetti più giovani che si trovano ai margini della società e tutte le persone con un quadro clinico già aggravato da patologie pregresse) la gestione sanitaria potrebbe essere decisamente diversa, più leggera e meno punitiva verso tutti quei settori economici che stanno soffocando sotto le restrizioni socio-sanitarie.

Si tratta di scelte ovviamente, di priorità. La destra italiana ha sempre avuto in questi mesi un comportamento che poteva apparire schizofrenico: prima andava in piazza senza mascherine, poi accusava il governo di non aver prevenuto la seconda ondata, poi ancora strizzava l’occhiolino verso le comprensibili proteste dei commercianti, dipendenti non tutelati e liberi professionisti terrorizzati dall’ipotesi di un nuovo lock-down.

Si tratta di un comportamento che, se viene letto alla luce di questa affermazione, probabilmente la più sincera mai pronunciata da un politico della destra italiana nell’ultimo ventennio, assume una chiarezza ed una coerenza facilmente spiegabili: la destra sa bene che l’emergenza sanitaria è vera, ma ritiene che la salvaguardia del livello di produttività del nostro paese venga prima della tutela di quelle fasce della popolazione maggiormente esposte al rischio sanitario.

Del resto si tratta esattamente della posizione enunciata ad inizio marzo dai vari Johnson, Bolsonaro e Trump, insomma dai massimi esponenti della “nuova” destra affermatasi in questi ultimi anni sullo scenario internazionale.

Una posizione che i nostri vari Salvini, Meloni e compagnia avrebbero probabilmente fatto volentieri loro ma che, sconsigliati dai sondaggi che ne indicavano la forte impopolarità nell’opinione pubblica italiana, hanno ben pensato di non esplicitare, salvo poi condividerne l’essenza nei loro comportamenti.

La battaglia contro questa destra diviene quindi prima di tutto una battaglia di civiltà: vogliamo vivere in una società dove nel nome del Dio denaro è possibile mettere in secondo piano le vite umane, oppure la salvaguardia della vita, di tutte le vite, assume un valore primario?

Vogliamo uno Stato che tuteli i cittadini in primo luogo, oppure uno Stato ridotto a mero esecutore delle esigenze del mercato?