Oggi è il gran giorno, i motori si scaldano, specie quelli italianissimi, finalmente. Quattro tempi, quattro marce, una sola croce uncinata, tanti saluti romani e qualche bacione. Brum brum. Ci siamo.
di Andrea Alba
Prende il via il giorno del ricordo, ovvero il tripudio generale e generalizzato dell’orgoglio fascista, una specie di sfogatoio legalizzato per permettere agli assassini di raccontarci quanto erano bravi, quanto simpatiche fossero le loro nonne, quanto dolci i loro nonnini aguzzini e torturatori di partigiani, quanto bastarda fosse la razza slava, che nonostante avesse subito l’italianizzazione forzata per anni nel silenzio più assordante, aveva perfino osato ribellarsi alle sobrie camicie nere, ingrati e incoscienti esseri inferiori.
Ci siamo. Eppure io non riesco proprio a tenermela, quest’anno. Sarà perché il contesto è così prontamente cambiato negli ultimi anni, negli ultimi mesi, nelle ultime settimane. Oggi, dicevo. Oggi è l’anniversario della proclamazione dei Trattati di Parigi, quel documento ufficiale firmato tra nazioni in seguito a una conferenza di pace col quale si ridisegnava l’Europa devastata dal nazifascismo, dalla follia della guerra, dai totalitarismi. 10 Febbraio 1947. Una data di festa e giubilo in tutta Europa. L’Italia nascondeva sotto il tappeto il suo essere stata un paese coloniale. Altro che italiani brava gente. Stupri, stermini, campi di concentramento, collaborazionismo spinto con l’alleato nazista, uso di gas tossici sulle popolazioni inermi, italianizzazione forzata dei territori di confine. Libia, Etiopia, Eritrea, Dodecaneso, i territori istriani. Si tiravano le somme del disastro generato dai nazionalismi e da quella conferenza fu esclusa ovviamente la Germania. E con quella conferenza l’Italia perdeva, giustamente, i territori che aveva ottenuto nella sua fase coloniale, voluta da Mussolini e presieduta dal Re, che non aveva perso un attimo a proclamarsi Imperatore d’Etiopia, Re d’Albania, Re del Montenegro, Primo maresciallo dell’impero e padrone indiscusso del Friuli Venezia Giulia. Ed era tutto un lustrare lustrini, andare orgogliosi di quella superiorità razziale, il primato italico pure nella violenza nazionalista, l’aver ispirato Hitler e Franco. Chi l’avrebbe mai detto? Nessuno ci poteva fermare. Un ventennio di cui andare fieri, di cui vanno fieri quelli che oggi fanno le vittime, che sono i nipoti dei trasgressori del protocollo di Ginevra del 1925, “con la quale tutti gli stati si impegnarono solennemente a non ricorrere più alla guerra chimica. Infatti, sebbene tutti i paesi continuassero a preparare armi chimiche e si aspettassero che il nemico ne avrebbe fatto uso, il gas non fu usato da nessuno dei contendenti durante la seconda guerra mondiale, benché i sentimenti umanitari non abbiano impedito agli italiani di impiegare il gas per domare le ribellioni dei popoli delle colonie”(E. J. Hobsbawm, Sulla guerra totale.). Ma noi ce ne siamo fregati, con quel motto italico col quale ci siamo contraddistinti per due decadi, col moschetto e il fez, alla conquista del nostro posto nel mondo. Tanto poi ci saremmo ripuliti anima e coscienza del nostro essere stati cattiva gente, alla stregua addirittura di un nazista tedesco. E la retorica della pizza, del mandolino, dell’italiano avrebbe prevalso, fino al paradosso di voler pretendere di raccontare la storia degli aguzzini e farli passare per vittime.
Oggi, tra un saluto romano e una mistificazione storica che non si avvale di una sola fonte storica attendibile ma solo di memorialistica di bassa qualità e di seconda mano, farà la sua comparsata come una mascherina di carnevale anticipato anche questa foto qui. Si tratta di un fantasy di bassa qualità: Siamo nel luglio del 1942 nel villaggio di Dane e nella foto si riconoscono vigorosi e virili camerati italiani che fucilano la nemica razza slava. Una foto che dovrebbe davvero servire a raccontare gli orrori del nazifascismo e dell’italianizzazione forzata dei territori istriani, della violenza perpetuata su quei popoli e su quelle terre e che invece puntualmente viene capovolta per parlare di “pulizia etnica anti-italiana”.
Il 10 Febbraio avremmo dovuto fare i conti col nostro nazionalismo, col nostro orrore e invece abbiamo creato un mostro multiforme che si nutre di sentimenti irredentisti e revanscisti, di uno stucchevole e manicheo fascismo di ritorno sotto forma di vittimismo cameratesco, una mistificazione bella e buona che fa della falsificazione storica un altare da contrapporre alla narrazione democratica. Eppure va detto che questa grande mistificazione, che per tutto il secondo novecento è stata appannaggio dei soli estremisti di destra, è stata imbastita, legalizzata e trasformata in legge dello stato anche coi voti degli ex comunisti, degli ex sinceri democratici, degli ex sinceri e basta. E la sua violenza più grande è proprio la scelta della data, infelice due volte: la prima perché in qualche modo vanifica il ruolo di una conferenza di pace, capovolgendo le verità storiche e consegnando ai neofascisti uno strumento di sdoganamento di cui si sono avvalsi in questi quasi vent’anni; il secondo per la prossimità col Giorno della Memoria, alla quale inevitabilmente il Giorno del Ricordo viene a contrapporsi, facendo strillare dalle fogne l’odiosa litania: “E allora le foibe?”