La forza delle storie ribelli: intervista a Cannibali e Re

Se frequentate Facebook non può esservi passata inosservata una pagina di grande successo, che raccoglie storie degli sfruttati e dei ribelli di tutto il mondo. La pagina si chiama “Cannibali e Re” e abbiamo voluto intervistare chi la porta avanti.

Intervista a cura di Nicola Cucchi

Questo è l’incipit della pagina fb: “L’identità a cui noi facciamo riferimento è l’identità degli sfruttati e dei discriminati, è inclusiva, unisce il 99% del mondo, a differenza delle false identità costruite proprio per dividere e separare.”

 

Come avete iniziato, che percorsi avete e com’è nata l’idea?

Abbiamo percorsi professionali diversi e ci siamo ritrovati nella primavera del 2016 con l’intenzione di fare storia in maniera diversa, di innovare la divulgazione storica.

Attualmente siamo in due a gestire la pagina, uno storico e un laureato in relazioni internazionali. In generale, tutti coloro che hanno collaborato al progetto hanno una formazione storico-politica.

 

Perché avete sentito l’esigenza (e l’utilità) di fare nuova divulgazione storica?

 Siamo convinti della necessità di ribaltare l’approccio: da uno sguardo dall’alto interessato quasi solo ai personaggi più noti/celebri, a uno sguardo interessato alle società e a fare storia dal basso.

A lungo la suddivisione tra una “grande Storia” e una “piccola Storia” ha fatto salire sul palcoscenico storiografico soltanto gli attori e gli eventi principali, marginalizzando, fino alla cancellazione, gli uomini e le donne che la Storia l’hanno fatta e l’hanno pagata, l’hanno vissuta e l’hanno odiata, ne sono stati parte in silenzio o urlando, pregando o bestemmiando, lavorando o rubando, piegandosi o combattendo, restando o migrando, vincendo o perdendo.

Insomma, ci siamo abituati alla Storia come materia di studio consacrata al ricordo di personaggi importanti, di luoghi che hanno partorito eventi, di cronache altisonanti e di cronachisti dimenticati.

E abbiamo scordato chi nella trincea della storia ci ha passato l’esistenza, compiendo piccoli gesti che a volte hanno cambiato in maniera irreversibile il corso degli eventi.

Loro sono i protagonisti del nostro racconto.

Indipendentemente da età, orientamento sessuale, nazionalità, epoca, specie…. Indipendentemente da quale regime li abbia oppressi, indipendentemente da dove il destino li abbia fatti nascere, crescere, lottare. Perché anche noi ci sentiamo come loro. E per questo li vogliamo raccontare.

“PERCHÉ A STARE IN TRINCEA SONO GLI UOMINI NORMALI

NON I CAPI DI STATO O I GENERALI,

PERCHÉ A STARE IN TRINCEA SONO GLI UOMINI NORMALI,

NON I VESCOVI E NEANCHE I CARDINALI.”

Così scriveva Pierangelo Bertoli in “Varsavia”, un gridò di libertà, come disse lo stesso Bertoli, che è riuscito a mettere in musica un concetto spesso espulso dai dibattiti di ogni epoca.

 

Vi trovate spesso a commentare i vostri post. Cosa raccoglie l’interesse dei vostri lettori e cosa vi contestano?

L’accusa più ricorrente che ci viene posta era quella di essere “di parte”, e su questo abbiamo sin da subito rivendicato la nostra prospettiva: non esiste una storia neutrale. Già la scelta degli argomenti e i soggetti da trattare determina una collocazione. Allo stesso tempo è indispensabile essere intellettualmente onesti e raccontare le vicende cercando di restare fedeli alle fonti.

Cerchiamo da un lato di portare alla luce storie meno note, ma estremamente significative nella cornice di un racconto vivo delle condizioni di vita delle masse nella storia. Dall’altro ci interessa proporre una narrazione diversa dei fatti/eventi storici più noti. Ad esempio poco più di un mese fa ricorreva l’anniversario della fine della prima guerra mondiale, un autentico massacro che nel racconto ufficiale viene celebrato come grande momento di unità nazionale.

“MENTRE I RICCHI MANGIAVANO BRIOCHES E BISCOTTI, IL POPOLO DI TORINO PATIVA LA FAME; COSÌ NELL’AGOSTO DEL 1917 SCOPPIÓ UNA RIVOLTA CHE IL REGIO ESERCITO REPRESSE LASCIANDO PER LE STRADE ALMENO 50 MORTI”

 

Mi verrebbe quasi da definirvi una “wikipedia dei subalterni”, tenendo conto di questa tendenza ad utilizzare anche contenuti e suggerimenti dei vostri utenti.

In realtà wikipedia non è corretto perché non siamo per nulla “completi” nella trattazione degli argomenti, né esaurienti in quelli che affrontiamo, poiché sempre costretti ad utilizzare caratteri limitati.

Il nostro obiettivo non è la narrazione, ma la divulgazione. Vogliamo stimolare lo spirito critico di ci legge offrendo prospettive inedite sul passato. La scelta di parlare molto anche di fatti cruenti, sopraffazioni, violenze non è ovviamente casuale, ma è il tentativo di mostrare il volto che le strutture di potere hanno assunto nel corso della storia. Prendere coscienza del fatto che nel passato e nel presente i gruppi subalterni sono stati ripetutamente espropriati e repressi,ci sembra un punto di partenza importante anche per mettere in discussione le visioni prevalenti.

PASQUALINA MARTINO, NATA IL 6 GENNAIO DEL 1901, “ACCOLSE” IL FASCISMO A REVOLVERATE IN ABRUZZO. IL REGIME LA COSTRINSE AD ATTRAVERSARE IL SUO PAESE CON CARTELLI INNEGGIANTI AL FASCISMO, NEL GIORNO DI NATALE, SENZA PIEGARNE, TUTTAVIA, LO SPIRITO

 

All’interno di un’ampia crisi delle identità politiche novecentesche, sembra che in questa fase storica la divisione destra/sinistra sia stata sostituita dalla divisione alto/basso (élite/popolo). Che ne pensate?

A nostro avviso la distinzione alto-basso è da sempre quella fondamentale, che sia del governo di uno Stato rispetto ai cittadini o dei vertici di un’organizzazione rispetto alla base, gli interessi di chi guida tendono a divergere da quelli di chi segue. La nostra lettura tende a guardare più alle strutture di repressione che alle persone che si sono trovate alla guida delle strutture stesse. È una lettura radicalmente anti-autoritaria, che cerca di evitare una personalizzazione che alimenta una contrapposizione tra tifoserie.

 

A mio avviso il vostro è un tentativo di ridare valore e dignità al popolo senza strumentalizzare questa categoria per occultare le distinzioni sociali. Che ne dite?

Certamente, vogliamo decostruire quella visione nazionalista che cancella lo sfruttamento dei subalterni, per ricomprenderli in una macro-categoria come “popolo” che li include nella misura in cui restino gerarchicamente inferiori. Gli interessi delle persone comuni e dei potenti non potranno mai essere convergenti.

 

Dovendo fare una riflessione più ampia sull’Italia, come si vive in un paese senza sinistra?

 Siamo tendenzialmente critici verso la centralità della delega elettorale, che individua il parlamento come principale soggetto politico. Quindi il meccanismo del voto per quanto dia forza a un partito vicino alle nostre posizioni tende poi ad allontanare i cittadini dal fare politica quotidiana. Noi siamo convinti invece che una ripresa del conflitto sociale possa nascere solo da una presa di coscienza diffusa delle privazioni subite e dal tentativo di ognuno di costituire contro-poteri esercitando una forza collettiva. La nostra preoccupazione maggiore è la totale anestetizzazione di ogni azione politica. Dobbiamo capire perché si è estinto il conflitto sociale e come riattivarlo, smettendo di delegare a terzi una battaglia che tocca a noi.

Forse uno dei meccanismi con cui si tiene insieme questo ordine è la retorica legalitaria secondo cui quello che dice la legge è giusto e va eseguito senza discussioni, dimenticando che la legge la fa la politica seguendo determinati interessi in conflitto tra loro. In questo senso una violazione manifesta di una norma ingiusta va considerata la forma più alta di azione politica.
Insomma lo stato di apatia sociale rispetto alle questioni politiche centrali è incredibile e preoccupante. La società in cui viviamo processerebbe Nelson Mandela e Rosa Parks per aver disobbedito a una norma di legge.

 

Rispetto alla “crisi della sinistra” dicevate di essere interessati più ai singoli e alle comunità che alle organizzazioni, tuttavia penso che i partiti di massa del ‘900 siano stati una grande palestra in cui il popolo ha appreso forme di un conflitto sociale estremamente efficaci. Che ne pensate?

Certamente, perché stimolavano costantemente una coscienza critica rispetto a certi fenomeni di subalternità. Poi purtroppo in molti casi le organizzazioni tendono a riprodurre il loro apparato a prescindere dagli interessi della base.

Credo che le forze della sinistra in questi anni siano state del tutto incapaci di prospettare un’alternativa, un’idea di società futura e di percorso capace di sovvertire il presente. E nel contempo hanno perduto del tutto i legami/riferimenti con quel passato di lotte per l’emancipazione  che hanno portato alle migliori condizioni di vita della storia per i lavoratori. La subalternità nell’immaginario sociale è forse il segnale più evidente di una sconfitta storica.

IL 5 GENNAIO DEL 1984 MORIVA, UCCISO DALLA MAFIA, IL GIORNALISTA PIPPO FAVA. LO RICORDIAMO CON UNA SUA FRASE SUL RUOLO DEL GIORNALISMO NELLA SOCIETA’

“Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società.”

 

Passando dai contenuti alla forma: come motivate la scelta di utilizzare facebook? Non vi sembra sia un mezzo con limiti evidenti per affrontare discorsi del genere?

 Abbiamo deciso di iniziare su fb, nonostante i limiti del mezzo, perché era la via per arrivare a più persone possibili, soprattutto partendo senza risorse. In realtà rispetto a una rivista o altri possibili strumenti, il social garantisce un’interattività continua che ha contribuito molto a far crescere i contenuti della pagina. Ad esempio molti contenuti pubblicati sulla pagina, così come molte storie raccolte nell’almanacco ci sono state suggerite da esterni appassionati alla nostra attività.

Anche sul singolo post ci vengono suggeriti film, libri etc etc.

Anche come metodo di interazione con chi ci segue sui social abbiamo scelto di mantenere il più possibile una relazione orizzontale. Rispondiamo a ogni singolo commento, anche alle critiche più dure, seppure questo comporta ore di lavoro. Siamo convinti che sia importante garantire un’interazione diretta “se vuoi fare storia dal basso, poi non puoi metterti in cattedra!”.

 

Quali sono quindi i veicoli principali di diffusione dei contenuti oltre alla pagina fb “Cannibali e Re”?

Oltre alla pagina principale abbiamo un’altra pagina, “Cronache Ribelli”, un account Instagram e Twitter, e poi cerchiamo costantemente di muoverci sul territorio nazionale per incontrare direttamente le persone e parlargli del nostro progetto.

 

Com’è nato l’almanacco “Cronache ribelli”?

È nato un anno fa, dopo vari stimoli dei nostri lettori a scrivere un libro. In tanti ce lo chiedevano ma noi eravamo molto scettici sulla nostra capacità di spostarci su carta, poi abbiamo accettato. Ci siamo detti: “troviamo una forma che ci consenta di portare avanti il lavoro, mantenendo un approccio divulgativo”, quindi abbiamo costruito questa raccolta di 250 storie di ribellione, spalmate sui 365 giorni dell’anno. Abbiamo fatto creare delle illustrazioni, per costruire un contenitore che fosse interessante anche per persone non appassionate di storia.

Dopo la pubblicazione in primavera sono iniziate le presentazioni per farci conoscere di persona, autofinanziarci, e costruire rete con le associazioni, evitando di essere distribuito nella grande distribuzione per trovare una forma di diffusione sostenibile.

Arrivare nei territori è un occasione anche per valorizzare la storia locale, le storie delle nostre famiglie, dei nostri nonni ecc. per coagulare esperienze e costruire una nuova memoria collettiva come modalità di riattivazione delle comunità locali.

 

Visto che hai detto che vi siete più volte avvantaggiati del contributo di chi seguiva la pagina, mi interessa sapere se siete in contatto con storici professionisti, che condividono progetto e approccio e vi danno una mano per segnalare eventi, storie ecc. Lo chiedo perché siete sicuramente un progetto che sta avendo un impatto molto rilevante sui social, con contenuti molto chiari e sarebbe interessante sapere se qualche storico vi segue e appoggia il vostro operato.

Abbiamo avuto nel corso del tempo diversi contatti con giovani ricercatori di varie città, alcuni hanno anche partecipato come relatori ad iniziative che abbiamo organizzato. In generale pensiamo che il lavoro di molti giovani storici vada sostenuto e valorizzato.

 

Purtroppo in un paese in cui sicuramente la storia ha un seguito molto limitato, questa rischia di essere un ambito presidiato solo da “pochi eletti”, invece la vostra operazione mi sembra voglia esplicitamente contrastare questa tendenza ad una storia di pochi e per pochi. Dovremmo forse renderci conto che la storia è un bene comune che va valorizzato per vivere meglio in società sempre più complesse e stratificate?

Siamo assolutamente critici nei confronti di chi immagina la materia come una disciplina per pochi eletti che non debba uscire dalle aule universitarie. Anche perché questa prospettiva finisce per creare un ambiente ripiegato su se stesso, incapace di innovarsi e lontano dal resto della società. Per noi la storia è uno strumento di emancipazione sociale pertanto non può che essere messa a disposizione di tutti e approfondita da tutti, ognuno tramite il suo bagaglio di competenze ed esperienze.

 

Il successo del vostro progetto come di altri interessanti sembra rappresentare un contraltare in un paese che si sta avvicinando sempre di più alla retorica del ministro dell’Interno. Cosa pensate delle prospettive politiche in Italia? Ci sono spazi per ribaltare un consenso così favorevole?

Onestamente ci interessa fino ad un certo punto giudicare la fase presente, perché rischiamo di fare un’analisi mutilata. Pensiamo che i sentimenti diffusi oggi tra la popolazione e i suoi orientamenti profondamente sciovinisti siano il frutto di presupposti culturali che affondano nelle radici della nostra società.