Crisi Ucraina: la fragilità europea e l’ultimo baluardo delle sanzioni economiche

Le forti tensioni in Ucraina che si stanno consumando in questi giorni fanno da specchio a un’Europa che ritrova se stessa per l’ennesima volta indebolita, non solo in termini geopolitici ma anche più meramente politici.

di Arianna Recine

Nella paventata guerra USA-Russia (nelle intenzioni per ora), vittima indiscussa è la frammentata UE che cerca di raccogliere i cocci e prendere una decisione forte, coesa e comune, incapace di farlo perché vittima prima di tutto di un intergovernamentalismo sempre più intralciante e controproducente.

Se da una parte Vladimir Putin sembrerebbe impegnato a voler riportare le lancette della storia indietro di trent’anni per risanare almeno in parte quella ferita storica dell’indipendenza ucraina inflitta all’indomani della dissoluzione dell’URSS; dall’altra, negli accordi di Minsk emerge la volontà russa di un’autonomia amministrativa dei due Stati separatisti appena riconosciuti (la Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Lugansk) all’interno della nazione Ucraina, sebbene non consideri affatto il Donbass territorio russo.

Dal canto suo, l’Ucraina è protagonista di un gioco delle parti giustificato da un timore di accerchiamento da parte della Russia, che a partire dalla seconda metà degli anni ‘90 ha visto entrare nel Patto Atlantico la maggior parte dei paesi dell’est Europa. E infatti, come Romano Prodi ha sottolineato nella recentissima intervista realizzata da Lucia Annunziata, da vent’anni a questa parte la preoccupazione principale della Russia non è stata tanto l’entrata o meno dell’Ucraina nell’UE, quanto piuttosto la sua adesione alla NATO che fa temere (forse anche giustificatamente) a Mosca un isolamento. Quella NATO che oggi, nel contesto delle tensioni russe-ucraine più che mai ha la responsabilità di dover muovere le pedine giuste.

A chi invece, minimizza l’iniziativa russa relegandola a mera farsa, buon prò farà rammentare che Putin si è già dimostrato capace di attaccare territori contesi in Cecenia, Georgia, Siria, dove con il benestare di Assad continua a mietere vittime tra i civili quotidianamente, nonché nella stessa Ucraina nel 2014. È altrettanto vero però, che la diplomazia questa volta ha intrapreso una strada inusitata e cioè quella di una forte diffusione di informazioni di intelligence prima destinate alle sole sedi negoziali, che non fanno altro che fuorviare gli interlocutori, rendendo pressoché impossibile la raccolta di notizie certe. Un esempio sono le dichiarazioni di Joe Biden e del Pentagono che, è dal mese di dicembre che comunicano l’imminenza di un attacco russo nella regione sud dell’Ucraina, desumendo tale scenario dalle presunte informazioni dei servizi segreti americani.

Ma il punto centrale che merita un’accurata riflessione è che la crisi nelle regioni del Donetsk e del Lugansk ha toccato i nervi scoperti di un’Europa inesistente almeno sul piano di quel sovranismo tanto decantato da Emmanuel Macron, e non solo. A fare da deterrente alle pressioni russe ci sarebbe la NATO e le “imbattibili” armi delle sanzioni economiche che in un contesto di fortissima interdipendenza energetica e quindi economica costituirebbero dei boomerang, dove l’impatto di ritorno potrebbe addirittura superare quello iniziale, essendo lo strumento sanzionistico nel 2022 nefasto tanto per i sanzionati quanto per i sanzionanti.

Ebbene, secondo il premier Mario Draghi il problema militare per Bruxelles non sussiste dal momento che l’Europa non ha un esercito comune in grado di intimidire i suoi avversari. Per ottenerne uno servirebbe un’unione federale. Il punto nevralgico da cui far scaturire auspicabilmente discussioni politiche è proprio questo e non solo alla luce degli avvenimenti ucraini. Un sistema attuale dell’UE siffatto, non garantirebbe la costituzione di una difesa europea unica, poiché una compagine di 27 paesi che decide all’unanimità su questioni di sicurezza e di politica estera, preclude quel terreno sovranazionale necessario per la costruzione di tale apparato. Senza calcolare poi, la divisione interna circa la crisi ucraina, con i paesi dell’est Europa su posizioni ferme a favore di sanzioni a Mosca e tutti gli altri (Francia e Germania in primis) impegnati a prolungare i dialoghi con Putin, cercando contemporaneamente di trarne il massimo vantaggio in termini economici. Ma è proprio in situazioni di questo tipo che quella debolezza militare si traduce nella realtà dei fatti in una frustrante impotenza politica. In questo modo, le strategie di lungo periodo, che solo un motore unico (ed evidentemente unitario) della macchina europea garantirebbe, non solo rimangono un tentativo vano per l’UE, ma possono essere ritrovate solo in capo alla NATO, al cui interno il ruolo preminente degli USA la dice lunga sulle ulteriori pressioni che i paesi UE sono costretti a subire anche da Ovest.

Insomma, l’UE fin dall’inizio del nuovo anno mai come in questa circostanza, ha dimostrato la sua “dis-unione”; alcuni stati hanno optato per iniziative parallele alla NATO, altri per un dialogo costruttivo con Mosca; ogni capo del governo si è riunito in seduta privata e individuale con l’interlocutore russo. Perciò, resta da immaginare che forma avrebbe una sovranità europea e la sua autonomia strategica nel contesto di tale crisi e di quelle che verranno. Del resto, come ha prontamente espresso l’ex presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi: “Se fossimo più uniti in Europa, avremmo anche più voce in capitolo all’interno della NATO; non avremmo assistito alla follia della NATO che si ritira dall’Afghanistan senza che nemmeno noi fossimo avvisati. Se avessimo una difesa europea su questo saremmo di certo più protetti.”

Tale realtà fa in modo che l’unico ruolo che resta al Macron, Draghi o Scholz di turno è quello di mediatore in stato di dipendenza e mai di attore decisivo, ruolo che evidentemente rimane ancora di pertinenza degli Stati Uniti, che nel frattempo, stanno cercando in tutti i modi di difendere la credibilità transatlantica. E così, l’Italia e altri paesi UE si trovano costretti a doversi misurare e a prestare fedeltà a due grandi pressanti entità: alla NATO e agli interessi economici dei singoli stati nazionali, una costante sempre presente nelle crisi endogene dell’Unione, così come in quelle esterne e destinata a perdurare se non si prende seriamente in considerazione un cambio di rotta nel processo decisionale dell’Unione europea nei settori della politica estera e di sicurezza comune, che permetta finalmente di affrontare sfide di dimensioni globali.