Salvini e i cantautori, l’invasione di un campo che non c’è più

In questi giorni si ricorda la morte del grande cantautore italiano Fabrizio De André e ha fatto molto discutere la dedica fatta da Salvini. In realtà non è la prima volta che il ministro esprime apprezzamenti per musiche parecchio distanti dalle sue politiche. Visto che non possiamo pensare che la sua comunicazione sia casuale, dovremmo forse riflettere sulla sua strategia.

di Nicola Cucchi

 

Se sceglie di rivendicare i cantautori, in particolare alcuni che nel nostro immaginario sociale si legano alla storia della sinistra ecc. un motivo deve esserci.

Invece che accontentarci di dimostrare le incoerenze del ministro che non ha diritto di appropriarsi di un simbolo che sentiamo come nostro, dovremmo prendere atto di come la società è cambiata e pensare a costruire nuovi campi di lotta.

 

Storytelling di governo

I leader politici attuali non hanno nulla in comune con i professionisti di qualche decennio fa. A parte le questioni di stile, i politici di oggi devono mostrarsi quotidianamente opinion leader, “essere sul pezzo” sulle tematiche extra che dominano i social. Il loro storytelling quotidiano comprende opinioni su tutti gli argomenti che infiammano i social per orientare il pensiero nella direzione che gli è più funzionale.

In questo senso sono convinto che l’ostentazione quotidiana dei gusti sia evidentemente uno strumento di governo: mostrando di essere “uno di noi” Salvini convince i suoi fan di conoscere la loro realtà meglio di tutti, di avere a cuore i nostri interessi e quindi  di essere il migliore rappresentante.

 

Come si sposa tuttavia il profilo tipico del leader politico “national-pop” per eccellenza con l’ascolto dei cantautori?

A mio avviso queste esternazioni rappresentano una provocazione sottile tipica dell’alt right, un’invazione di campo nell’immaginario sociale dell’avversario in perenne crisi d’identità.

 

Provocazioni comunicative

Per andare oltre la polemica la domanda che dovremmo porci è: Perché ci incazziamo quando Salvini ostenta De André? È ovvio, perché lui politicamente sta facendo tutt’altro, e perché non si deve permettere di toccare il nostro punto di riferimento. Purtroppo temo che la sua strategia di invasione di campo faccia male perché inquina anche l’unica cosa che ci resta, ovvero il glorioso passato.

Non c’è bisogno di scomodare filologi, anche un bambino nota la contraddizione tra le canzoni di De André e le parole/politiche di Salvini. Eppure non credo basti per sentirsi vincitori semplicemente far notare le incongruenze, prendendolo in giro sul fatto che non ha capito l’artista che ascolta.
Considerarlo così stupido mi sembra un errore troppo grossolano.

 

Nella sua ostentazione dei gusti quotidiani, non vi sembra che l’obiettivo in questo caso sia proprio, penetrare nella nostra memoria per farci incazzare?!

Suscitare una risposta, creare discussione virale intorno alla sua persona è già un “risultato politico”. Non può essere certamente un caso che provochi quotidianamente i suoi avversari, vuole far ruotare la rappresentazione politica attorno alla sua figura. Così però stiamo giocando al suo gioco, mi pare.

 

Il popolo della sinistra (?)

Forse potremmo usare la sua provocazione per riflettere su una caratteristica evidente di questa società: in una fase di profonda crisi d’appartenenza politica, viene meno la solida/rigida ripartizione degli immaginari sociali su una scala destra-sinistra. Dobbiamo convincerci che non esiste più una contrapposizione netta di  consumi/comportamenti tra dx e sx. Su questa crisi si è inserita l’alt right egemonizzando con i suoi temi gli strati più bassi della società (in un contesto in cui al basso reddito corrisponde troppo spesso una bassa istruzione). Il leader di una forza della nuova destra rivendica apertamente un “consumo extra”, invade il campo degli avversari, come d’altronde sta facendo da anni prendendo voti dai poveri e dalle periferie.

E purtroppo attaccare frontalmente e personalmente Salvini su ogni cosa che fa oggi significa attaccare personalmente tutte le persone che vi si identificano, significa dire loro che non capiscono nulla, che lo votano perché non hanno studiato. Un giudizio dall’alto verso il basso che le allontana da chi lo esprime e le condanna così alla subalternità perenne.

Dovremmo invece avere la capacità di insinuarci in maniera diversa nelle contraddizioni dell’avversario, partendo da un presupposto. I leader vincenti di quest’epoca sono sempre più malleabili e inafferrabili. Le loro incoerenze contano sempre meno perché vasti strati sociali associano a questi la risposta al bisogno di protezione e la ritrovano solo in certe parole, in certe rivendicazioni, in certi capri espiatori. Se non troviamo la maniera di capire bene questo bisogno, rispondendo in maniera completamente diversa a quanto fa il Salvini di turno, non ci libereremo mai di questi personaggi e soprattutto delle loro pessime politiche.